
Gaza, il governo sotto accusa per complicità in genocidio e nel blocco della Flotilla

13 ottobre 2025
In trent'anni di vita, Basel Adra la pace non l’ha mai vista. Non la vedrà nemmeno quando, concluso il suo viaggio in Italia, rientrerà a Masafer Yatta, in Cisgiordania. Mentre i grandi del mondo celebrano a Sharm el-Sheikh l’accordo tra Israele e Hamas che, secondo Donald Trump, segna “l’alba storica di un nuovo Medio Oriente”, il giornalista e attivista palestinese, premio Oscar con il documentario No Other Land, richiama alla realtà che continuano a vivere i territori occupati, lasciati ai margini dei negoziati: “Sono contento che si metta fine al genocidio a Gaza, ma l’occupazione e l’apartheid in Cisgiordania continuano, anzi si fanno sempre più violenti – dice a lavialibera a margine del Festival della Missione di Torino, di cui è stato ospite –. Serve continuare a mobilitarsi e chiedere sanzioni”.
Altro che Oscar, No Other Land è da Nobel
No. Non si tratta di pace, ma di un cessate il fuoco che riguarda solo Gaza. È certo importante, perché potrebbe mettere fine a due anni di genocidio durante i quali Israele ha ucciso quasi cento palestinesi al giorno con armi americane e con la fame, raso al suolo case, scuole, strade, ospedali. Per cui sono felice che tutto questo si sia fermato, ma non dimentichiamoci che la gente di Gaza ora si trova di fronte a una realtà fatta di distruzione totale, senza acqua, senza elettricità. Per tornare alla normalità serviranno anni, se non decenni.
"La situazione in Cisgiordania è cambiata in peggio. Ogni giorno e ogni ora i coloni costruiscono nuovi insediamenti illegali, mentre l'esercito distrugge i nostri villaggi nel silenzio del mondo"
È cambiata completamente, e in peggio, dall’inizio del genocidio a Gaza. Ogni giorno e ogni ora abbiamo coloni che costruiscono nuovi insediamenti illegali, fattorie, strade, mentre l’esercito distrugge i nostri villaggi, le nostre case, costringendo molti ad andarsene. I raid degli ultimi mesi in tre campi profughi hanno lasciato 45mila palestinesi sfollati. E di questo si parla pochissimo: nessuna parola dagli americani, né dagli europei. Siamo completamente dimenticati, il che significa dare ai coloni e ai soldati il permesso di continuare.
Molte più persone oggi conoscono Masafer Yatta e ne parlano, ma la situazione sul campo non è cambiata, anzi. Nei mesi scorsi un villaggio è stato completamente distrutto, ed è di qualche giorno fa la decisione di raderne al suolo altri due. E mentre le comunità palestinesi si riducono giorno dopo giorno, smantellate con la forza, gli insediamenti illegali dei coloni diventano sempre più grandi e numerosi.
Non potete immaginarlo: ha un impatto enorme su tutti gli aspetti della vita quotidiana. Significa perdere la terra, il lavoro, le pecore, gli ulivi, le case, le scuole, le strade. Significa vivere costantemente con il timore che i soldati ti entrino in casa, arrestino te o i tuoi familiari, distruggano i mobili con la scusa delle perquisizioni, o che i coloni brucino la tua macchina, attacchino fisicamente te o i tuoi familiari, comprese donne e bambini. Significa non potersi muovere liberamente da un villaggio all’altro perché c’è un checkpoint o perché l’esercito ha deciso che quel giorno la strada è chiusa. Non c’è sicurezza, si vive costantemente nel timore e nell’ansia di ciò che è successo o potrebbe succedere.
Ancora peggio. Chi prova a documentare ciò che succede rischia a maggior ragione di essere arrestato o espulso, oppure di vedersi negata la possibilità di raggiungere il luogo dove avvengono le violazioni. Il motivo è chiaro: Israele vuole nascondere la verità. I soldati sono entrati anche in casa mia il mese scorso dopo un attacco dei coloni e lo stesso è successo ai miei genitori e amici. Ho paura, come tutti i palestinesi, ma continuo.
In qualche modo sì. Noi giornalisti palestinesi non siamo eccezionali rispetto alla nostra gente, partecipiamo insieme a loro alla lotta quotidiana contro l’occupazione: aiutiamo a ricostruire ciò che è stato distrutto, partecipiamo alla raccolta delle olive. Semplicemente abbiamo uno strumento in più, la nostra videocamera, con cui documentiamo e mostriamo con le immagini cosa succede, come Israele viola quotidianamente il diritto e ci nega la nostra dignità, sperando che prima o poi il mondo faccia qualcosa.
"Noi giornalisti palestinesi non siamo eccezionali rispetto alla nostra gente. Partecipiamo insieme a loro alla lotta quotidiana contro l’occupazione, semplicemente abbiamo uno strumento in più: la videocamera"
Sì, decisamente. Certo non tutti, ma molti, soprattutto i media mainstream. Si è dato senza problemi la parola ai coloni, che hanno potuto esporre i loro piani per l’espulsione dei palestinesi e le peggiori idee razziste, mentre chi ha osato dire qualcosa contro Israele, per esempio parlando di apartheid e occupazione, è stato spesso etichettato come antisemita per ridurlo al silenzio. Anche raccontare quello che è successo a Gaza come una guerra tra due parti alla pari ha contribuito a legittimare il genocidio, come è assurdo che ora parlino di pace.
Gaza e la scorta mediatica, conversazione con Raffaele Oriani
Smantellare il sistema di apartheid e porre fine una volta per tutte all’occupazione. Esattamente il contrario di ciò che Israele sta facendo con la complicità di quegli Stati che dicono di essere democratici e di rispettare il diritto internazionale. La maggior parte delle armi che uccidono i palestinesi vengono da Stati Uniti, Germania, Italia, le relazioni commerciali continuano come se nulla fosse, il soldato che ha ucciso il mio amico può farsi tranquillamente una vacanza nelle vostre città e poi tornare a commettere crimini senza che gli succeda niente. È tutto un sistema che ha fallito: se succede con noi, succederà di sicuro altrove in futuro.
Sono convinto che queste iniziative civili, le proteste, la flotilla, gli appelli al boicottaggio, siano la vera ragione che ha spinto Trump a spingere per un accordo. Altrimenti il genocidio sarebbe continuato. Quindi bene, ma l’occupazione e l’apartheid sono ancora in piedi. Quindi vi dico: per favore, continuate questo lavoro straordinario, anzi fate ancora di più finché finalmente tutti potranno godere di un futuro in Palestina.
Chi guadagna sul genocidio? Il report di Francesca Albanese
Sì, Israele deve pagare un prezzo per i propri crimini. Se gli scambi sportivi, commerciali, comprese le armi, turistici, politici continuano normalmente, perché dovrebbe smettere di violare i diritti dei palestinesi?
Non lo so. Non è il tempo che cambia le cose, ma le azioni. Se le persone continueranno a mobilitarsi e i governi si decideranno a fare qualcosa, allora potremo sperare e parlare di un futuro diverso. Ora, però, è difficile avere speranza.
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