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2 maggio 2025
Ventesimi su 27 in Unione europea, ultimi tra gli Stati fondatori: la classifica 2025 di Reporter senza frontiere certifica un ulteriore arretramento della libertà di stampa in Italia, che si attesta al 49esimo posto a livello globale perdendo tre posizioni rispetto all’anno scorso e otto rispetto a quello precedente. Un trend in discesa che segue quello globale: per la prima volta da quando l’ong cura il rapporto annuale, l’indicatore dello stato di salute dell’informazione nel mondo scende sotto la soglia critica di 55 punti su 100, raggiungendo il livello definito “difficile”. Pesano la crisi economica del settore, le ingerenze di governi e attori privati e gli attacchi contro redazioni e giornalisti negli scenari di guerra, primo fra tutti quello di Gaza.
A Gaza è in corso una strage, anche di giornalisti
L’Europa, che si conferma l’area in cui la libertà della stampa è meglio tutelata, registra comunque crescenti violazioni. “Ciò che ci preoccupa maggiormente è che i giornalisti siano posti sotto sorveglianza – dice a lavialibera Pavol Szalai, responsabile dell’area Ue-Balcani per Reporter senza frontiere –. È una pratica che si è diffusa dalla Grecia all’Ungheria passando per la Francia, fino all’Italia”.
"In Europa preoccupa la sorveglianza sui giornalisti. Sul caso del direttore di Fanpage Cancellato chiediamo indagini indipendenti e trasparenti"Pavol Szalai - Reporter senza frontiere
Il riferimento è al caso del direttore di Fanpage Francesco Cancellato, il cui telefono è stato spiato attraverso il software Graphite, venduto dalla società israeliana Paragon Solutions a diversi governi, tra cui quello italiano. “Condanniamo quanto è successo e chiediamo alle autorità di fare luce in maniera indipendente e trasparente”, dice Szalai. Proprio giovedì un altro giornalista di Fanpage, Ciro Pellegrino, ha dichiarato di aver ricevuto sul cellulare la notifica di un attacco spyware.
A minacciare la libertà di stampa in diversi Stati europei è anche la scarsa indipendenza del servizio pubblico. “In Italia lo vediamo con la Rai, i cui problemi strutturali noti da tempo si sono amplificati sotto questo governo con quella che è stata chiamata TeleMeloni – prosegue Szalai –. L’esecutivo ha approfittato delle crepe esistenti per aumentare le pressioni politiche e allineare il più possibile l’informazione alla propria agenda”. Criticità già evidenziate dalla Commissione europea nel rapporto sullo stato di diritto dello scorso luglio e continuamente denunciate dai sindacati dei giornalisti.
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Il Media freedom act obbliga gli Stati Ue tutelare maggiormente l'indipendenza e il pluralismo dei media e il lavoro dei giornalisti, ma molti, Italia inclusa, non l'hanno implementato
Per porre rimedio, l’anno scorso il parlamento europeo ha approvato il Media freedom act, frutto di un accordo con la Commissione e il Consiglio, che obbliga gli Stati ad adottare entro il prossimo 8 agosto misure per rafforzare l’indipendenza delle emittenti pubbliche, proteggere i giornalisti dalla sorveglianza indebita e accrescere la trasparenza sulla proprietà dei media privati. “Molti Stati membri, compresa l’Italia, ancora non l’hanno implementato e difficilmente lo faranno entro il termine fissato – teme Szalai –. Ma non siamo neanche sicuri che la nuova Commissione Von der Leyen abbia la volontà politica di farlo rispettare. Continueremo a chiedere che sia intransigente nell’esigere l’implementazione”.
A pesare sul punteggio dell’Italia è anche il primato a livello europeo per il numero di querele temerarie o slapp (strategic lawsuits against public participation), cioè le denunce per diffamazione, spesso infondate, mosse da politici e aziende oggetto di inchieste giornalistiche con lo scopo di intimidire gli autori. Infine, “preoccupano gli appetiti di alcuni politici italiani verso testate come l’Agi – aggiunge Szalai –, non per il passaggio di proprietà in sé, ma per il timore di ingerenze sull’attività editoriale”. Il riferimento è alle notizie secondo cui l’imprenditore e deputato leghista Antonio Angelucci, già editore di diversi giornali di destra, sarebbe in trattativa per acquisire l’Agi, la seconda agenzia di stampa italiana di proprietà dell’Eni, a sua volta controllata dal ministero dell’Economia.
Come l’Italia, sono 112 gli Stati per cui Reporter senza frontiere registra un deterioramento della libertà di stampa, oltre il 60 per cento dei 180 analizzati. Cala soprattutto l’indicatore economico, che misura la capacità dei media di autosostenersi e le pressioni di natura finanziaria che subiscono sia da parte dei governi sia da parte dei proprietari privati. “Per i primi, registriamo la mancanza di equità e trasparenza nell’erogazione dei fondi pubblici, che spesso sono usati per premiare le testate ‘leali’ e negati invece a quelle critiche – spiega Szalai –. Per i secondi, preoccupano i frequenti conflitti d’interessi”.
Sempre più redazioni si trovano costrette a scegliere tra indipendenza e sopravvivenza economica e molte chiudono i battenti. Negli Stati uniti, questo sta trasformando intere aree in "deserti mediatici"
Così, si legge nel report, “i media si trovano spesso a dover scegliere tra indipendenza e sopravvivenza economica”. E sono sempre più quelli costretti a chiudere i battenti. Tra i paesi maggiormente colpiti ci sono gli Stati uniti, dove la crisi del settore, soprattutto del giornalismo locale, sta trasformando intere aree in “deserti mediatici”. A questo si aggiunge la decisione di Donald Trump di smantellare l’agenzia governativa per i media globali (Usagm) e quella per gli aiuti allo svilupo (Usaid), che contribuivano al sostentamento di centinaia di testate nel mondo.
Sempre sul fronte economico, Reporter senza frontiere punta il dito contro le piattaforme big-tech, che non solo “si accaparrano i proventi pubblicitari” derivati dalla condivisione dei contenuti d’informazione “che dovrebbero invece sostenere il giornalismo”, ma “contribuiscono alla proliferazione della disinformazione”.
Senza sorprese, il luogo più ostile per i giornalisti si conferma la Striscia di Gaza, dove “la situazione è disastrosa”: sono più di 200 i professionisti dell’informazione uccisi dall’esercito israeliano dal 7 ottobre 2023 e intere redazioni sono state rase al suolo, crimini per i quali Reporter senza frontiere ha sporto denuncia alla Corte penale internazionale.
Media e guerra, un racconto distorto
Ma la guerra in Medio oriente ha conseguenze anche sulla libertà di stampa in Europa: Szalai cita l’esempio della Germania, dove “diversi giornalisti sono stati attaccati mentre coprivano manifestazioni pro-Palestina e molti media, anche in altri Stati, hanno mostrato un’evidente mancanza di imparzialità nel racconto di ciò che succede a Gaza”.
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