6 ottobre 2023, Rabat, Marocco. Protesta pro Palestina davanti al parlamento. Il giorno dopo Hamas attaccherà Israele (Jalal Morchidi/Epa/Ansa)
6 ottobre 2023, Rabat, Marocco. Protesta pro Palestina davanti al parlamento. Il giorno dopo Hamas attaccherà Israele (Jalal Morchidi/Epa/Ansa)

Conflitto israelo-palestinese, l'Africa spaccata a metà

La guerra scoppiata dopo l'attacco di Hamas vanifica gli Accordi di Abramo, che avevano cercato di avvicinare Israele e il mondo arabo, e divide i paesi africani già alle prese con situazioni interne poco stabili

Matteo Giusti

Matteo GiustiGiornalista

17 ottobre 2023

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L’attacco senza precedenti organizzato da Hamas contro Israele ha sconvolto tutti, compreso il mondo arabo africano. Israele ha sempre guardato con grande attenzione al continente africano e, dopo la sua nascita, ha cercato di allacciare rapporti sempre più stretti con l’Unione africana. Le due guerre del 1967 e del 1973 hanno interrotto questo scambio, anche perché i paesi arabi aderenti all’Unione africana avevano chiesto con forza l’espulsione di Tel Aviv. Nonostante le difficoltà, gli israeliani non avevano rinunciato ad avere un ruolo all’interno dell’Africa, allacciando stretti rapporti militari e commerciali con il Sud Africa, che a causa dell’apartheid aveva pochissime relazioni internazionali. 

Israele-Palestina: appello alla pace e alla soluzione di due Stati per due popoli

Israele ha avuto un ruolo significativo anche durante la guerra del Biafra, quando le province meridionali della Nigeria dichiararono l’indipendenza. Pochi stati si schierarono con gli indipendentisti, ma Israele cercò di ritagliarsi un ruolo. In anni recenti, un attento lavoro diplomatico ha permesso agli israeliani di tornare all’interno dell’Unione africana, ma le forti proteste di alcuni paesi arabi ne hanno decretato un nuovo allontanamento. 

Dalla parte di Israele, o quasi

La tensione è riemersa con vigore in questi giorni, con il continente africano che ha espresso posizioni diametralmente opposte. Il Kenya, il Togo e il Benin, ad esempio, si sono schierati dalla parte di Israele, condannando con forza l’attacco di Hamas e definendo il movimento palestinese come terrorista. Più sfumata la posizione di paesi arabi che, di recente, hanno riallacciato i rapporti con Tel Aviv. Il Marocco che insieme al Sudan ha sottoscritto gli Accordi di Abramo  – sottoscritti nel 2020 tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti, che portano a una normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Israele e un paese del mondo arabo – ha scelto una linea attendista e molto cauta.

Il Kenya, il Togo e il Benin, ad esempio, si sono schierati dalla parte di Israele, condannando con forza l’attacco di Hamas e definendo il movimento palestinese come terrorista

Rabat ha chiesto l’immediata cessazione della violenza, sottolineando come questa non possa essere la via per la risoluzione di un lungo conflitto, ma ha comunque evitato di schierarsi nettamente. Il re del Marocco Mohammed VI ha convocato una riunione d’emergenza del Consiglio della Lega araba nella sede del Cairo per discutere del deterioramento della situazione, affermando ancora una volta che il Regno del Marocco “esprime profonda preoccupazione” e condannando “gli attacchi contro i civili, ovunque si trovino”.  

Rabat ha chiesto l’immediata cessazione della violenza, sottolineando come questa non possa essere la via per la risoluzione di un lungo conflitto

In questa “sessione straordinaria” della Lega Araba, il ministro degli Esteri del Marocco, Nasser Bourita, ha sottolineato il “pieno e incrollabile sostegno” del Marocco alla Palestina, descrivendo lo stallo politico sulla questione palestinese come una “persistenza di violazioni sistematiche e misure unilaterali oppressive nei territori palestinesi occupati”. 

Sumud, esistere per resistere a Gaza

Il Sudan, in piena guerra civile, non ha rilasciato nessuna dichiarazione ufficiale, anche per la mancanza di un governo rappresentativo del paese. La sottoscrizione degli Accordi di Abramo, sotto l’egida degli Stati Uniti, era stato un passo importante verso il disgelo internazionale, ma la mano della Russia e, soprattutto, del Wagner group nella lotta intestina fra i due generali che guidano il paese dal colpo di Stato del 2021 – Abdel Fattah al-Burhane e Mohamed Hamdane Daglo – ha gettato il paese nel caos. 

