
Dopo il suicidio di Hamid, va fermata la "catena degli svantaggi"

9 luglio 2025
Sono decine e decine di pagine di carta bollata, che però avranno un impatto sulla vita di migliaia di persone in carne e ossa: i cittadini stranieri rinchiusi in cella senza aver commesso alcun reato, ma per il solo fatto di non avere un permesso di soggiorno valido, e i richiedenti asilo che, dopo aver affrontato il mare, si trovano confinati tra le mura di centri militarizzati in luoghi che non conoscono, in Italia o in Albania. Nei giorni scorsi, il trattenimento delle persone straniere nei cpr (centri di permanenza per il rimpatrio) italiani e nelle strutture in Albania è tornato al centro del dibattito politico e mediatico. È l’effetto di alcune pronunce recenti della giustizia, che si sommano a quelle già depositate negli scorsi mesi e precedono quella, attesissima, della Corte di giustizia dell’Unione europea, prevista per il prossimo primo di agosto.
I cpr, acronimo di centri di permanenza per il rimpatrio, sono strutture in cui vengono trattenuti i cittadini stranieri sprovvisti di regolare permesso di soggiorno nell’attesa dell’espulsione. Il trattenimento deve essere convalidato dal giudice di pace e non può durare più di 18 mesi.
I centri di trattenimento per richiedenti asilo (ctra), invece, sono stati introdotti con il decreto Cutro del 2023 per “ospitare” in condizioni di privazione della libertà i migranti appena arrivati via mare e provenienti da paesi considerati sicuri nell’attesa che la loro domanda di protezione internazionale venga esaminata secondo una procedura accelerata. Il trattenimento viene convalidato dalle Corti d’appello e non può durare più di 28 giorni. I centri pensati per svolgere questa funzione sono tre, quelli di Modica-Pozzallo e Porto Empedocle in Sicilia e quello di Gjadër in Albania, ma le decisioni dei tribunali competenti ne hanno bloccato il funzionamento. Nell’attesa della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che potrebbe permetterne la riattivazione, i due centri siciliani sono vuoti, mentre quello albanese è stato riconvertito in cpr.
Partiamo dalla più recente e discussa: lo scorso 3 luglio, la Corte costituzionale ha depositato la sentenza in risposta al dubbio di costituzionalità sollevato dal Giudice di pace di Roma, che si era trovato a decidere se convalidare o meno il trattenimento di alcune persone straniere in un cpr. In particolare, il giudice aveva chiesto alla Corte di chiarire se questo rispettasse o meno l’articolo 13 della Costituzione, che ammette restrizioni della libertà personale “nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
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Sui cpr, la Consulta ha riscontrato un vuoto di tutela contrario alla Costituzione, ma si è limitata a chiedere al legislatore di porre rimedio
Nella sentenza, la Consulta ha effettivamente riscontrato che il trattenimento nei cpr implica un “assoggettamento fisico all’altrui potere” e che i “modi” in cui avviene la limitazione della libertà personale non sono adeguatamente disciplinati dalla legge come esige la Costituzione. Eppure ha giudicato inammissibile il ricorso dicendo che “non è ad essa consentito porre rimedio al riscontrato difetto, ricadendo sul legislatore il dovere ineludibile di introdurre una normativa compiuta, la quale assicuri il rispetto dei diritti fondamentali e della dignità della persona trattenuta”. In altre parole: sui cpr c’è un vuoto di tutela contrario alla Costituzione, ma spetta al parlamento porre rimedio con una legge, non ai giudici. Fonti del Viminale hanno fatto sapere alla stampa di essere “già impegnati nella redazione di una norma di rango primario”, cioè una legge, per soddisfare la richiesta della Corte. Intanto, la pronuncia inizia già a produrre degli effetti: nei giorni scorsi, le Corti d'appello di Cagliari e Roma non hanno convalidato il trattenimento di alcuni cittadini stranieri nei cpr, mentre altri stanno presentando ricorso per ottenere la liberazione proprio sulla base della sentenza.
