Torino, 26 marzo 2025. Un flash mob in piazza Carignano all'apertura della Biennale Democrazia (Foto Elisa Giuliano)
Torino, 26 marzo 2025. Un flash mob in piazza Carignano all'apertura della Biennale Democrazia (Foto Elisa Giuliano)

Biennale democrazia, occasione persa per i giovani

L'evento coinvolge relatori esperti, accademici e giornalisti ma è troppo distante dalle nuove generazioni, sotto il profilo del linguaggio e dei contenuti. Per questo la formula di Biennale Democrazia andrebbe ripensata

Laura Fischer

Laura FischerAttivista Acmos

Lucio Tasca

Lucio TascaAttivista Acmos

1 maggio 2025

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Tra i numerosi eventi, incontri e dibattiti che hanno animato l’ultima edizione di Biennale Democrazia, a Torino dal 26 al 30 marzo, ce n’è stato uno per noi di grande valore: il Campus Giovani gestito dall’associazione Acmos, capace di coinvolgere oltre 200 ragazze e ragazzi di quarta e quinta superiore provenienti da tutta Italia, che per cinque giorni hanno vissuto Torino non solo come spettatori, ma come protagonisti di un percorso formativo, culturale e soprattutto umano. Abbiamo costruito un rapporto autentico laddove le istituzioni spesso fanno fatica: parlando con un linguaggio che meglio rappresenta le nuove generazioni e facendo sentire i partecipanti parte attiva di qualcosa di più grande.

Fin dalla prima edizione di Biennale Democrazia, Acmos si è occupata della gestione del Campus Giovani, convinta che partecipare alla democrazia non è solo un diritto da esercitare nelle urne, ma un’attitudine da allenare ogni giorno. In questo senso, il Campus è un laboratorio intrinsecamente democratico: un contesto in cui chi partecipa ha la possibilità di un confronto, rielaborare e prendere parola. L’importanza della partecipazione come pratica quotidiana inizia proprio dall’inclusione e dal protagonismo delle giovani generazioni.

A Biennale Democrazia, generazioni distanti

"Ci ha deluso la composizione dei relatori: esperti, accademici, giornalisti, tutte figure competenti ma appartenenti a una generazione distante da quella che a nostro parere andava coinvolta"

Dopo aver partecipato a Biennale Democrazia ci è rimasta però addosso una sensazione di distanza tra chi ha parlato e chi, in teoria, avrebbe dovuto ascoltare. Ci ha deluso la composizione dei relatori: esperti, accademici, giornalisti, tutte figure competenti ma appartenenti a una generazione distante da quella che a nostro parere andava coinvolta. La grande assente, paradossalmente, è stata proprio la componente giovanile. C’eravamo, ma la nostra presenza è risultata quasi invisibile; le sale erano gremite, ma l’età media dei partecipanti decisamente alta. Forse bisogna chiedersi se davvero questi eventi vogliono rivolgersi anche ai giovani, oppure, al contrario, continuare a essere calati dall’alto, con un linguaggio che non appartiene a chi oggi ha vent’anni.

Poi c’è il tema dei contenuti. Tutto troppo teorico, accademico, come se stessimo assistendo a una lezione universitaria, con scarsa interazione. Detto questo, alcuni incontri hanno lasciato il segno. È il caso di Su tre cose si regge il mondo: verità, giustizia e pace, curato dal giurista Gustavo Zagrebelsky, che ha offerto una profonda riflessione su questi tre concetti fondamentali, mettendo in luce come siano interconnessi nel determinare il destino delle società e degli individui.

Zagrebelsky: "La tensione tra politica e giustizia è fisiologica, ma si è andati oltre"

Narrazione alternativa

Altrettanto interessante l’incontro dal titolo Il secolo mobile con Gabriele Del Grande, giornalista e autore impegnato sulle rotte migratorie, che ci ha restituito una visione ampia e profonda: le migrazioni non sono l’eccezione, ma la regola della storia. Se il Novecento è stato il secolo delle ideologie (e dei colonialismi, che hanno spostato con la forza milioni di persone), il Duemila è il secolo della mobilità. Ogni anno milioni di persone si spostano a causa di guerre, crisi climatiche, disuguaglianze economiche. con la speranza di trovare altrove una vita migliore, ma il dibattito pubblico tende a ridurre il fenomeno a numeri o problemi.

Del Grande ha ribaltato questa narrazione mettendo al centro le storie, le cause profonde, le responsabilità politiche. Ha parlato di confini che uccidono, leggi che escludono, narrazioni che giustificano crudeltà, ma anche di resistenza, solidarietà e possibilità. Con dati, reportage e racconti di vita vissuta, Del Grande ha guidato il pubblico in un viaggio geografico e morale, un incontro capace di scuotere, concreto e vero.

Un’idea di pace

"Biennale Democrazia resta un momento importante e molte voci sono state stimolanti, ma forse è tempo di rinnovarne la formula"

Un altro incontro è partito da una domanda centrale: "Vogliamo ragionare a partire dalla guerra o dalla pace?" La risposta, proposta da Tommaso Greco, rovescia l’approccio dominante: se partiamo dalla pace, comprendiamo meglio cosa ce ne allontana. E l’idea del riarmo europeo, letta da questa prospettiva, perde senso.

Leggi "La pace è un altro gioco", il numero de lavialibera sul fare la pace

Armarsi non rende più sicuri, non impedisce le aggressioni. Oggi serve cercare strumenti per costruire, vivere e mantenere la pace a tutti i livelli. Dalle relazioni quotidiane, basate sul riconoscimento e la solidarietà, al rafforzamento delle istituzioni internazionali. Le riflessioni di Greco ci hanno offerto speranza, perché oggi parlare di pace come punto di partenza, e non come semplice interruzione della guerra, è rivoluzionario.

Biennale Democrazia resta un momento importante e molte voci sono state stimolanti, ma forse è tempo di rinnovarne la formula. Serve creare spazi dove le generazioni dialoghino davvero, dove chi sta vivendo il cambiamento abbia voce e dove il pensiero critico non resti chiuso tra le righe di un programma ben confezionato. Perché la democrazia se vuole essere viva ha bisogno di tutti. Soprattutto di chi il futuro lo dovrà abitare.

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