Napoli, quartiere Ponticelli. Il campetto dedicato a Ciro Colonna
Napoli, quartiere Ponticelli. Il campetto dedicato a Ciro Colonna

Se la scuola esclude, le mafie avanzano

Solo diventando un punto di riferimento nella vita quotidiana dei giovani, si può essere un antidoto alle sirene della criminalità organizzata

Francesca Rispoli

Francesca Rispoliarea formazione di Libera

Michele Gagliardo

Michele Gagliardoarea formazione di Libera

26 ottobre 2020

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Negli ultimi sei mesi è stato chiesto alla scuola di trovare strategie per andare avanti a distanza. Una condizione per cui non era pronta e che ha messo in evidenza alcune annose difficoltà. Come l’abitudine a pensare a una scuola tecnicamente possibile, senza dare corpo alla dimensione profetica e prospettica che dovrebbe avere. La vita nella scuola è esperienza di ricerca e scoperta. Non può essere solo studio di testi e contenuti predefiniti, lontana dalla realtà e dalla vita dei suoi protagonisti. Altrimenti seleziona, esclude, non è formativa e soprattutto trascura la sua funzione fondamentale: essere strumento di crescita personale e collettiva, ponendosi come occasione per superare la fragilità sociale e la pervasività della cultura e della presenza mafiosa.

Scuole ai margini

Nei contesti in cui la criminalità organizzata esercita un capillare controllo del territorio, i giovani si agganciano più facilmente e rappresentano manodopera a buon mercato

Nei contesti in cui la criminalità organizzata esercita un capillare controllo del territorio, i giovani si agganciano più facilmente e rappresentano manodopera a buon mercato: si arruolano per strada, dove in assenza di altri spazi trascorrono gran parte della giornata. Dietro questi processi, non ci sono solo giovani fragili e famiglie povere, ma un graduale e significativo abbandono della politica che, con scelte assai discutibili, produce diseguaglianze. L’assenza di opportunità causa povertà, esclusione e marginalità. In questi contesti si trova una scuola che, in sintonia con gli orientamenti politici e culturali, sceglie di non essere più luogo dell’educazione inclusiva, ma si trasforma in spazio elitario, dove le persone più fragili non trovano posto. È lì che occorre rifondare il patto educativo tra scuola, famiglie e territorio, in una risposta integrata capace di essere argine alla proposta mafiosa.

Beni comuni, tra questioni giuridiche e lotte sociali 

Gli esempi positivi non mancano. Sono molte le esperienze in cui gli studenti attivano processi collettivi, di riqualificazione urbana e degli ambienti scolastici, di innovazione economica e sociale. Processi che generano competenza critica e capacità d’azione, costruzione di legami sociali al di fuori delle mura scolastiche rendendo le persone e i contesti più forti dinanzi alle proposte criminali. È il caso dell’Istituto comprensivo Giuseppe Catalfamo di Messina, che raccoglie ragazze e ragazzi dei quartieri roccaforte dei clan storici della città. Il preside, Angelo Cavallaro, ha promosso un percorso che si concentra sulla dimensione dell'ascolto, favorendo la strutturazione di collaborazioni con il territorio: dalle parrocchie ai centri socio-educativi comunali, dalle circoscrizioni alle associazioni. Primaria attenzione è dedicata alla relazione con le famiglie, all’accompagnamento nelle difficoltà educative, anche attraverso pratiche informali e a bassa soglia. Come i Caffè con i genitori: momenti in cui la prossimità aiuta a saldare il legame necessario tra scuola e casa.

Anche nell’area Est di Napoli, tra Ponticelli e San Giovanni a Teduccio, le scuole non si tirano indietro e fanno la loro parte per contrastare il reclutamento criminale, che in questa zona guarda agli studenti delle scuole medie. L’istituto Marino Santa Rosa ha attivato un progetto di rigenerazione urbana in prossimità del lotto O, noto per la densità camorristica del rione. Qui, vicino al campetto dove nel 2016 perse la vita a 19 anni Ciro Colonna, la scuola ha promosso un percorso che tiene insieme sport, rigenerazione e memoria, riqualificando un’area degradata. Oggi il campetto è curato dalle cittadine e dai cittadini del lotto O e rappresenta un’alternativa per i ragazzi.

