Bruxelles, 21 maggio 2025. Giornalisti italiani durante un incontro al Parlamento europeo con gli eurodeputati Gaetano Pedullà e Antonio De Caro (Foto © European Union 2025)
Bruxelles, 21 maggio 2025. Giornalisti italiani durante un incontro al Parlamento europeo con gli eurodeputati Gaetano Pedullà e Antonio De Caro (Foto © European Union 2025)

L'Italia non ha ancora recepito l'European media freedom act. L'informazione è sotto attacco

Ad agosto è entrato in vigore il Media freedom act, che tutela pluralismo e indipendenza dell'informazione nell'Ue. Il governo non ha recepito il regolamento e rischia una procedura d'infrazione. Eppure in Italia ci sarebbe bisogno di misure per difendere l'autonomia dei media e i giornalisti dagli attacchi

Lorenzo Frigerio

Lorenzo FrigerioCoordinatore di Libera Informazione

1 settembre 2025

L’8 agosto 2025 è entrato in vigore lo European media freedom act, il regolamento comunitario che obbliga i paesi dell’Unione ad adottare misure normative a salvaguardia dell’indipendenza editoriale e operativa dei media del servizio pubblico. L’Italia, tra gli Stati sotto osservazione, non ha ancora recepito il provvedimento e rischia di incorrere nella procedura d’infrazione, peraltro molto costosa per le casse dello Stato. Finora le schermaglie tra maggioranza e opposizione hanno costituito un alibi per il governo, che può giustificare il suo ritardo raccontando all’Europa che il parlamento sta legiferando, ma il tempo stringe e le sanzioni sono dietro l’angolo.

"L’Italia ha deciso di allontanarsi da Bruxelles per mettersi nell’orbita dell’Ungheria di Viktor Orban – ha detto il presidente della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) Vittorio di Trapani –, a questo punto è bene che i cittadini italiani sappiano che sulla loro testa pende un doppio danno: un paese a libertà di stampa limitata e servizio pubblico asservito al governo, e presto arriveranno anche le sanzioni economiche che saranno pagate da ciascuno di noi. Ormai è chiaro: in Italia abbiamo il governo dei dazi. Quelli accettati in nome dell’amicizia con Trump. E quelli che saranno causati molto presto per le violazioni delle norme europee sulla libertà di stampa". Beppe Giulietti, giornalista e coordinatore dell’associazione Articolo 21, ha rincarato la dose: "In Italia stanno violando tutte le norme del Media freedom act, tutela delle fonti, pedinamenti, intercettazioni, hanno fatto di tutto e di più. A questo punto è necessario che le associazioni, ma anche le forze di opposizione, presentino una denuncia alla Commissione europea accompagnata da una richiesta di ispezione e chiedano finalmente l’applicazione delle sanzioni, come già accaduto in Ungheria". Detto fatto, Articolo 21 ha inviato al commissario Ue per la Giustizia, Michael McGrath, una segnalazione ufficiale che documenta le violazioni in corso.

In Italia la libertà di stampa è sempre più minacciata

La missione europea

Il panorama allarmante della libertà di informazione nel nostro Paese è stato al centro della missione, nel maggio 2024, del consorzio Media freedom rapid response (Mfrr), un progetto avviato nel 2020 e finanziato anche dalla Commissione europea per monitorare le violazioni della libertà di stampa e dei media nei paesi Ue e in quelli candidati all’adesione. Dopo alcune audizioni, il Mfrr ha incontrato la stampa italiana per esprimere il rammarico per non essere stata minimamente considerata dal governo guidato da Giorgia Meloni, ma anche per accendere i riflettori su alcuni nodi irrisolti.

Ad esempio le querele temerarie, divenute la prima arma per silenziare le voci scomode. Secondo il consorzio Mfrr, serve una piena depenalizzazione della diffamazione, in accordo a una necessaria armonizzazione con le regole civili. "Auspichiamo l’introduzione di un elemento normativo che possa prevedere l’archiviazione tempestiva dell’azione temeraria ma anche l’inversione dell’onere della prova. Chiediamo che venga istituito un tetto massimo di risarcimento in sede civile, auspichiamo inoltre alcune misure extra legali in linea con le raccomandazioni anti-Slapp (cause civili strategiche contro la partecipazione civica, fatte per intimidire e scoraggiare, ndr), ovvero l’istituzione di alcune misure di supporto come un sistema di sostegno finanziario e legale per quello che sono i bersagli delle azioni temerarie ". Per fare tutto ciò basterebbe garantire il pieno recepimento della direttiva europea anti-Slapp, passata alle cronache come legge Daphne, in ricordo della giornalista e blogger maltese Daphne Caruana Galizia, autrice di numerose inchieste sulla corruzione, uccisa con una bomba piazzata nella sua vettura.

