Corinne Vella, sorella di Daphne Caruana Galizia, a Malta
Corinne Vella, sorella di Daphne Caruana Galizia, a Malta

Daphne Caruana Galizia, la sorella: "L'Ue protegga i giornalisti"

Intervista a Corinne Vella, sorella della giornalista uccisa a Malta nel 2017: una delle vittime internazionali inserite nella lista della Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime di mafia del 21 marzo, quest'anno a Milano. In discussione al Consiglio Ue c'è la cosiddetta legge Daphne, una direttiva proposta dalla Commissione contro le querele temerarie. "La proposta era ben fatta, ma il testo rivisto in Consiglio è peggiorativo", commenta Vella

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoGiornalista

20 marzo 2023

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MALTA - "Gli Stati Ue hanno l'obbligo di proteggere giornalisti e attivisti dalle querele temerarie". Lo dice Corinne Vella, sorella di Daphne Caruana Galizia, la giornalista uccisa a Malta il 16 ottobre del 2017. Quello di Caruana Galizia è uno dei nomi internazionali inseriti nella lista della Giornata della memoria in ricordo delle vittime di mafia del 21 marzo.

In questi giorni in discussione al Consiglio Ue c'è la cosiddetta legge Daphne, una direttiva proposta dalla Commissione europea contro le querele temerarie, in inglese conosciute con il nome di Slapp (acronimo di strategic lawsuit against public participation) cioè le cause intentate contro singoli o gruppi di attivisti e giornalisti con il solo scopo di scoraggiarli o intimidirli, a causa dei risarcimenti da versare in caso di sconfitta.

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Quando era in vita, Daphne doveva far fronte a 47 cause: cinque di natura penale, che avrebbero potuto costarle la prigione, e le altre 42 di tipo civile. Gli autori: politici, imprenditori, tutti potenti. Nei mesi precedenti al suo assassinio, c'era stata una escalation. "La proposta della Commissione era ben fatta – commenta Vella –. Tuttavia, una settimana fa è stato diffuso il testo di compromesso su cui sta discutendo il Consiglio dell'Unione. Inaspettatamente, si tratta di un pacchetto non solo peggiorativo rispetto alla proposta originaria, ma persino rispetto allo stato attuale".

Malta la commemorazione del 21 marzo è stata anticipata di qualche giorno. Ogni 16 del mese, nella piazza del Grande assedio dell'isola, c'è una veglia per ricordare la giornalista uccisa. Questa volta è stata molto sentita perché qualche settimana fa il tribunale ha dichiarato fraudolenti gli accordi per la privatizzazione di tre ospedali dell’isola che il governo aveva firmato con alcune società. Accordi che Daphne aveva denunciato nel 2015. Eppure, fino ad ora nessuno è stato mai chiamato a rispondere della corruzione che la giornalista raccontava. "Non c'è stata ancora alcuna giustizia per le storie di Daphne", dice Vella aggiungendo: "Sull'isola, la corruzione è una sorta di business. La popolazione la accetta da sempre perché guadagna comunque e fa fatica a metterla in relazione ai fallimenti della società. Possiamo dire che la stessa percezione della corruzione sia corrotta. Si tratta di un problema culturale che richiede tempo, ma almeno abbiamo iniziato a riconoscerlo e a parlarne".

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"Non c'è stata ancora alcuna giustizia per le storie di Daphne. Tutti gli affari illeciti che mia sorella ha documentato avevano sempre gli stessi protagonisti. Nessuno di loro ha mai dovuto affrontare un processo, né tantomeno è stato mai condannato per i reati commessi"

Ritiene che i processi che hanno riguardato la morte di sua sorella siano stati giusti?
Non me la sento di commentare vicende giudiziarie ancora in corso, ma sono stata soddisfatta per ogni piccola conquista raggiunta. Provo molta ammirazione per le persone che stanno cercando di far funzionare le cose, nonostante i tanti ostacoli e la situazione incredibilmente difficile in cui lavorare.

Una foto della manifestazione in ricordo di Daphne
Una foto della manifestazione in ricordo di Daphne

Tre uomini che l'hanno uccisa sono in prigione. Daphne ha avuto piena verità e giustizia?
Non ancora. Il procedimento penale nei confronti delle persone che avrebbero fornito la bomba e del presunto mandante dell'assassinio, che avrebbe commissionato l'omicidio e pagato i killer, è ancora aperta. Ma soprattutto non c'è stata alcuna giustizia per le storie raccontate da Daphne. Scrivendo di politica, mia sorella ha scoperchiato casi di corruzione e malaffare che coinvolgevano i precedenti vertici delle istituzioni. Un esempio: gli accordi siglati dal governo che ha portato alla privatizzazione di tre ospedali dell'isola. Daphne l'ha denunciato nel 2015, prima ancora che gli accordi fossero siglati, dando conto delle riunioni che si stavano tenendo. Poche settimane fa il tribunale civile di Malta ha dichiarato quegli accordi illegittimi, e ora la gente scende in piazza scandendo lo slogan: Daphne aveva ragione. Tutti gli affari illeciti che mia sorella ha documentato avevano sempre gli stessi protagonisti: l'ex primo ministro del partito laburista, il suo capo dello staff, e l'uomo che è stato ministro sia dell'energia sia della salute. Nessuno di loro ha mai dovuto affrontare un processo, né tantomeno è stato mai condannato per i reati commessi. 

