Antimafia, parola per parola. Un dizionario per resistere

Pensionati della Cgil e studenti hanno realizzato insieme un dizionario che aiuta a conoscere le organizzazioni criminali. Uno strumento per leggere il presente e agire

Damiano Di Giovanni

Damiano Di GiovanniUnione degli universitari (Udu)

Alice Pettinari

Alice PettinariRete degli studenti medi

1 settembre 2025

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Abbiamo partecipato alla realizzazione di un dizionario che non si legge solo con gli occhi ma anche con la coscienza. Un insieme di parole che raccontano resistenza, memoria e giustizia sociale. È L’antimafia parola per parola. Conoscere per resistere, scritto a più mani dal sindacato dei pensionati della Cgil insieme alla Rete degli studenti medi e all'Unione degli universitari (Udu). Un progetto intergenerazionale nato per diffondere la cultura dell'antimafia ma anche per spingere alla partecipazione e all’impegno. Ci sono tre parole, in particolare, con cui è possibile raccontare cosa significhi oggi essere parte di una generazione che non accetta il silenzio e l’indifferenza: antimafia sociale, cento passi, beni confiscati. Tre parole scelte non per retorica, ma per responsabilità. Noi siamo nati dopo le stragi, ma questo non vuol dire che non ci riguardino: siamo cresciuti con le storie di Falcone e Borsellino, di Peppino Impastato, di Pio La Torre. E ora tocca a noi.

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Antimafia sociale: costruire alternative

Quando si legge antimafia sociale e dei diritti è naturale pensare alle persone, ai territori, alla rigenerazione sociale. Pensiamo soltanto a quante possibilità nascono quando si riusa a fini sociali un bene confiscato alle mafie. Ogni volta che ciò accade si restituiscono sogni, progetti e spazi alla collettività. Sono tante le realtà che si impegnano quotidianamente, Libera in primis, insieme alle numerose cooperative che lavorano sui beni confiscati. Ma pensiamo anche alle attività nelle scuole e nelle università, ai momenti di confronto e discussione sui temi dell’antimafia sociale.

L'antimafia che funziona è quella che crea legami, che fa vivere la democrazia dove lo Stato non arriva

Una cosa è certa, l’antimafia che funziona è quella che crea legami. L’antimafia è un modo per vivere la democrazia e dove lo Stato non arriva arrivano le associazioni, i comitati, le scuole che aprono le porte e fanno crescere gli anticorpi, in contrasto alla presenza ingombrante delle organizzazioni criminali. Questa dimensione collettiva dell’antimafia è il cuore pulsante di un impegno che guarda oltre e vuole combattere le disuguaglianze: povertà, abbandono e sfruttamento. E sceglie di contrastarle mettendo al centro le persone. L’antimafia sociale è politica nel senso più alto. Fare antimafia vuol dire scegliere da che parte stare, ogni giorno, nel proprio quartiere, nelle università, sul posto di lavoro.

Cento passi: impegno quotidiano

I cento passi che separavano la casa di Peppino Impastato da quella del boss Badalamenti a Cinisi sono diventati molto più di una distanza fisica. Sono un simbolo, un atto di ribellione, ma soprattutto una sfida da raccogliere. Peppino ci insegna che la mafia si può combattere anche con la cultura, con la parola, con la radio. Lui aveva mezzi semplici, tante idee e tanto coraggio e aveva capito che anche un microfono di una radio locale può fare paura a un boss. Quei cento passi che Peppino ha fatto rappresentano oggi un cammino che tanti ragazzi scelgono di percorrere. Non si tratta solo di denunciare, ma di trasformare: raccontare, organizzarsi, non voltarsi dall’altra parte. Ogni volta che uno studente decide di parlare apertamente di mafie, che una scuola ricorda le vittime innocenti, che una manifestazione attraversa le strade nel nome della giustizia, l’impegno di quei cento passi si moltiplica.

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Beni confiscati: nuovo inizio

Tra i termini più concreti che il dizionario contiene – e insieme più simbolici – c’è quello dei beni confiscati e sequestrati. È in quegli spazi, in quei terreni, in quelle aziende che il potere mafioso si rende visibile ed è proprio lì che può essere spezzato. Se vuoi indebolire la mafia, devi prenderle i soldi. È un’intuizione che diventa legge dello Stato grazie al deputato comunista Pio La Torre, che viene assassinato pochi mesi prima che la norma veda la luce. È il 1982 e per la prima volta viene introdotta nel nostro ordinamento la confisca dei beni come strumento per colpire le mafie. Il potere mafioso vive di ricchezza, ostentazione e controllo economico: trasformare quel potere in un bene comune è un atto politico straordinario. Nel 1996 viene quindi approvata un’altra importante legge sul riuso sociale dei beni confiscati, grazie a una raccolta straordinaria di firme promossa da Libera, nata solo un anno prima. Da allora, sono migliaia i beni confiscati restituiti alla collettività e tantissimi i soggetti impegnati nella loro gestione: associazioni, cooperative, realtà del terzo settore. Producono lavoro pulito, costruiscono reti, offrono servizi. E parlano di un’alternativa possibile.

Il dizionario dell’antimafia è anche questo: uno strumento per leggere il presente e agire. Un patrimonio collettivo, fatto soprattutto della voce di ragazze e ragazzi che scelgono ogni giorno da che parte stare

Restituire un bene alla comunità è molto più di un atto simbolico e se quei luoghi diventano cooperative agricole, servizi sociali, biblioteche, centri culturali, case di accoglienza, spazi per ragazze e ragazzi allora vuol dire che stiamo costruendo un pezzo di futuro. Ecco, il dizionario dell’antimafia è anche questo: uno strumento per leggere il presente e agire. Un patrimonio collettivo, fatto soprattutto della voce di ragazze e ragazzi che scelgono ogni giorno da che parte stare. La lotta alla mafia e la battaglia per la giustizia sociale si scelgono. Ogni generazione deve farlo, ogni giorno. Un passo dopo l’altro, come faceva Peppino.

Da lavialibera n° 34, Il giornalismo che resiste

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