Mario Paciolla, inchiesta archiviata. La famiglia: "Non si è suicidato"

Il tribunale di Roma ha archiviato l'indagine sulla morte del cooperante italiano trovato senza vita in Colombia il 15 luglio 2020. Per due volte la procura ha chiesto di chiudere gli accertamenti. Alcuni parlamentari annunciano battaglie nelle sedi istituzionali

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Aggiornato il giorno 1 luglio 2025

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Per la giustizia italiana sulla morte di Mario Paciolla, il cooperante Onu trovato senza vita in Colombia nel 2020, non ci sono sospetti o presunti responsabili. Eppure tanti, tantissimi sono ancora i dubbi. Il Tribunale di Roma ha archiviato l’indagine, come chiesto dalla procura. La morte del 33enne originario di Napoli sarebbe stata un suicidio, una tesi a cui i genitori non credono: “Noi sappiamo – non solo con le certezze del nostro cuore, ma con le evidenze della ragione frutto di anni di investigazioni e perizie – che Mario non si è tolto la vita, ma è stato ucciso perché aveva fatto troppo bene il suo lavoro umanitario in un contesto difficilissimo e pericoloso in cui evidentemente non bisognava fidarsi di nessuno. Sappiamo che questa è solo una tappa, per quanto ardua e oltraggiosa, del nostro percorso di verità e giustizia”, hanno scritto in una nota Anna e Giuseppe Paciolla con le loro figlie Raffaella e Paola e con le avvocate Emanuela Motta e Alessandra Ballerini .

Accolta la seconda richiesta di archiviazione sull'omicidio

Il 19 marzo scorso la procura aveva chiesto per la seconda volta l’archiviazione al giudice per le indagini preliminari (gip). Alla prima richiesta, il magistrato ha risposto chiedendo nuovi accertamenti, mentre adesso ha stabilito di archiviare l’indagine. Da quanto è possibile apprendere, secondo i magistrati non ci sono elementi per dire che si è trattato di un omicidio e l'ipotesi del suicidio sarebbe plausibile, considerato un certo stato di stress e alterazione di Paciolla.

La famiglia sostiene invece che quegli stati di stress e paura, per i quali il 33enne voleva rientrare in Italia, non ne avevano alterato la lucidità: aveva chiesto all'Onu le tre autorizzazioni necessarie per poter lasciare la Colombia, aveva organizzato un viaggio complesso, con più scali e in pieno Covid, e poche ore prima della morte aveva contattato ancora una volta l'ambasciata italiana. Insomma, nonostante la paura, aveva un obiettivo chiaro, quello di tornare a casa, e lo stava perseguendo con metodo.

“Prendiamo atto con dolore e amarezza della decisione del tribunale di Roma di archiviare l’omicidio di nostro figlio Mario – si legge nella nota della famiglia –. Continueremo a lottare finché non otterremo una verità processuale e non sarà restituita dignità a nostro figlio. Utilizziamo con rammarico e sofferenza il verbo 'lottare', mai avremmo pensato di dover portare avanti una battaglia per avere una giustizia che dovrebbe spettarci di diritto. Sappiamo però che non siamo e non resteremo mai soli. Grazie a tutte le persone che staranno al nostro fianco fino a quando la battaglia non sarà vinta”.

Mario Paciolla, sulla morte restano ancora molti dubbi

Le stranezze della morte di Mario Paciolla

Mario Paciolla, 33 anni, era un cooperante. Aveva già operato in più scenari internazionali e da qualche tempo era in Colombia con le Nazioni Unite, per verificare il rispetto degli accordi di pace tra lo Stato colombiano e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) in un territorio dominato dai narcotrafficanti.

Il 15 luglio 2020 Paciolla è stato trovato morto nella casa in cui viveva a San Vincente del Caguan, impiccato con un lenzuolo al soffitto. “Noi non abbiamo mai creduto che Mario si sia suicidato, lui amava la vita – avevano affermato a marzo i genitori del cooperante –. Ci sono tanti elementi, anche scientifici, che ci dicono che Mario è stato ucciso”. Ad esempio, poche ore prima che venisse ritrovato il corpo, il giovane uomo aveva comprato un biglietto aereo per rientrare in Italia. Se avesse davvero avuto in animo la voglia di uccidersi, perché mai acquistare un volo verso casa? E poi, ancora, ci sono altre stranezze, come i segni di uno strangolamento.