In molti casi la risposta delle mafie non si è fatta attendere. "La mafia teme di più la scuola che la giustizia", diceva Nino Caponnetto, una vita spesa a incontrare studentesse e studenti dopo aver guidato da magistrato il pool antimafia di Palermo. Una intuizione che è ancora attuale. Basti pensare ai raid vandalici che si susseguono nei paesi e nei quartieri in cui la scuola viene vissuta come un soggetto nemico e la didattica come uno strumento di contrasto alla criminalità: a Vittoria, nel Ragusano, l’istituto comprensivo Portella della Ginestra è stato vandalizzato sette volte, l’ultima delle quali durante il lockdown, in occasione dell’anniversario della strage di Capaci. 

La pervasività della cultura mafiosa impone alla scuola di generare un’alternativa fondata sul principio di bene comune, avversa alla logica privatistica delle mafie

Queste e altre storie ci parlano della necessità per la scuola di stare nel presente in ottica inclusiva, in cui si intrecci l’istruzione con la complessità del mondo odierno, che risponde a logiche reticolari. La pervasività della cultura mafiosa, nel suo farsi dispositivo educativo, impone alla scuola di portare avanti un’azione decostruttiva, capace di generare un’alternativa fondata sul principio di bene comune, avversa alla logica privatistica e accumulatrice delle mafie e di costituirsi anch’essa come dispositivo educativo narrativo, luogo di ricerca, esperienza, testimonianza, scambio di saperi e formazione identitaria.

Relazione al centro

È un lavoro che pone al centro gli studenti e la capacità degli educatori di essere cornici aperte, cioè spazi in grado di accogliere in modo incondizionato e generare domande. Nel tentativo di non rincorrere le risposte esclusive assunte dai curricoli, ma produrre un contesto che superi la logica dell’istruzione per approdare a quella dell’educazione civile.

Di fronte a fragilità sociale e cultura mafiosa l’istruzione non è sufficiente, serve la scelta di assumere la responsabilità educativa. L’istruzione conduce a modelli e orizzonti predefiniti e rischia di omologare le persone e il pensiero. Mentre l’educazione è un atto di profonda attenzione alla persona e alla sua soggettività: aiuta ciascuno a divenire ciò che desidera essere e ciò che ha dentro. Aiuta la costruzione della relazione con l’altro, senza la quale nessuno potrebbe esistere, e sostiene l’incontro con il mondo.

La scuola può educare solo attraverso la relazione. È proprio l’esperienza dello stare insieme che rende formativa una situazione: insegna attraverso esperienze e conoscenze, permette di costruire e ricostruire collettivamente il sapere. Insieme si impara la collaborazione e il comportamento, quali sono i ruoli, le responsabilità, le regole. Non esiste un luogo che sia ontologicamente formativo e capace di condurre verso l’emancipazione delle persone. Ma è la qualità dello stare insieme, del costruire insieme i saperi, degli incontri e delle relazioni che lo rende tale.

Perché ciò possa accadere sono fondamentali alcune attenzioni. Dovrebbero esserci prossimità, riconoscimento e reciprocità. Persone non in competizione, ma in relazione. Attente a incontrare l’altro con uno sguardo non indifferente, bensì accogliente, interessato e disponibile alla condivisione e all’arricchimento comune. Ci si dovrebbe mettere in gioco nella fiducia perché, per incontrare l’altro e crescere insieme, si devono correre i rischi legati al concedersi pienamente e all’aprirsi alla relazione. Non tirarsi indietro e avere fiducia sono modi di pensare le relazioni e perciò pratiche di costruzione di precise società in cui la violenza, l’indifferenza, l’egoismo e l’intolleranza non hanno casa.

Bisogna esserci oltre i curricoli, l’orario e gli spazi, ibridando la propria azione con quella di altri soggetti sociali e diventando un punto di riferimento nella vita quotidiana dei giovani

Una scuola argine alle fragilità sociali è una scuola che sa fare tutto questo, creando una comunità educante con percorsi formativi personalizzati che partano dalla vita di ragazze e ragazzi: prima accogliendoli e poi riattivandone la motivazione e l’interesse. Il tutto senza fermarsi al tempo trascorso tra i banchi. Bisogna esserci oltre i curricoli, l’orario e gli spazi, ibridando la propria azione con quella di altri soggetti sociali e diventando un punto di riferimento nella vita quotidiana dei giovani. Solo così la scuola può essere un antidoto potente alle sirene mafiose, riuscire a supportare anche le famiglie più fragili e assolvere la sua funzione principale: sviluppare e costruire in ciascuno un’idea di mondo e società, ridestando il desiderio e la voglia di essere protagonisti del cambiamento sognato.

Da lavialibera n°5 settembre/ottobre 2020

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