
Autonomia differenziata, referendum bocciato. Avanti su cittadinanza

Aggiornato il giorno 18 aprile 2025
Aggiornamento del 18 aprile 2025: Sono trascorsi 10 anni da quando, il 18 aprile 2015, un barcone di 23 metri è calato a picco nel Mediterraneo, a 85 miglia dalla costa libica. Quel giorno, morirono tra le 700 e le 1.100 persone, tutte migranti, solo 28 sopravvissero. Uno dei superstiti sarà presente alla cerimonia voluta dal Comitato 18 aprile in ricordo di quel tragico evento, nell'anniversario della strage.
Ora a coprire il relitto rimane un telo bianco, ma nulla si muove sul fronte del giardino della memoria, il luogo, aperto al pubblico, che avrebbe dovuto invitare le persone a riflettere su quella strage e sui pericoli delle rotte migratorie. Visitarlo, però, non è facile: il barcone è stato posto all'interno del parcheggio dell'area portuale, tra i pannelli solari e i container, disposti in quella zona per alcuni lavori. Fino a qualche mese fa, era completamente in balia delle intemperie. Come se non bastasse, per entrare serve il permesso. "Abbiamo ottenuto delle autorizzazioni per accedere all'area – dicono dal comitato – e alle 11 ricorderemo le vittime. Un gesto di memoria attiva, che guarda al passato, ma si interroga su cosa sta accadendo nel presente".
Migranti: "A 10 anni dal naufragio, il nostro lavoro per dare un nome alle vittime del Mediterraneo"
Il 18 aprile, il presidente Sergio Mattarella ha dichiarato: "La Repubblica italiana ricorda quelle tante donne e tanti uomini, molti destinati a restare senza nome. È la nostra civiltà a impedirci di voltare le spalle, di restare indifferenti, di smarrire quel sentimento di umanità che è radice dei nostri valori. Nel fare memoria rinnoviamo l’apprezzamento per l’opera di soccorso da parte delle navi italiane che sono riuscite, in condizioni estreme, a salvare vite, rispettando quanto impone la legge del mare. I movimenti migratori vanno governati e l’Unione europea deve esprimere il massimo impegno in questo senso. Il necessario contrasto all’illegalità, la lotta alla criminalità, si nutrono della predisposizione di canali e modalità di immigrazione legali che, con coerenza, esprimano rispetto nei confronti della vita umana".
Per l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi doveva essere "un monito per tutta l’Europa", "ricordarci chi siamo e come dobbiamo combattere una cultura egoistica" sulle politiche migratorie. Papa Francesco l’aveva definito un "simbolo" in grado di "interpellare la coscienza di tutti e abbattere il muro dell’indifferenza". Un barcone di 23 metri, calato a picco a 85 miglia dalla costa libica il 18 aprile 2015 nel più grande naufragio di migranti mai registrato nel Mediterraneo, con un numero di vittime stimato tra 700 e 1.100, aveva l’opportunità di trasformarsi da tomba di innocenti senza nome a monito.
Strage dei migranti, Ciotti: "Deportazioni indotte"
Per questo era stato ripescato un anno dopo a quasi 400 metri di profondità e portato a Melilli, vicino ad Augusta (Siracusa). Ne sono seguiti il difficile recupero dei resti, le polemiche sui costi, l’indecisione sulla collocazione tra Bruxelles, Milano e Genova, lo spostamento a Venezia e il rientro ad Augusta, dove sarebbe dovuto sorgere un giardino della memoria.
