28 marzo 2024
Lo scorso 19 marzo dal quartiere Castellane di Marsiglia, uno dei più difficili della città, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato l’operazione antidroga Place nette XXL, ossia piazza pulita XXL. Nel 2023 a Marsiglia i morti legati al narcotraffico sono stati 49 e la guerra tra due bande rivali, la Yoda e la DZ Mafia, rende la vita impossibile a chi vive nelle periferie. La situazione è talmente grave che la procuratrice della città, Dominique Laurens, ha coniato un neologismo per parlare di queste morti: per tutti, ormai, si tratta di “narcomicidi”. Non più regolamenti di conti fra bande rivali, ma vere strategie del terrore per marcare un territorio.
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Il giorno in cui Emmanuel Macron ha dichiarato guerra al narcotraffico, alcuni familiari delle vittime non erano lì per ascoltarlo. Si trovavano, invece, a Casal di Principe, in provincia di Caserta, dove dal 16 al 23 marzo hanno partecipato, su invito dell’associazione francese Crim’Halt e grazie a un finanziamento europeo, a un corso di formazione sull’antimafia sociale. Fra loro, Laetitia Linon, zia di Rayanne ucciso a 14 anni sotto casa il 18 agosto 2021; Hassna Arabi, cugina di Socayna, uccisa a settembre del 2023 e altri familiari di vittime del narcotraffico.
Durante la settimana trascorsa in Campania, la delegazione transalpina ha visitato strutture confiscate alla mafia e studiato la legislazione italiana contro il crimine organizzato. A Casa don Diana – centro polivalente per la promozione sociale dedicato a giovani e adulti, dedicato alla memoria di don Beppe Diana, ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994 – hanno quindi incontrato alcuni familiari delle vittime della criminalità organizzata campana.
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“Parlare con persone che provano le stesse cose che proviamo noi – racconta Laetitia – ci ha provati ma è stato arricchente. Dal punto di vista penale, l’Italia è avanti di decenni rispetto alla Francia e ci auguriamo che la nostra giustizia prenda spunto dal vostro esempio. Il giorno in cui questo accadrà, torneremo finalmente a vivere”. Elaborare un lutto è difficile, ma se il percorso è compiuto a fianco dello Stato diventa certamente più semplice.
"Dal punto di vista penale, L’Italia è avanti di decenni rispetto alla Francia e ci auguriamo che la nostra giustizia prenda spunto dal vostro esempio"
In Italia, la legge del 1990 che tutela le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, estranee alle reti criminali, ha permesso ai familiari di ricevere un sostegno legale ed economico, oltre che il riconoscimento di uno status giuridico. In Francia una legge simile esiste ma solo per le vittime del terrorismo: se a uccidere è il narcotrafficante o la criminalità organizzata l’aiuto è carente. “Il concetto di vittima innocente in Francia non esiste – spiega Fabrice Rizzoli, fondatore e presidente di Crim’Halt – anche per questo è importante che le famiglie abbiano la possibilità di raccontare in Italia le proprie storie”.
A Marsiglia, spiegano i francesi a Casal di Principe, l’Association d'aide aux victimes d'actes de délinquance (l’Associazione di assistenza per le vittime della delinquenza) offre una prima forma di sostegno alle famiglie, ma l’aiuto si limita a un accompagnamento giuridico e un sostegno psicologico riservato ai familiari più stretti. Atika, zia di Sarah, uccisa “per sbaglio” a 19 anni, racconta di come un aiuto per lei e sua figlia le sia stato rifiutato per questo motivo.
A Marsiglia l’Associazione di assistenza per le vittime della delinquenza offre una prima forma di sostegno alle famiglie, ma l’aiuto si limita a un accompagnamento giuridico e un sostegno psicologico riservato ai familiari più stretti
Il muro da infrangere in Francia è soprattutto quello del luogo comune. Agli occhi dell’opinione pubblica, abitare ed essere uccisi in un quartiere difficile di Marsiglia, avere la pelle scura e un nome che suona poco francese, basta a giustificare un coinvolgimento in traffici illeciti. I racconti di perquisizioni indelicate della polizia nelle case delle vittime, quando la famiglia non era ancora stata messa al corrente dei fatti, sono all’ordine del giorno.
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La morte di Socayna, il 10 settembre del 2023, ha creato una prima crepa nel muro dell’opinione pubblica. La ragazza di 24 anni, studentessa in giurisprudenza, si trovava nella sua camera al terzo piano di un palazzo nel quartiere Saint-Thys di Marsiglia, quando dalla strada un sedicenne ha esploso una raffica di colpi con un kalashinkov AK-47. Uno dei proiettili ha attraversato il muro della stanza di Socayna colpendola in pieno viso.
La totale estraneità alla rete criminale della giovane e la casualità della sua morte hanno commosso la Francia ed è a partire da questo tragico episodio che anche lo sguardo e il registro dei media cominciano a cambiare. “Purtroppo, è necessario che accadano fatti simili per far comprendere alla gente che la morte non risparmia nessuno”, commenta Laetitia Linon. “Non è una storia che riguarda solo i quartieri nord di Marsiglia o la Corsica – continua – ma riguarda tutti. Questo pregiudizio l’Italia l’ha superato decenni fa”.
La mattina del 19 marzo i familiari delle vittime francesi hanno partecipato alle manifestazioni organizzate per ricordare i 30 anni dall’omicidio di don Peppe Diana. Hanno camminato con i casalesi fino al cimitero, dove i nomi delle loro vittime sono stati aggiunti a quelli delle vittime innocenti italiane e letti ad alta voce di fronte alla folla. Non era mai successo prima.
Eppure, malgrado l’emozione, le discussioni interne al gruppo dei familiari rimangono vivaci. Uno dei temi che scaldano maggiormente gli animi riguarda l’opportunità di accostare l’aggettivo “innocente” alla parola vittima. Per molte delle persone arrivate da Marsiglia, la questione è cruciale. Socayna, Sarah e Rayanne sono state descritte come vittime “collaterali”, e quindi innocenti. Ma non per tutti è così.
Uno dei temi che scaldano maggiormente gli animi riguarda l’opportunità di accostare l’aggettivo “innocente” alla parola vittima
Ouassila Kessaci, ad esempio, nel 2020 ha perso suo figlio Brahim, 22 anni, in un regolamento di conti. Malgrado i suoi sforzi di allontanare Brahim dal traffico di droga, non è riuscita a evitare il peggio e quando ha raccontato la sua storia è scoppiata in un pianto disperato. L’idea che suo figlio, risucchiato dal mondo del narcotraffico all’età di 13 anni, non rientri nei parametri dell’innocenza è dura da accettare.
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“Il nostro collettivo ha deciso di lasciare da parte la questione dell’innocenza – spiega ancora Laetitia Linon – perché non siamo nella posizione di pronunciarci sulle colpe di nessuno”. Le vittime sono spesso troppo giovani per ricevere un giudizio, motivo per il quale oggi il collettivo al quale appartiene Laetitia mette in discussione l’aggettivo “innocente”. La mancanza di una legislazione in Francia che fissi delle regole per definire lo status di vittima contribuisce alla confusione e complica il problema. "Ma il semplice fatto di essere qui – conclude Hassna, cugina di Socayna – ci aiuta a vedere più chiaro alcune cose. Ora sappiamo da che parte stiamo andando”.
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