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23 maggio 2025
Il 13 maggio, poco prima di mezzanotte, János Halász, un deputato del partito ungherese di destra Fidesz, presieduto dal primo ministro Viktor Orbán, ha presentato un disegno di legge sulla “trasparenza della vita pubblica” attraverso il quale la maggioranza di governo vuole mettere a tacere media e giornalisti indipendenti, nonché tutte le organizzazioni che ricevono finanziamenti dall’estero, incluse le donazioni e le sovvenzioni dall’Unione europea. Secondo i promotori, la legge serve a contrastare chi minaccia “la sovranità dell'Ungheria influenzando la vita pubblica”, ma è chiaro come il fine ultimo sia silenziare gli oppositori del governo e, più in generale, chi la pensa diversamente.
Libertà di stampa, l'Italia e il mondo retrocedono
Zsófia Fülöp è una giornalista e fact checker di Lakmusz, l’unica testata ungherese indipendente specializzata in fact checking, il processo di verifica di fatti, dichiarazioni politiche e di altro tipo su larga scala. Lakmusz ha iniziato la sua attività nel gennaio 2022 e da allora i nove tra giornaliste e giornalisti che ne fanno parte lavorano come membri del polo anti disinformazione dell'Osservatorio ungherese dei media digitali (Hdmo) e per la rete dell'Osservatorio europeo dei media digitali (Edmo). La testata è anche firmataria certificata dell'International fact checking network (Ifcn) e dell'European fact checking standards network (Efcsn).
In Italia la libertà di stampa è sempre più minacciata
“Non siamo gli unici a essere in pericolo – spiega Fülöp a lavialibera –, rischiano anche le organizzazioni che ricevono finanziamenti e donazioni dall'estero, comprese le ong. Una volta inseriti nell'elenco, la Tax Authority (l’equivalente della nostra Agenzia delle entrate ndr) esamina ogni transazione proveniente dall'estero e decide se bloccare e interrompere qualsiasi movimento di denaro”. Se la proposta diventasse legge, il governo, attraverso l’Ufficio per la protezione della sovranità, potrà inserire media e organizzazioni considerate “problematiche” in una lista speciale, controllare e congelare i loro conti bancari, obbligare i direttori responsabili a presentare dichiarazioni patrimoniali pubbliche nonché disporre sanzioni.
In questi giorni Fülöp e altri giornalisti indipendenti hanno inoltrare numerosi messaggi d’aiuto nel resto d’Europa, chiedendo ai colleghi di denunciare quello che definiscono “un grave attentato alla libertà di stampa e al dibattito pubblico democratico”. Oltre 90 tra caporedattori e direttori dei media europei hanno firmato una dichiarazione in cui si chiede all'Unione Europea di intervenire contro il ddl, un facsimile della legge russa sugli agenti stranieri varata nel 2012, che nei mesi scorsi la Corte europea dei diritti dell’uomo ha definito “stigmatizzante, fuorviante, arbitraria e utilizzata in modo eccessivamente ampio e imprevedibile".
In questi giorni molti giornalisti indipendenti hanno inoltrare messaggi d’aiuto nel resto d’Europa, chiedendo ai colleghi di denunciare “un grave attentato alla libertà di stampa e al dibattito pubblico democratico”
In particolare, la Corte di Strasburgo ha condannato la Russia per il modo in cui è stata applicata la legge a 107 ong, media e individui della società civile. “Lo scopo di Mosca – hanno spiegato i giudici europei – era quello di punire e intimidire piuttosto che di rispondere a una presunta esigenza di trasparenza o a legittime preoccupazioni per la sicurezza nazionale".
In Ungheria la maggior parte dei media, inclusi quelli pubblici, è già nelle mani dell’esecutivo. “La quasi totalità dei notiziari locali – dice Fülöp – numerosi canali televisivi e radiofonici, nonché un'enorme quantità di notizie online sono sotto il controllo del governo. Ne è la riprova la Fondazione per la stampa e i media dell’Europa centrale, un enorme conglomerato composto da oltre 500 organizzazioni di media, tutte collegate al governo. Dall'altra parte, esistono ancora i media indipendenti, ma è molto difficile contrastare questa enorme supremazia”.
In Ungheria la maggior parte dei media, inclusi quelli pubblici, è già nelle mani del governo. E per i giornalisti indipendenti ottenere informazioni è molto complicato
Se il controllo è evidente, la censura diretta, almeno per il momento, non c'è. “Possiamo ancora scrivere liberamente quello che vogliamo – precisa Fülöp –, anche se negli ultimi dieci-quindici anni chi detiene il potere ha reso il nostro lavoro sempre più duro. È difficile ottenere informazioni e dati, per non parlare di commenti o interviste dal governo e dai suoi membri. Ci sono state campagne diffamatorie contro i giornalisti, soprattutto quelli indipendenti, mentre un altro modo per silenziarci è acquistare la casa editrice, trasformare la redazione e costringere i lavoratori a dimettersi”.
Lo scorso febbraio il presidente Orbán ha promesso una "pulizia di primavera" in difesa della sovranità nazionale e il disegno di legge che punta a cancellare organizzazioni e media indipendenti sembra esserne l'attuazione.
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“Sono convinta – osserva Fülöp – che serva gli interessi del governo su due livelli diversi: retoricamente, pone la questione dell'influenza straniera, dell'ingerenza straniera o persino di agenti stranieri al centro del discorso politico; concretamente, rende più difficile il lavoro dei media e delle organizzazioni della società civile indipendenti che criticano il governo. Da parte nostra, respingiamo categoricamente l'accusa secondo cui i finanziamenti esteri che riceviamo influenzino gli articoli che produciamo, abbiamo sempre lavorato in piena libertà. Le prossime elezioni in Ungheria si terranno ad aprile o maggio 2026 e un provvedimento simile a ridosso del voto non può essere casuale”.
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Nonostante le difficoltà, Zsófia Fülöp e altri giornalisti sono decisi a rimanere nel loro Paese e difendere a oltranza la libertà di stampa, ma non tutti resistono. “Tanti colleghi hanno preferito lasciare la professione e ora fanno un mestiere diverso, altri sono andati all'estero e hanno cambiato vita, ma molti giornalisti lavorano ancora in Ungheria e non pensano di andarsene. Capisco chi lascia tutto, non è facile. Ho iniziato a lavorare come giornalista nel 2013, quindi già sotto il regime di Orbán, ma all'epoca era tutto diverso, potevo intervistare i membri del governo, partecipare alle conferenze stampa o ottenere facilmente delle informazioni da un'autorità. Non mi sentivo nemica, adesso invece sento di esserlo”.
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