Oggi, a quasi dieci anni da quel tragico naufragio, il relitto giace abbandonato sulla nuova darsena del comune siciliano, chiuso al pubblico, tranne per gli anniversari
Oggi, a quasi dieci anni da quel tragico naufragio, il relitto giace abbandonato sulla nuova darsena del comune siciliano, chiuso al pubblico, tranne per gli anniversari. Esposto ai fenomeni meteorologici, rischia di deteriorarsi e diventare ancora più pericolante, eliminando ogni possibilità di trasformarsi in un luogo di commemorazione. "Se ci sono alternative al silenzio in cui è relegato in questo momento, se dobbiamo nasconderlo al mondo ed esiste un altro luogo in cui questo non avverrebbe, forse è meglio che vada là", chiosa rassegnato Enzo Parisi, vicepresidente del Comitato 18 aprile, che tiene viva questa storia e che ha lottato perché il barcone rimanesse ad Augusta.
La mattina del 18 aprile 2015 il peschereccio senza nome salpa dalle coste libiche stipato di persone, per lo più giovani uomini provenienti da Siria, Etiopia, Somalia, Senegal, Mali, Gambia, Costa d’Avorio e Bangladesh. I sopravvissuti parleranno di 700 persone, ma dalle analisi forensi ne risulteranno almeno 300 in più. Durante la notte, l’imbarcazione entra in collisione con un mercantile portoghese inviato in soccorso dalla Guardia costiera italiana e inizia ad affondare. Si salveranno solo 28 persone.
"Il più grande disastro nel grande disastro ancora in corso (le morti nel Mediterraneo, ndr) – ricorda don Giuseppe Mazzotta, impegnato da decenni nell’assistenza materiale e spirituale ai naviganti che approdano ad Augusta –. Quel relitto è la denuncia dell’approccio egoistico e di repulsione con cui l’Italia e l’Europa hanno gestito e continuano a gestire il fenomeno migratorio".
Per don Giuseppe Mazzotta "quel relitto è la denuncia dell’approccio egoistico e di repulsione con cui l’Italia e l’Europa hanno gestito e continuano a gestire il fenomeno migratorio
Qualche giorno dopo il naufragio, il premier Matteo Renzi dichiara: "Andremo in fondo al mare a recuperare quel barcone, perché è giusto che tutto il mondo veda quello che è successo. È inaccettabile continuare a dire come fa qualcuno 'occhio non vede, cuore non duole'". Le complesse operazioni di recupero iniziano un anno dopo e si concludono il 30 giugno 2016, quando il relitto viene posato sul pontile della base della Marina militare di Melilli. Costo dell’operazione, criticatissima dalla destra, 9,5 milioni di euro.
Nuova stretta sugli aerei delle ong che salvano migranti
La squadra della dottoressa Cristina Cattaneo, direttrice del Laboratorio di antropologia e odontologia forense (Labanof) dell’Università statale di Milano, avvia quindi le attività di analisi, classificazione e conservazione dei resti umani al fine di identificarli. Un lavoro che continua tutt’oggi: secondo i dati comunicati a lavialibera dall’uffficio del Commissario straordinario alle persone scomparse, sono 33 le identificazioni completate finora, l’ultima risalente allo scorso 6 giugno.
Nel settembre del 2016 Renzi propone che il barcone venga messo davanti alla nuova sede del Consiglio europeo, ironizzando sui costi dell’immobile: "Almeno, tutte le volte che c’è una riunione, anziché guardare solo i divani nuovi, si guarderà l’immagine di quel barcone e dello scandalo di una migrazione", dice al Corriere della Sera. Alla sua esternazione rispondono, qualche giorno dopo, i senatori Carlo Giovanardi e Maurizio Gasparri: con un’interpellanza chiedono conto dei costi del recupero del relitto e domandano al governo se intenda "rinunciare alla secolare tradizione secondo la quale le navi sono le tombe sacre dei marinai e dei naufraghi".
Strage di Cutro, le colpe nascoste
Bruxelles non è l’unica possibile meta dell’imbarcazione. In lizza anche Milano: il regista messicano Alessandro Iñárritu, che aveva potuto assistere al lavoro del Labanof, vorrebbe portarla in piazza Duomo. La proposta non trova però d’accordo il Comitato 18 aprile, che vuole mantenere il relitto ad Augusta nel nascituro giardino della memoria.
