30 settembre 2021
Non vi è una conoscenza diffusa dell’impegno di studiosi e atenei italiani in tema di mafie e legalità. Eppure esiste una collaborazione e un dialogo intenso con rappresentanti di organismi giudiziari, forze dell’ordine o altri organismi preposti come la commissione parlamentare antimafia. I docenti universitari sono impegnati nell’insegnamento di queste materie anche al di fuori dell’università: si pensi alle docenze presso la Scuola superiore della magistratura, nelle summer school o negli incontri organizzati dalle associazioni nelle scuole di ogni ordine e grado.
L’esigenza di conoscere a fondo l’impegno degli atenei sulla questione mafiosa è maturata in seno alla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) e alla Commissione parlamentare antimafia della precedente legislatura (presidente Rosy Bindi). In attuazione di un Protocollo di intesa si è deciso di mappare la ricerca scientifica e l’offerta didattica e di alta formazione universitaria su questi temi negli atenei italiani. A questo progetto hanno poi aderito la Commissione parlamentare antimafia istituita nell’attuale legislatura (presidenza Morra) e l'allora ministro dell’Università e della Ricerca (lo stesso autore Gaetano Manfredi). Il lavoro, sviluppato dal Laboratorio interdisciplinare di ricerca su mafie e corruzione (Lirmac) dell’università Federico II di Napoli con la Crui, ha visto la collaborazione di 29 studiosi provenienti da 11 diverse università.
La raccolta dati ha utilizzato come base l’elenco degli atenei italiani associati alla Crui: 84 università. Per ognuna, si è proceduto alla somministrazione di un questionario e alla successiva consultazione dei siti web per verificare la presenza di attività o corsi di studio dedicati in maniera esclusiva al fenomeno mafioso. Si è quindi giunti a 37 atenei interessati dal fenomeno, così distribuiti sul territorio nazionale:
Atenei interessati, distribuiti per regione
In collaborazione con questi atenei, la Crui e il Lirmac hanno realizzato un’anagrafe della ricerca contenente dati su: la didattica (insegnamenti e laboratori), le strutture (laboratori, osservatori e centri di ricerca), la formazione post-laurea (scuole di dottorato, master e corsi di alta formazione), le cosiddette attività di terza missione (cioè la diffusione delle conoscenze fuori dal contesto accademico).
Per quanto riguarda la produzione scientifica, è stato creato un catalogo della ricerca attraverso l’utilizzo di parole chiave (mafi*; cosa nostra; camorr*; ’ndranghet*; sacra corona unita; criminal*; organized crime; organised crime; concorso esterno; area grigia; crimine organizzato; clan; boss). Ne è derivato un database di 2273 prodotti originali pubblicati tra il 1999 e il 2018: monografie e curatele, articoli in riviste specializzate, saggi in volume, atti di convegno, fino alle tesi di dottorato. Una produzione media annua di oltre 110 prodotti sull’intero territorio nazionale.
Tale banca dati sarà pubblicata online dalla Crui in forma gratuita e aggiornata con il supporto del Lirmac per permettere anche ad altri (studiosi, istituzioni, organismi giudiziari e investigativi, giornalisti, rappresentanti del mondo delle associazioni, cittadini) di avvalersi dell’impegno scientifico prodotto negli anni individuando le pubblicazioni con una semplice ricerca per parole chiave. Questa piattaforma potrà inoltre contribuire alla riduzione delle fisiologiche barriere disciplinari che limitano la conoscenza e l’individuazione degli esperti di settore e dei gruppi di lavoro ai quali rivolgersi in presenza delle più diverse esigenze di approfondimento (per esempio a fini della produzione legislativa).
Osservando l’andamento delle pubblicazioni, si nota un balzo a partire dalla fine degli anni Duemila e in particolare dal 2009. Negli ultimi cinque anni considerati (2014-2018) si osserva invece un nuovo calo dei prodotti pubblicati.
Andamento dei prodotti scientifici dal 1999 al 2018
Oltre la metà dei lavori è stata pubblicata da atenei del Sud (53 per cento), circa un terzo negli atenei del Nord (30 per cento) e il restante 16 per cento dalle regioni del centro Italia. Rispetto all’andamento temporale, si osserva tuttavia una crescita dei contributi negli atenei del Nord, la cui quota è passata dal 26,7 per cento nel primo quinquennio (1999-2003) al 35,3 per cento nell’ultimo quinquennio (2014-2018). Un interesse senza dubbio alimentato dal dibattito politico, istituzionale e scientifico sorto negli ultimi anni a partire dalle inchieste che hanno fatto luce sulla diffusione delle organizzazioni mafiose nelle regioni centro-settentrionali: dal caso Mafia capitale su Roma fino alle grandi inchieste antimafia in Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Liguria.
Distribuzione percentuale dei prodotti della ricerca su base regionale
L’80 per cento dei prodotti della ricerca si concentra in sei regioni: Sicilia (31,3 per cento), Campania (14,3), Lombardia (12,9), Lazio (7,4), Toscana (7,4), Piemonte (7,1). Spicca senza dubbio il dato della Sicilia che raccoglie quasi un terzo di tutti i prodotti e che insieme alla Campania esaurisce quasi completamente i lavori degli atenei del Sud. Appare più uniforme invece la distribuzione al Centro-Nord dove le grandi regioni presentano valori più omogenei.
La Sicilia è anche la regione con il maggior numero di prodotti per disciplina: negli atenei siciliani si concentra oltre il 75 per cento della produzione degli psicologi, più del 50 per cento delle materie politologiche e circa un terzo dei lavori di storici ed economisti. Gli studi giuridici coprono il 27 per cento del totale, mentre la sociologia si ferma al 22.