Martedì 8 luglio, dalla Corte costituzionale è arrivata un’altra sentenza in materia di migrazioni, che non riguarda le strutture di trattenimento ma le pratiche di soccorso in mare, in particolare il “decreto Piantedosi” del 2023 che punisce con il fermo della nave e sanzioni pecuniarie le navi delle ong che non rispettano gli ordini impartiti dalle autorità italiane e straniere. La Consulta ha stabilito che la sanzione, pur avendo “carattere punitivo” e “vocazione marcatamente dissuasiva”, “non è irragionevole né sproporzionata”. Ha però chiarito che non tutti gli ordini impartiti alle navi sono legittimi e vanno seguiti: “Non è vincolante un ordine che conduca a violare il primario ordine di salvataggio della vita umana e che sia idoneo a metterla a repentaglio e non ne può essere sanzionata l’inosservanza”.
Sulla questione del trattenimento delle persone straniere, in particolare nei centri in Albania, si è espressa recentemente in due occasioni distinte anche la Corte di Cassazione. Lo scorso 18 giugno, l’Ufficio del massimario e del ruolo, che ha il compito di studiare la giurisprudenza e produrre documenti di sintesi, quindi atti non vincolanti, ha diffuso una relazione che passa in rassegna i “numerosi dubbi di compatibilità” del protocollo Italia-Albania “con la Costituzione e con il diritto internazionale”. Oltre a sottolineare lo stesso vuoto normativo su cui è intervenuta la Corte costituzionale (“la legge di ratifica non definisce in modo preciso i ‘modi’ della limitazione della libertà personale”), il documento di 47 pagine evidenzia i seguenti possibili profili di illegittimità::
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"La creazione di una procedura di asilo parallela in Albania, non sufficientemente coerente con gli standard e gli obiettivi di protezione sviluppati dal diritto Ue, potrebbe minare l’obiettivo di garantire una valutazione completa ed efficace dei richiedenti protezione internazionale"
Il documento, infine, solleva dubbi sul presupposto su cui si fonda l’accordo Italia-Albania, cioè la pretesa di “delocalizzare” le procedure d’asilo in un altro Stato, che per di più non fa parte dell’Unione europea: “l’esame di domande di asilo al di fuori del proprio territorio – si legge – potrebbe comportare in concreto un livello di tutele inferiori rispetto a quelle previste dalle direttive. La creazione di una procedura di asilo parallela in Albania, non sufficientemente coerente con gli standard e gli obiettivi di protezione sviluppati dal diritto Ue, potrebbe infatti minare l’obiettivo di garantire una valutazione completa ed efficace dei richiedenti protezione internazionale”.
Due giorni dopo, il 20 giugno, la Cassazione ha depositato l’ordinanza con cui ha sottoposto alla Corte di giustizia dell’Unione europea due quesiti relativi alla compatibilità del trattenimento in Albania con il diritto comunitario. Il primo quesito riguarda la possibilità, introdotta a marzo dal governo con un decreto-legge, di trasferire nel centro di Gjadër cittadini stranieri già presenti sul territorio italiano e sprovvisti di titolo di soggiorno regolare, equiparando di fatto il centro albanese a un cpr italiano. In particolare, dato che la legge non prevede “alcuna previsione normativa attuativa” su come procedere con l’espulsione dall’Albania, la Cassazione ha chiesto alla Corte europea di chiarire se il trattenimento “in assenza di qualunque predeterminata e individuabile prospettiva di rimpatrio” sia legittimo. Il secondo quesito, invece, riguarda la circostanza in cui il cittadino straniero trattenuto in Albania presenti una domanda d’asilo. I giudici hanno sollevato dubbi rispetto alla compatibilità del trattenimento con la direttiva procedure dell’Unione europea, che stabilisce il diritto del richiedente asilo a rimanere nel territorio dello Stato membro fino alla decisione definitiva sulla sua domanda.
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Dalla Corte di giustizia dell’unione europea si attende un’altra importante decisione, prevista per il prossimo primo di agosto: riguarda la corretta applicazione del concetto di “paese di origine sicuro”, che il governo italiano ha utilizzato per giustificare il ricorso alle procedure accelerate di esame della domanda d’asilo e al trattenimento dei richiedenti nei centri di Modica-Pozzallo, Porto Empedocle e Gjadër, prima che quest'ultimo fosse riconvertito in cpr. La Corte era stata sollecitata dai tribunali di Roma e Palermo che avevano sospeso il giudizio sul trattenimento di alcuni richiedenti asilo provenienti da Paesi considerati sicuri. In caso di decisione favorevole al governo, i tre centri potranno tornare a funzionare come previsto inizialmente, cioè per il trattenimento dei richiedenti asilo sottoposti a esame accelerato della domanda di protezione internazionale, e non è escluso che l’esecutivo decida di aprirne di nuovi.
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