
Le armi bruciano il pianeta


1 novembre 2025
Fin dall’antichità i potenti provano a convincerci che "se vogliamo la pace, dobbiamo preparare la guerra". E anche se il mondo è radicalmente cambiato negli ultimi decenni, dopo la tragedia delle guerre mondiali, questa massima continua a dettare la linea. Secoli di progresso scientifico e tecnologico, filosofico, politico e sociale non sono bastati a ribaltare la prospettiva. Denunciamo gli orrori delle guerre lontane – sempre meno! – da noi, ma nulla facciamo per prevenire quelle che potrebbero travolgerci a breve. Invece di ripudiare l’ipotesi di nuove guerre, come vorrebbe la Costituzione, pensiamo a farci "trovare pronti". Pronti a combattere, s’intende.
Guerra, vertigine e disincanto. Leggi l'editoriale di presentazione del numero
Si compilano pagine e pagine di analisi, si organizzano convegni e incontri istituzionali di alto profilo per capire quando e quanto investire in nuovi armamenti, in una discussione senza se e senza ma: le classi dirigenti sembrano dare la guerra per scontata
La scelta di riarmo che l’Europa porta avanti compatta si spiega prima di tutto col rifiuto di abbandonare questa logica arcaica. Si compilano pagine e pagine di analisi, si organizzano convegni e incontri istituzionali di alto profilo per capire quando e quanto investire in nuovi armamenti, in una discussione senza se e senza ma: le classi dirigenti sembrano dare la guerra per scontata.
Non sono un esperto di geopolitica, e non mi permetto di confutare le previsioni degli analisti che da anni studiano le mosse dei vari Paesi, europei e non. Eppure mi sembra che se qualcosa dovrebbe caratterizzarci, come democratici, è l’apertura all’imprevisto e al cambiamento. L’idea che la volontà dei popoli possa evolvere ed esprimersi in una direzione diversa dal passato. Lo abbiamo visto accadere: da ottant’anni le nazioni europee, che si erano dilaniate senza sosta per secoli, riescono a convivere in pace. E quando la pace è stata interrotta, come è accaduto durante il conflitto nei Balcani, abbiamo sentito quella violenza come una ferita nel corpo vivo del Continente. Questa pace ha portato benessere, diritti e il rafforzamento dei meccanismi di governo sovranazionali, ha contagiato le nazioni vicine. La gente ama la pace! Qualsiasi sondaggio d’opinione lo dimostra. E persino l’affermazione elettorale di alcune forze politiche sovraniste sembrerebbe poggiare – anche – sull’idea che un maggiore isolamento internazionale significhi un minore rischio di conflitto sul proprio territorio.
"Come è possibile che ci sia pace in un mondo che si affida alla legge del più forte e del più ricco, a scapito del diritto internazionale?"Papa Leone XIV
A dispetto di questo, l’Europa sceglie la strada della deterrenza armata. Ci viene detto che è una scelta obbligata, dettata dalle mosse minacciose dei nostri "nemici", primo fra tutti la Russia di Putin con altre dittature sue alleate. Non voglio certo difendere quel tipo di personaggio e i suoi metodi aggressivi, sciagurati in politica interna prima ancora che fuori dai confini.
Eppure mi chiedo: davvero dobbiamo ingaggiare con quella parte di mondo un confronto sul piano della forza? Se ci teniamo a difendere la nostra libertà, e le specificità del nostro modello di vita e di governo, non dovremmo piuttosto spostare il confronto sul piano dell’etica? Non possiamo provare a vincere con le armi della pace? Con la verità, la giustizia, il dialogo, il progresso economico e sociale? Forse non lo facciamo perché in fondo siamo consapevoli che, anche nel nostro decantato mondo occidentale, si tratta di armi spuntate, rese deboli dal prevalere di interessi assai meno nobili, che non hanno nulla di collettivo né di pacifico.
Ha detto Papa Leone XIV: "Come è possibile che ci sia pace in un mondo che si affida alla legge del più forte e del più ricco, a scapito del diritto internazionale?". Mi pare che questo richiamo sia ugualmente valido per l’Oriente e l’Occidente, il capitalismo nelle sue varianti socialista o liberista, le dittature e le democrature, chi punta ad ampliare militarmente i propri confini e chi invece li difende facendo la guerra al più derelitto degli “eserciti”: quello delle persone migranti in cerca di dignità.
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Come ha detto bene Papa Francesco, è il momento di "scardinare tale logica e procedere sulla via di un disarmo integrale, poiché nessuna pace è possibile laddove dilagano strumenti di morte"
La pace è l’arte del compromesso, cioè del promettersi insieme qualcosa che ci fa contenti a metà per salvarci da una distruzione completa. Una promessa fatta con le armi in pugno però non vale nulla, come vediamo bene con la fragilissima e ambigua tregua firmata di recente in Palestina, dove chi avallava le distruzioni ha deciso che adesso è più lucroso ricostruire.
Secondo gli ultimi dati, sono in corso 59 guerre nel mondo. Hanno radici storiche, economiche e sociali diversissime, ma tutte si legano a quella vecchia e ormai logora idea: per avere la pace, devi preparare la guerra. Devi armarti e aspettare il minimo pretesto per attaccare. Questo ha portato nel 2024 a un record nella spesa militare globale, che ha toccato i 2.718 miliardi di dollari. I nuovi obiettivi della Nato prevedono inoltre di portare al 5 per cento del pil gli investimenti bellici entro il 2035, che per l’Italia vorrebbe dire spendere 100 miliardi di euro in più, le stesse che non si trovano per il welfare, l’istruzione, la salute, i diritti di base!
Come ha detto bene Papa Francesco, è il momento di "scardinare tale logica e procedere sulla via di un disarmo integrale, poiché nessuna pace è possibile laddove dilagano strumenti di morte". I giovani che hanno riempito le piazze in Italia e non solo in difesa di un popolo inerme massacrato mi danno la speranza che sia finalmente arrivato il tempo di contrattaccare, sul piano ideologico e morale. Se vuoi la pace, prepara la pace! Armati di santa pazienza, studia la lingua del tuo vicino, pratica la nonviolenza a partire dai rapporti più intimi, familiari e sociali. Usa parole disarmate e disarmanti. E alza la voce, se serve. Ma soltanto per dire: no grazie, io quell’arma non la prendo, io la tua guerra non la combatto.
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