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Sulla base di molti dubbi, il 19 marzo scorso, nell’udienza durante la quale la famiglia si è opposta alla richiesta di archiviazione, l’avvocato Alessandra Ballerini aveva illustrato le ragioni per chiedere ulteriori indagini. “Abbiamo evidenziato tutti i dubbi e le incongruenze che secondo noi portano verso una ricostruzione di un omicidio e non di un suicidio – aveva spiegato –. Ci sono anche dati scientifici e nella ricostruzione della polizia giudiziaria restano molti elementi di dubbio. Gli elementi che ci fanno propendere per l'omicidio sono moltissimi: dalla perizia medico-legale alle tracce ematiche. Ricordiamo che in questa vicenda mancano molti elementi perché la sicurezza dell'Onu aveva provveduto a ripulire la scena del crimine, anche con la candeggina. Molte prove sono state fatte sparire e quindi moltissime cose non le sapremo mai”.

I "depistaggi" dei funzionari Onu

L’indagine su quanto avvenuto in Colombia è stata da subito complessa. Le autorità locali, dopo il rinvenimento del corpo del giovane, parlarono di suicidio. A San Vicente del Caguan quel giorno intervennero due funzionari colombiani dell'Onu, il responsabile locale della sicurezza ed ex membro dell'esercito Christian Thompson, e il suo capo, Juan Vasquez. Entrati nell’abitazione i due si preoccuparono, per ragioni mai chiarite, di prelevare in tutta fretta oggetti appartenuti a Paciolla e di ripulire la stanza, lavando con candeggina il pavimento. Inoltre i due prelevarono un materasso e alcuni utensili, macchiati di sangue, gettandoli in una discarica. Le tre inchieste aperte – in Colombia e in Italia e una interna all’Onu – non sono state sufficienti però a fugare i dubbi su quanto avvenuto.

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La società civile si mobilita ancora

Politica e associazionismo si sono stretti alla famiglia. Lunedì sera, in piazza del Plebiscito a Napoli, molti amici e sostenitori hanno raggiunto i genitori di Mario Paciolla per un presidio. “Nel rispetto delle decisioni del tribunale, il nostro impegno proseguirà accanto ai genitori e agli amici e con la stessa schiena dritta e la voglia di cambiare il mondo di Mario continueremo a camminare e a lottare per chiedere verità e giustizia”, ha fatto sapere Libera in una nota. “Nulla cambierà rispetto al nostro impegno: noi non archivieremo la nostra lotta per arrivare alla verità e alla giustizia. Il giornalismo ha già dimostrato in passato di aver saputo tenere viva la ricerca di verità. E sono certo che saprà farlo anche in questa occasione”, ha scritto su Facebook Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione nazionale stampa italiana, il sindacato dei giornalisti.

Le promesse della politica per Paciolla

“Continueremo a batterci, nelle sede istituzionali e parlamentari, perché l’inchiesta venga riaperta. La giustizia non può arrendersi di fronte ad un assassinio”, hanno annunciato i componenti Pd della commissione straordinaria diritti umani Susanna Camusso, Cecilia D’Elia, Tatiana Rojc e Filippo Sensi.

Il senatore di Azione, Marco Lombardo, componente della Commissione speciale dei diritti umani del Senato, individua un grosso impedimento all’accertamento della verità giudiziaria: “Se non si supera l’ostacolo delle immunità diplomatiche opposte dai funzionari dell'Onu, non si troverà mai la strada”. Per il senatore, restano due possibili strade: “La prima tocca al governo e, in particolare, al ministero degli Esteri affinché chieda alle autorità governative colombiane e all’Onu di collaborare in modo leale per fare luce sulle responsabilità penali di chi ha ucciso Mario e perché è stato ucciso – ha dichiarato –. La seconda strada coinvolge il parlamento ed è quella che prevede l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta che ha poteri analoghi all’autorità giudiziaria, in casi estremi come questo e come quello che riguarda Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo”. 

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