Dalla parte dei palestinesi

L’Egitto, paese senza il quale, storicamente, in Medioriente non si fanno guerre né paci, ha un ruolo determinante visto il confine con Gaza. Il governo del generale Al-Sisi sta usando le armi diplomatiche per aiutare la popolazione palestinese e, al momento, ha preferito proibire ogni tipo di raduno per evitare incidenti. La forte presa dell’esercito sul paese ha permesso al generale, almeno in questa prima fase, di contenere le contestazioni, bloccando ogni iniziativa delle opposizioni. Diverso l'atteggiamento della grande moschea di Al-Azahr, che ha chiamato i fedeli a raccolta per manifestare contro Israele, a sostegno dei palestinesi di Gaza. La sensazione è che l'Egitto non voglia prendere una posizione netta, preferendo la mediazione internazionale per disinnescare le proteste interne e, allo stesso tempo, tenere aperta la porta agli Stati Uniti e all’Europa.

L'Egitto non vuole prendere una posizione netta, preferendo la mediazione internazionale per disinnescare le proteste interne e, allo stesso tempo, tenere aperta la porta agli Stati Uniti e all’Europa

La Tunisia e l’Algeria hanno scelto con forza di sostenere la causa palestinese, confermando una linea politica portata avanti da anni. Al Cairo, il ministro degli Esteri di Algeri si è scagliato con forza contro Israele, definendo l’attacco a Gaza come “una barbara aggressione sionista” che sta constando la vita a centinaia di martiri per la politica di oppressione e occupazione imposta dallo Stato di Israele sul popolo palestinese. 

Il mondo è in guerra

A Tunisi molti partiti politici, anche non legati all’islamismo, hanno mostrato il loro appoggio sventolando bandiere palestinesi e inneggiando ad Hamas. Le piazze tunisine sono state invase dai manifestanti che hanno sfilato minacciosamente davanti all’ambasciata americana, tanto che il governo del presidente Kais Saied si è visto costretto ad aumentare la presenza delle forze dell’ordine per le strade della città tunisine. È stato lanciato anche il “giorno della rabbia” in concomitanza con il venerdì di preghiera musulmano e le proteste hanno radunato migliaia di persone in tante città europee, sempre a sostegno della Palestina. 

A Tunisi molti partiti politici, anche non legati all’islamismo, hanno mostrato il loro appoggio sventolando bandiere palestinesi e inneggiando ad Hamas

In Libia, storico rivale politico di Israele, le manifestazioni si sono limitate a Tripoli, anche per la drammatica situazione in cui versa tutta la parte orientale del paese che si affaccia sul Mediterraneo. Fortissima si è alzata invece la voce della Mauritania, sia nelle strade che nelle stanze del palazzo del governo. Gli studenti universitari hanno invaso la capitale Nouakchott gridando slogan contro Tel Aviv, in completo sostegno agli abitanti di Gaza. Anche il governo mauritano non ha usato mezze misure nel condannare Israele, chiedendo misure internazionali a sostegno dei palestinesi. 

L’imbarazzo dell’Unione africana

Difficile e barcollante la posizione ufficiale dell’Unione Africana, che per bocca del suo presidente Moussa Faki Mahamat ha espresso grande preoccupazione per lo scoppio della violenza, avvertendo delle gravi conseguenze per i due popoli. Moussa Faki ha anche sottolineato la necessità di uno Stato per i palestinesi, ma ai più è sembrata solo una dichiarazione di circostanza. 

Relatrice Onu: "Troppi morti in Palestina, premere su Israele"

Di sicuro, l’attacco di Hamas ha scoperchiato il vaso di Pandora del mondo arabo, che dopo gli Accordi di Abramo e una serie di intese economiche aveva deciso di avvicinarsi a Israele. I governanti non avevano però tenuto conto di quanto fosse radicata la posizione dei propri cittadini, che per anni hanno visto il paese guidato da Benjamin Netanyahu come un nemico da abbattere. Un passo diverso e inconciliabile, che dal punto di vista geopolitico rischia di gettare il Mediterraneo indietro di mezzo secolo. 

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