Il regista messicano Alessandro Iñárritu voleva portare il barcone in piazza Duomo, ma la proposta non ha trovato d’accordo il Comitato 18 aprile, che ha sempre spinto per mantenere il relitto ad Augusta
Intanto il barcone rimane ancora sulla banchina e nel novembre del 2017 la questione finisce di nuovo in parlamento: con un’interpellanza urgente, la deputata Lia Quartapelle sollecita la messa in sicurezza e l’eventuale trasferimento nel capoluogo lombardo, dove si è aggiunta anche la possibilità di esporre lo scafo negli spazi dell’Università degli studi di Milano.
Tra i promotori, il Comitato 3 ottobre (fondato dopo un naufragio del 2013), come racconta a lavialibera il presidente Tareke Brhane: "Avevamo proposto di creare un museo interattivo, quell’imbarcazione poteva diventare uno strumento di memoria e di studio, soprattutto per le nuove generazioni, per gli studenti e i ricercatori". Un emendamento in legge di Bilancio avrebbe consentito lo spostamento da un capo all’altro d’Italia, per una spesa di 500mila euro.
Morti nella Manica, i papà chiedono giustizia
Parallelamente, ad Augusta inizia a smuoversi qualcosa. Nel febbraio del 2018, il consiglio comunale approva una mozione per chiedere che il relitto rimanga "come arricchimento del patrimonio museale della città". A fine aprile la proposta di Milano viene meno: lo stesso sindaco Beppe Sala afferma che per valorizzare il messaggio "è giusto che rimanga lì", con un atto di "buonsenso" per il risparmio dei soldi del trasporto eccezionale. Nel frattempo, la proprietà del barcone passa a titolo gratuito dal ministero della Difesa al Comune di Augusta. Un piccolo passo avanti verso la costruzione del giardino della memoria.
A fine aprile 2019 la giunta comunale accetta l’offerta dell’artista svizzero Christoph Büchel di portare il relitto alla Biennale di Venezia. L’opera “Barca Nostra” viene esposta con lo scopo "di rendere la barca un monumento collettivo, il relitto di una tragedia umana ma anche un monumento alle migrazioni contemporanee, affrontando confini reali e simbolici".
Migranti, l'Asgi: "Con il governo Meloni deriva autoritaria"
L’accordo prevede che le spese siano tutte a carico dell’artista e che la restituzione avvenga entro 12 mesi, ma i tempi si allungano a causa della pandemia e un contenzioso tra Büchel e la società incaricata del trasferimento. Intanto, anche Genova si fa avanti per realizzare un museo che consideri il mare come luogo di dialogo tra i popoli e documenti la storia dei migranti.
A sei anni dal naufragio, il 20 aprile 2021, il relitto rientra al porto di Augusta. Viene accolto ufficialmente sulla nuova darsena il 13 giugno, durante una cerimonia presenziata dalle autorità civili e religiose e dai membri del Comitato. Lo stesso Papa Francesco saluta l’evento durante l’angelus domenicale. I mesi, però, passano e il relitto rimane parcheggiato sull’asfalto, tra le auto dei dipendenti dell’autorità portuale, esposto a sole, pioggia, vento e salsedine.
Il 20 aprile 2021, sei anni dopo il naufragio, il relitto è rientrato al porto di Augusta. Papa Francesco saluta l’evento durante l’angelus domenicale
Uno stato di abbandono che dura fino a oggi, come può documentare lavialibera. Dalla strada, sopraelevata di qualche metro, il relitto è praticamente invisibile: la vista è ostacolata prima da canne e rovi, poi dalle sbarre di ferro che delimitano l’area portuale, lasciando scorgere a malapena la prua arrugginita. "Avrei dato un’altra collocazione, magari all’ingresso della città – commenta Cettina Di Pietro, sindaca di Augusta dal 2015 al 2020 –. Questa scelta riflette il venir meno dell’interesse della cittadinanza e dell’amministrazione per i fenomeni migratori. Da quando gli sbarchi sono stati confinati al porto commerciale, lontano dagli occhi, la città che nei primi anni era stata molto attiva, aprendo scuole e palestre per accogliere i rifugiati, si è sentita sempre meno coinvolta".