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Crede che gli ex vertici delle istituzioni siano coinvolti nella morte di sua sorella?
Di certo, erano coinvolti nella corruzione e nel clima di impunità che ha portato all'uccisione di Daphne, e che permane tutt'oggi. All'ex primo ministro piace dire che i magistrati non hanno trovato prove di una qualche sua colpevolezza in crimini finanziari, o altri reati, ma diverso è sostenere di essere innocenti. Lo Stato deve essere considerato responsabile della morte di mia sorella: ha fallito nel proteggerla, legittimando una campagna d'odio e disumanizzante nei suoi confronti. Non lo dico io. L'ha stabilito la commissione d'inchiesta indipendente sul caso che è stata costituita nel 2019, dopo una risoluzione del consiglio d'Europa e molta pressione da parte delle organizzazioni che proteggono la libertà di espressione e di stampa, tra le altre. Il risultato è stato un report di oltre 400 pagine in cui si evidenzia come "lo Stato debba assumersi la responsabilità dell'assassinio di Daphne perché ha creato un'atmosfera di impunità generata dai livelli più alti nel cuore dell'amministrazione, all'interno dell'ufficio del primo ministro, che come una piovra si è diffusa ad altri organismi, come la polizia e le istituzioni regolatorie, portando al collasso dello stato di diritto". La commissione d'inchiesta ha anche pubblicato una serie di raccomandazioni per migliorare la situazione sull'isola. Era il luglio del 2021. Siamo a marzo del 2023 e l'unica raccomandazione che è stata implementata è la creazione di una commissione di esperti sul giornalismo, il cui lavoro però viene ignorato dal governo. Non era opzionale implementare le raccomandazioni, era un obbligo, che lo Stato non ha adempiuto.

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L'attuale primo ministro Robert Abela non è mai stato molto critico nei confronti del suo predecessore. Come lo giudica?
Non lo è stato perché è grazie a lui che si trova al potere. Una volta ha accusato la nostra famiglia di tenerci più a criticare il governo che a ottenere giustizia per Daphne, poi si è scusato. Rimane il fatto che la sua carriera non si iscrive in una tradizione politica di idee come la difesa dei diritti o della libertà di espressione, e lui stesso riconosce di dovere la sua posizione a persone con interessi poco trasparenti. Con la sua premiership, sotto certi aspetti, la situazione è persino peggiorata: c'è stato un deterioramento rispetto alla possibilità di ottenere le informazioni. Faccio un esempio che rende bene l'idea della situazione: il governo ha commissionato una valutazione sul nostro Foia, Freedom of information act (la normativa che garantisce ai cittadini il diritto di accesso alle informazioni, ndr). Il risultato dell'indagine non è stato pubblicato e quando un giornale ha chiesto accesso al rapporto, tramite Foia, gli è stato negato. Inoltre, è più difficile fare domande ai politici. Abela non ha ancora rilasciato alcuna vera e propria intervista a media indipendenti.

Ci sono stati cambiamenti positivi dopo la morte di sua sorella?
La creazione di una società civile, seppur ancora molto fragile. Ha attecchito l'idea che puoi avere una voce, anche al di là delle bandiere politiche, e che chi critica l'operato del governo non è un sabotatore o un nemico dello Stato. I cittadini sono meglio informati e c'è una maggiore comprensione di quanto la corruzione abbia danneggiato la collettività.

Però la corruzione è ancora un problema per l'isola.
Non si può sperare che scompaia da un giorno all'altro. La corruzione è una sorta di business. La popolazione la accetta da sempre perché guadagna comunque e fa fatica a metterla in relazione ai fallimenti della società. Possiamo dire che la stessa percezione della corruzione sia corrotta. Si tratta di un problema culturale che richiede tempo, ma almeno abbiamo iniziato a riconoscerlo e a parlarne.