Libertà di stampa. Da Orbán a Trump, come i sovranismi stanno conquistando i media

Una messa a sistema della direttiva in tempi brevi appare però complicata, anche alla luce del conflitto tra politica e magistratura nonché dell’approvazione di norme che rendono più complesso il racconto delle vicende giudiziarie. Dopo i ripetuti tentativi dei governi guidati da Silvio Berlusconi e Matteo Renzi di silenziare la stampa, sotto l’esecutivo di Mario Draghi è stato approvato un decreto legislativo (n. 188 dell’8 novembre 2021) per adeguare la normativa nazionale alla direttiva 2016/343/UE del 9 marzo 2016 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza. Tra le norme più contestate, il divieto ai singoli pubblici ministeri e investigatori di interagire con i giornalisti: l’unico autorizzato a parlare è il procuratore capo che finisce per utilizzare comunicati asettici e, sempre più di rado, ricorre a conferenze stampa per rispondere alle domande dei cronisti.

È vero, ci sono alcuni piccoli segnali d’inversione di tendenza – come l’accordo sottoscritto a Milano tra rappresentanti di magistrati, avvocati e giornalisti – ma lo scontro sembra non fermarsi. Con il governo Meloni è arrivata prima la stretta alla divulgazione delle intercettazioni, poi il divieto di pubblicazione integrale o per estratto delle ordinanze di custodia cautelare, che ostacola il diritto di cronaca e quindi il controllo democratico sull’esercizio dell’azione penale. Questa materia incandescente e in costante divenire non manca di scaricare su giornalisti e testate il peso di un’informazione che a fatica si fa strada in un paese come l’Italia dove l’editoria pura non esiste e i radicati conflitti di interesse rappresentano una zavorra pesantissima per la Repubblica.

Speranze disattese

"Con una proposta di sei pagine in un colpo solo disegnano un servizio pubblico dove sei dei sette consiglieri di amministrazione sono eletti a maggioranza semplice dal parlamento (quindi da chi ha vinto le elezioni), mentre amministratore delegato e presidente vengono eletti dal cda, così che anche l’ultimo organo di garanzia, il presidente, sia espressione della maggioranza di governo"Usigrai - Sindacato dei giornalisti Rai

La Rai è da sempre oggetto del desiderio di governi e maggioranze di qualsiasi colore e schieramento. Dalla lottizzazione dei partiti della Prima Repubblica all’occupazione poltrona per poltrona nei decenni più recenti, nonostante l’emittenza radiotelevisiva abbia ridotto il suo peso nella pubblica opinione, gli appetiti dei partiti permangono.

Eppure, già lo scorso anno, la delegazione Mfrr aveva spinto per rivedere la legge di riforma voluta dal governo Renzi (n. 220 del 28 dicembre 2015). "Auspichiamo che sia in linea con l’articolo 5 dell’European media freedom act (Emfa). Deve essere una norma tesa a permettere che la nomina dei membri del cda sia completamente indipendente e, in base allo stesso articolo Emfa, che i finanziamenti e le risorse accordate alla Rai possano essere adeguate e certe". L’articolo in questione prevede una serie di tutele per il funzionamento indipendente dei fornitori di servizi di informazione di servizio pubblico, tra cui procedure trasparenti nelle nomine dei vertici, del cda e per i finanziamenti.