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Prendendo in considerazione i dati dell’istituto Censis sulla dimensione degli atenei si nota come oltre l’85 per cento dei prodotti trovi origine all’interno degli atenei più popolosi: i cosiddetti mega atenei con oltre 40mila iscritti (64 per cento dei prodotti) e i grandi tra i 20mila e i 40mila studenti (20,5 per cento delle pubblicazioni). Sul podio svettano l’università di Palermo, la Federico II di Napoli e l’università di Torino.
L’area delle discipline sociologiche è quella in cui ricade in assoluto il numero maggiore di pubblicazioni accademiche dedicate al fenomeno mafioso: un terzo del totale di quelle censite. Segue il macrosettore degli studi giuridici (23 per cento), mentre tutte le altre aree disciplinari rimangono sotto il 10 per cento.
Circa un terzo degli autori sono studiosi di diritto (31 per cento con una media di 2,2 prodotti per autore), mentre i sociologi – che pur rappresentano la componente più produttiva (6,7 prodotti per autore) – sono appena il 14,5 per cento del totale. A seguire si posizionano gli economisti (11,6 per cento), gli storici (6,3) e gli psicologi (5,3 per cento, anch’essi con una produzione sopra la media pari a 5,6 prodotti per autore).
Coloro che si occupano di criminalità organizzata sono appena il 2 per cento del totale dei docenti universitari. Si tratta di una quota marginale, coerente con il carattere di nicchia che ben descrive lo studio del fenomeno mafioso.
Per quanto riguarda la distribuzione di genere, il differenziale tra uomini e donne è molto marcato, con il 64 per cento degli autori di sesso maschile e il 36 per cento di sesso femminile. Un divario che pure è diminuito negli anni di ben nove punti percentuali: le donne sono passate dal 29,5 per cento (1999-2003) al 36 per cento (2014-2018). L’aumento risulta più marcato al Nord dove le donne sono oggi il 40 per cento del totale, mentre al Sud e al Centro si fermano rispettivamente al 34 e al 33.
Sono oltre mille, afferenti a circa 100 settori scientifico disciplinari e quasi tremila pubblicazioni negli ultimi 20 anni, gli studiosi che hanno ritenuto questi temi meritevoli di approfondimento scientifico, tra l’altro in larga misura realizzati in solitudine, senza legami con i pochi, per quanto altamente produttivi, centri di ricerca e laboratori impegnati in Italia. Per tutti loro è centrale l’elemento motivazionale che li spinge a trattare le mafie e i temi a esse collegati. Il progetto scientifico è stato accolto da tutti coloro che sono stati coinvolti con convinto entusiasmo, anche dimostrato in alcuni casi dalla disponibilità a procedere in tempi davvero contenuti alla scrittura dei propri contributi. Studiosi che, in numerosi casi, abbiamo avuto modo di conoscere solo in occasione della ricerca proprio grazie alla banca dati.
Come ha osservato Alberto Vannucci, uno degli autori, saremmo in presenza di una comunità epistemica che associa la condivisione di un insieme di credenze valoriali e principi normativi all’istanza di una potenziale applicazione in chiave di riforma delle conoscenze prodotte. Alla luce di ciò, come osservato nelle conclusioni dal sottoscritto assieme a Gaetano Manfredi, Rocco Sciarrone e Alberto Vannucci, sarebbe maturo il momento per avviare un percorso di promozione di forme di cooperazione istituzionale nell’accademia italiana, attraverso una rete di incontro, comunicazione e scambio di esperienze e iniziative. L’accademia potrebbe puntare a rafforzare i canali già esistenti di comunicazione e interscambio con i protagonisti dell’antimafia istituzionale e dell’antimafia sociale, supportandone l’azione attraverso i risultati delle proprie ricerche, sia in termini di contributo all’efficacia degli interventi che, più in generale, alla maturazione di una sensibilità e consapevolezza condivisa.
In considerazione dell’impegno della comunità universitaria, abbiamo ritenuto di poter parlare di lotta alle mafie. Siamo consapevoli dell’uso non certo neutro di tale espressione, che porge il fianco a critiche che gli accademici, e non solo, potrebbero muovere. Innanzitutto, il termine lotta potrebbe denotare la volontà di attribuire all’università un carattere militante. Non è così: se è vero che il metodo seguito dai ricercatori è scientifico e dal punto di vista costituzionale l’autonomia dell’università e le libertà di insegnamento e ricerca sono riconosciute e assimilate, ci si potrebbe domandare per quali ragioni l’applicazione delle vigenti regole metodologiche e deontologiche non dovrebbe conciliarsi con un obiettivo chiaro e definito, del tutto finalizzato a garantire i diritti e le istituzioni.
Siamo consapevoli che questo filone argomentativo presuppone uno specifico approfondimento di tipo scientifico che in questa sede non possiamo riprendere. Riteniamo però sufficiente dare una prima indicazione di questo aspetto della libertà accademica che gli studiosi potrebbero approfondire. Agendo attraverso le tre declinazioni di tale libertà – l’insegnamento, la ricerca e la terza missione – la comunità accademica riconosce nella criminalità mafiosa (fenomeno sociale ed economico che nega i diritti) un ostacolo alla realizzazione della democrazia e dei principi costituzionali, delle libertà e della dignità dell’uomo. Ci sembrano questi validi e sufficienti presupposti per poter parlare di antimafia universitaria in quanto espressione, anche simbolica, dell’impegno della nostra comunità.
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