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Muscat, Schembri e Mizzi (rispettivamente l'ex primo ministro, ex capo dello staff e il precedente ministro sia dell'ambiente sia dell'energia) hanno ancora il potere economico e politico che avevano prima che Daphne fosse uccisa?
L'ex primo ministro si è sistemato con le consulenze. Prima di dimettersi, nel 2020, si è auto-garantito un pacchetto di fine rapporto molto generoso di cui di recente abbiamo conosciuto i dettagli grazie a un'interrogazione parlamentare: prevede un salario, un ufficio, un passaporto diplomatico, una macchina per sé stesso e sua moglie, e altri benefit. Gli altri hanno ancora molti affari sull'isola. Quello che rimane del loro potere si fonda sul ricatto, sul denaro e su rapporti di lealtà reciproci, ma vedremo quel che succederà quando uno di loro cederà.

"Daphne era costantemente costretta a fare i conti con problemi giudiziari, ad andare in tribunale, pagare gli avvocati, e vedere infangato il proprio lavoro agli occhi dell'opinione pubblica. Gli accusatori, per lo più uomini, erano tutti politici, imprenditori: potenti"

La fondazione dedicata a sua sorella (Daphne Caruana Galizia Foundation) ha molto a cuore la battaglia contro le Slapp (acronimo di strategic lawsuit against public participation) cioè le cause intentate contro singoli o gruppi con il solo scopo di scoraggiarli o intimidirli, a causa dei risarcimenti da versare in caso di sconfitta. Qual è la loro importanza?
Il tema ha un'importanza sia personale sia professionale. Quando Daphne è morta, ignoravo il termine Slapp. Una pratica diffusa che viene usata in modo organizzato e sistemico per mettere a tacere giornalisti e attivisti, ma invisibile, dato che questi procedimenti sono formalmente legittimi. Nei fatti, il loro scopo principale è assorbire soldi ed energie della vittima fino al punto da costringerla a non seguire più una determinata vicenda, costituendo anche un precedente che scoraggia tutti gli interessati a occuparsi della stessa storia. Alla morte di mia sorella, molte organizzazioni non governative sono rimaste scioccate nello scoprire che Daphne doveva far fronte a 47 cause: cinque di natura penale, che avrebbero potuto costarle la prigione, e le altre 42 di tipo civile. Senza che lei lo sapesse, era stata citata in giudizio persino in Arizona, negli Stati uniti: le chiedevano un risarcimento da 40 milioni di dollari. Gli accusatori, per lo più uomini, erano tutti politici, imprenditori: potenti. Uno di loro le aveva fatto causa ben 19 volte. Daphne era costantemente costretta a fare i conti con problemi giudiziari, ad andare in tribunale, pagare gli avvocati, e vedere infangato il proprio lavoro agli occhi dell'opinione pubblica. Difficile far credere di essere nel giusto, se sei soggetto di denunce. Poco prima dell'omicidio, c'è stata un'escalation di procedimenti avviati contro di lei. Ora, a pagarne le spese è anche la sua famiglia: le cause penali si sono estinte con la morte di Daphne, ma non quelle civili. Alcuni giorni dopo l'assassinio di sua madre, suo marito e mio nipote erano in tribunale per rispondere delle accuse rivolte a mia sorella. Porre fine alle Slapp significa proteggere il lavoro dei giornalisti, di cui beneficia l'intera collettività: in gioco c'è il diritto di sapere, quindi di mettere il potere davanti alle proprie responsabilità.

Quali sono i prossimi passi?
La Commissione europea ha proposto una direttiva, informalmente chiamata legge Daphne, per garantire adeguate tutele contro le Slapp a tutti i giornalisti europei, difensori dei diritti umani, e attivisti. La proposta della Commissione era ben fatta. Tuttavia, una settimana fa è stato diffuso il testo di compromesso su cui sta discutendo il Consiglio Ue. Inaspettatamente, si tratta di un pacchetto non solo peggiorativo rispetto alla proposta originaria, ma persino rispetto allo stato attuale: va contro il proposito stesso della direttiva, non garantendo adeguata protezione a giornalisti e attivisti. Quindi, adesso, l'obiettivo prioritario deve essere avere una buona direttiva, perché averne una cattiva significa perdere un'opportunità, almeno fino alla prossima generazione. Gli Stati Ue sono obbligati a proteggere i giornalisti e di far cessare le Slapp, perché ne discende il diritto alla libertà di espressione.

La situazione in Italia, in particolare, la preoccupa? 
Sì, la trovo molto inquietante. Soprattutto, a colpirmi è la facilità con cui le persone interessate a non far conoscere determinate informazioni sentono di poter fermare il lavoro dei giornalisti. Quando, come Fondazione, abbiamo saputo della causa contro Roberto Saviano, abbiamo chiesto alla premier Giorgia Meloni di fare un passo indietro. Consideriamo ciò che è successo a Domani nelle scorse settimane (dove i carabinieri hanno sequestrato un articolo dopo una querela del sottosegretario del Lavoro e delle Politiche sociali, Claudio Durigon, ndr) inaccettabile.

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