Lo scorso luglio i partiti di maggioranza hanno presentato al Senato una proposta di legge per riformare la Rai ma, nonostante le prescrizioni di Bruxelles, la strada imboccata dal governo sembra andare nella direzione opposta. "Con una proposta di sei pagine in un colpo solo – ha spiegato il sindacato Usigrai in una nota – disegnano un servizio pubblico dove sei dei sette consiglieri di amministrazione sono eletti a maggioranza semplice dal parlamento (quindi da chi ha vinto le elezioni), mentre amministratore delegato e presidente vengono eletti dal cda, così che anche l’ultimo organo di garanzia, il presidente, sia espressione della maggioranza di governo. L’Europa parla di indipendenza dalle forze politiche, l’Italia decide che bastano i voti dei partiti di maggioranza per prendersi la Rai".

Giornalisti in cerca di un ruolo

"La libertà di opinione non modifica la verità fattuale, non può essere, cioè, motivo di menzogna, né, tanto meno, può creare qualcosa che solo fantasiosamente può essere definita verità alternativa. La libertà di menzogna non è tra quelle rivendicabili"Sergio Mattarella - Presidente della Repubblica

Mentre i media rischiano di perdere indipendenza e libertà, il pubblico cambia le sue abitudini. L’ultimo rapporto dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) evidenzia che gli italiani leggono sempre meno giornali e libri e solo di rado ricorrono ai tradizionali mezzi di informazione. Il 90 per cento utilizza internet tutti i giorni, il 48 per cento per più di quattro ore: per cercare news, per comunicare con amici e familiari e condividere contenuti audiovisivi e quelle che ritiene essere “notizie”.

Inoltre, ben il 64,6 per cento non ha alcuna coscienza del "ruolo svolto dagli algoritmi di raccomandazione utilizzati dalle principali piattaforme online per indirizzare l’utente verso certi contenuti rispetto ad altri". In un tempo in cui social e algoritmi condizionano in modo pesante (e per molti inconsapevole) l’esistenza di milioni di persone, in molti si illudono di poter costruire contenuti digitali senza l’intermediazione giornalistica, come avveniva fino allo scorso decennio.

Will, Torchia & Co. Sui social i brand fanno notizia

La riflessione sul ruolo dell’informazione – e di conseguenza dei giornalisti – non è una questione di ordine professionale o una rivendicazione sindacale, ma un tema centrale per la vita democratica. Quando parliamo di diritto all’informazione, non bisogna dimenticare che esiste anche un dovere all’informazione sotteso, condizione prima per la partecipazione effettiva alla vita della nostra comunità civile. Non a caso allora, è proprio il garante della Costituzione, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a richiamare il ruolo strategico del giornalismo nella società, servendosi della celebre immagine del “cane da guardia” della democrazia contro gli eccessi di ogni potere. Lo ha fatto di recente, durante un incontro con gli operatori della stampa parlamentare, quando, ricordando come l’etica del giornalismo sia fondata sul rispetto della verità dei fatti, ha dichiarato: "Libertà di opinione e autenticità dei fatti non sono la stessa cosa. In altri termini, la libertà di opinione non modifica la verità fattuale, non può essere, cioè, motivo di menzogna, né, tanto meno, può creare qualcosa che solo fantasiosamente può essere definita verità alternativa. La libertà di menzogna non è tra quelle rivendicabili. I fatti non sono piegabili alle opinioni, possiedono una forza incoercibile".

Serve un'educazione alla lettura

La lotta per la libertà d’informazione è anche una battaglia quotidiana contro le fake news e le frequenti distorsioni dei fatti. Pensiamo, per esempio, alla differenza che passa tra il raccontare la tragedia della guerra a Gaza, descrivendo il puntuale sterminio dei civili, per lo più donne e bambini, quando si avvicinano ai punti di distribuzione dei viveri e, invece, come ha fatto il Tg1, il mostrare le immagini delle derrate alimentari che marciscono al sole, scaricando la colpa sulle Nazioni unite, finendo così per fare da grancassa alla propaganda del governo israeliano.

Ogni gesto quotidiano a difesa dell’informazione è un mattone a tutela della nostra libertà e anche per questo sarebbe necessaria una rinnovata attività di educazione alla lettura nelle scuole e non solo, per scongiurare l’analfabetismo di ritorno, il disinteresse per la cosa pubblica, la disaffezione al voto e la perdita di fiducia nelle istituzioni. Alle tante “tribù dei giornalisti” – secondo la salace espressione del compianto Roberto Morrione – spetta il compito di recuperare la fiducia perduta.

Da lavialibera n° 34, Il giornalismo che resiste

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