
Autonomia differenziata, referendum bocciato. Avanti su cittadinanza

11 aprile 2025
Protezione del lavoro dei giornalisti e delle loro fonti, indipendenza editoriale dei media pubblici, trasparenza delle proprietà delle testate. Sono alcuni punti dell’European media freedom act, regolamento entrato in vigore il 7 maggio del 2024 e che gli Stati membri dell'Unione europea devono recepire entro l'8 agosto 2025, anche se al momento l'Italia non sembra interessata ad attuarlo. Tra gli obiettivi dell'European media freedom act ci sono la volontà di fornire garanzie contro le interferenze politiche nelle decisioni editoriali e quella di impedire la sorveglianza dei giornalisti. Sarebbero molto utili, anche in Italia, dove la politica, in particolare la maggioranza, influenzano le nomine e le scelte editoriali della Rai, dove c'è un forte conflitto di interessi nel settore dei media (il parlamentare della Lega, Antonio Angelucci, possiede tre quotidiani) e dove il direttore di fanpage.it, Francesco Cancellato, è stato spiato dal software di Paragon.
"L'European media freedom act è un passo in avanti di straordinaria importanza per l'informazione, perché garantisce libertà fondamentali – conferma Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi), il sindacato che rappresenta i giornalisti italiani –. È evidente che il governo ha una grande insofferenza verso gli standard europei. Un provvedimento di questa portata mette molto in difficoltà la maggioranza guidata da Giorgia Meloni”.
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Quali sono i temi affrontati dal regolamento che secondo lei sono più insidiosi per l’esecutivo?
Ci sono degli aspetti cruciali, come l'indipendenza del servizio pubblico, la tutela delle fonti, quello che riguarda le concentrazioni editoriali. Per quanto riguarda il servizio pubblico, mi pare evidente che questo è un governo che ha occupato con modalità e finalità inedite la Rai. È una modo diverso di prendersi quello spazio rispetto a ciò che facevano gli esecutivi precedenti.
L'intenzione chiara ed esplicitata più volte è quella di cambiare la narrazione che viene trasmessa nei canali di servizio pubblico: un'opera di revisionismo politico, culturale, storico e sociale del nostro Paese
L'intenzione chiara ed esplicitata più volte è quella di cambiare la narrazione che viene trasmessa nei canali di servizio pubblico. Se lo traduciamo in altre parole, significa compiere un'opera di revisionismo politico, culturale, storico e sociale del nostro Paese. Basta vedere che per rimuovere l'allora amministratore delegato della Rai Carlo Fuortes nel maggio del 2023 hanno approvato un decreto, quello sulle fondazioni lirico-sinfoniche, che poi è stato ritenuto non legittimo in sede amministrativa.
E poi c'è la parte della tutela delle fonti.
"Nell'articolo 31 del ddl sicurezza, ormai superato, c'era la possibilità per i servizi segreti di chiedere alle amministrazioni pubbliche, ma anche alle concessioni pubbliche come la Rai, tutte le informazioni in loro possesso e sarebbero state tenute a dargliele"Vittorio Di Trapani - Presidente Fnsi
Su questo punto, dobbiamo ricordarci che questo è il Paese in cui almeno un giornalista, il direttore di Fanpage.it Francesco Cancellato, è stato spiato dal software spia di Paragon Solutions (azienda israeliana che ha dichiarato di aver fornito questi strumenti di controllo "al governo degli Stati Uniti e ad altre agenzie governative di intelligence di paesi alleati", ndr).
E ancora non sappiamo chi l'abbia fatto e perché e quanti altri siano stati messi sotto controllo. E non solo. Nell'articolo 31 del ddl sicurezza, ormai superato, c'era la possibilità per i servizi segreti di chiedere alle amministrazioni pubbliche, ma anche alle concessioni pubbliche come la Rai, tutte le informazioni in loro possesso e sarebbero state tenute a dargliele.
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Questo non in direzione opposta rispetto al regolamento europeo?
Anche quando si approvò la norma europea a maggio dell'anno scorso ci furono degli Stati che cercarono di affievolire la tutela delle fonti. Capofila di questo gruppo erano Francia e Italia. Questa deriva è stata arginata grazie all'impegno della Federazione europea dei giornalisti, tanto che il testo che poi è stato approvato, nonostante alcuni possibili miglioramenti, ha in sé delle ottime garanzie per fare bene il nostro lavoro.
Un altro aspetto riguarda il controllo delle concentrazioni editoriali. Perché non vogliamo far chiarezza su questo?
Le faccio un esempio che riguarda la situazione attuale. Il governo è azionista di Eni che, a sua volta, è proprietaria della seconda agenzia stampa italiana, l'Agi. Qualche tempo fa, Eni aveva intenzione di vendere l'Agi a un parlamentare editore della stessa maggioranza di governo (Antonio Angelucci, ndr). Solo questo basterebbe per parlare di conflitto d'interessi. Per di più, dà la possibilità a questo editore di aumentare la concentrazione del suo potere sul mercato dei quotidiani d'Italia. Anche questo episodio mette in luce un'insofferenza.
In che senso?
"C'è un'insofferenza verso i diritti e le libertà e verso l'Unione europea, perché le stesse istituzioni europee che hanno approvato questo regolamento l'anno scorso hanno ricordato nel report sullo stato di diritto che l'Italia rimane indietro su molti fronti"
C'è un'insofferenza verso i diritti e le libertà e verso l'Unione europea, perché le stesse istituzioni europee che hanno approvato questo regolamento l'anno scorso hanno ricordato nel report sullo stato di diritto che l'Italia rimane indietro su molti fronti: non approva una norma contro le querele bavaglio e non affronta in maniera seria della diffamazione. Su quest'ultimo tema, il parlamento ha dovuto togliere la pena detentiva – perché gliel'ha chiesto la Corte costituzionale –, ma ha aumentato in maniera spropositata le multe, ottenendo, di fatto, lo stesso effetto sull'informazione.
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Secondo lei, servirebbe una visione più europea?
Sì, soprattutto in un contesto geopolitico come quello che stiamo vivendo. Un'Europa dei diritti e delle libertà che ha ispirato il pensiero di Ventotene. Credo sia chiara la distanza con la realtà. Spero che dalle istituzioni sovranazionali si accenda una luce sullo scivolamento del nostro Paese verso una traiettoria che ci avvicina sempre di più all'Ungheria.
Lo stiamo vedendo con la reticenza sull'attuazione del media freedom act, ma anche con il susseguirsi di disegni di legge e poi decreti legge "sicurezza", che di fatto restringono solo le possibilità di dissenso. Spero agiscano prima che sia troppo tardi, che monitorino quanto l'Italia sia lontana o si stia allontanando dagli standard europei.
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