Majidi e Marjan, in fuga dall'Iran, presunte scafiste
Concorda don Mazzotta, che agli inizi si era detto disponibile ad accogliere il relitto nella propria parrocchia: "Lì è visto solo come un impedimento. Se lo nascondi tra le auto e i pannelli solari non lo valorizzi, lo stai soltanto sopportando nell’attesa che marcisca definitivamente e si tolga il problema". Per accedere all’area è necessario il via libera dell’autorità portuale o della capitaneria di porto, che otteniamo dopo diversi tentativi. Gli agenti della sicurezza all’ingresso, incuriositi, ci chiedono il perché della nostra visita: non conoscono la storia del barcone e sono increduli quando raccontiamo che è stata la tomba di mille persone.
Davanti alla prua è fissata una croce di legno, senza alcuna iscrizione. Il rosso e l’azzurro acceso che una volta coloravano lo scafo si possono solo intuire: un anno passato sul fondo del mare ha divorato la vernice e la ruggine sta completando l’opera. Il fianco sinistro, quello rivolto verso il mare e quindi non visibile dalla strada, presenta una finestra perfettamente quadrata: è quella che hanno tagliato i vigili del fuoco dopo aver ripescato il relitto per potersi introdurre e recuperare i resti umani.
Dare un nome ai migranti morti è quasi impossibile
L’asfalto sotto il barcone è disseminato di macchie color ruggine e pezzi di legno, probabilmente staccatisi dallo scafo. Non certo il giardino della memoria promesso. Eppure, secondo Parisi, il vicepresidente del Comitato 18 aprile, ci vorrebbe poco: "Basterebbe mettere una copertura consona, un po’ di verde attorno, delle panchine, un ingresso, un’iscrizione con i nomi delle vittime. E poi renderlo accessibile al pubblico, realizzando un camminamento che dalla strada permetta di raggiungere un punto di osservazione indipendente dagli ingressi dell’area portuale".
In realtà, un piccolo, lento passo in questa direzione è stato fatto: nel maggio del 2022, la giunta comunale ha approvato un progetto per realizzare una "copertura in struttura leggera in alluminio con relativo tendone in pvc" dal costo di circa 70mila euro e a dicembre dello stesso anno ha affidato i lavori a un’azienda locale. A oggi, però, si vede solo il telaio d’acciaio, che non impedisce a pioggia, vento e salsedine di continuare a danneggiare la barca.
Salvò 47 migranti a Lampedusa: "Ora ho paura del mare"
"Sembra che abbiano messo la memoria in gabbia", commenta Parisi. Il progetto completo non è consultabile e il Comune di Augusta non ha risposto alle richieste de lavialibera. In ogni caso, non basta un telo in pvc per restituire dignità a quel simbolo: "Possono costruire qualsiasi copertura, ma se non c’è un impegno, un progetto di valorizzazione, rimarrà sempre abbandonato – commenta Brhane –. Ci sono moltissime realtà pronte a prendersene cura, anche in Sicilia, ma manca la volontà politica. Non si vuole far vedere, ci si volta dall’altra parte, che si tratti dei vivi o dei morti. Come li abbiamo lasciati morire, ora lasciamo marcire il relitto".
Intanto, al decennale mancano pochi mesi. "C’è un tempo in cui i frutti si possono raccogliere, poi diventa troppo tardi – conclude don Mazzotta –. Se il prossimo aprile non sarà cambiato nulla, avremo vanificato il segno".
Da lavialibera n° 29, Tutti dentro
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti
NUMERO SPECIALE: Libera compie trent'anni e guarda avanti: l'impegno per l'affermazione della libertà contro ogni forma di potere mafioso è più che mai attuale
La tua donazione ci servirà a mantenere il sito accessibile a tutti