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31 dicembre 2025
Oggi si chiude il 2025 e guardando al sistema penitenziario quello che quest'ultimo anno lascia in eredità è una situazione drammatica: è cresciuto il numero delle persone detenute e con esse il sovraffollamento; sono diminuiti i posti disponibili, al netto di un piano di edilizia penitenziaria che – come accaduto in passato – non sta producendo alcun effetto; il numero delle persone morte e dei suicidi si è mantenuto al livello drammatico a cui gli ultimi quattro anni ci hanno abituati; ogni ipotesi di riforma è stata respinta al mittente, nonostante l'anno si fosse aperto con l'appello alla clemenza di Papa Francesco, nel Giubileo dei detenuti.
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"Abbiamo varato un piano straordinario di interventi che ci farà avere, con opere in cantiere già oggi e con il termine dei lavori al 2027, circa 10mila nuovi posti detentivi, con un investimento complessivo di oltre 750 milioni di euro. E stiamo lavorando per aggiungere altri 5mila posti in modo da colmare l'intero divario che c'è fra presenze e posti disponibili". Così diceva la premier Giorgia Meloni presentando il piano di edilizia penitenziaria voluto dal suo governo. "Abbiamo portato in consiglio dei ministri una serie di provvedimenti volti ad affrontare il problema del sovraffollamento carcerario, la cui soluzione per noi è una priorità", le faceva eco il ministro della Giustizia Carlo Nordio.
I diritti dei detenuti sono stati violati più di 30mila volte in sette anni
Era il 22 luglio quando il governo presentava quello che è stato definito, anche ufficialmente, il “piano carceri”, un pacchetto di misure pensato per affrontare la storica crisi del sistema penitenziario italiano. Un piano che doveva segnare una svolta strutturale: nuovi posti di detenzione, più spazio, meno sovraffollamento, meno tensioni, meno emergenza.
Il "piano carceri" del governo è soprattutto sulla carta e il sistema continua a restringersi su se stesso
Se si guarda alle cifre reali, l’impressione è che quel piano sia rimasto soprattutto sulla carta, mentre nell’esperienza quotidiana di chi vive e lavora in carcere, il sistema continua a restringersi su se stesso. Degli oltre 10mila posti detentivi promessi, già poco meno di 900 erano previsti entro quest'anno. Invece quelli realmente disponibili sono addirittura calati di 700 unità. Da quasi 47mila di inizio anno a poco più di 46mila, con un dato registrato a inizio dicembre, quando ancora non si era verificato l'incendio nel carcere milanese di San Vittore, con 250 posti andati persi, vedremo per quanto tempo.
Restano inascoltati gli appelli per un atto di clemenza. “È un bel gesto quello di aprire le porte che significa cuori aperti. Questo fa la fratellanza. I cuori chiusi non aiutano a vivere. La grazia di un Giubileo è spalancare, aprire. Soprattutto i cuori alla speranza”, aveva detto il 26 dicembre di un anno fa Papa Francesco, aprendo una delle Porte Sante del Giubileo nel carcere di Rebibbia. In quell'occasione sollecitò – in linea con l'anno Santo – un provvedimento di clemenza che potesse promuovere una giustizia penale aperta alla speranza e al reinserimento sociale.
Garantire i diritti ai detenuti Lgbt+, banco di prova del rispetto della dignità in carcere
Nel tempo poi si sono succeduti altri appelli e richieste. Dalla società civile, dai parlamentari, dalle persone detenute. Qualche timida apertura l'aveva manifestata il presidente del senato Ignazio La Russa, prontamente bocciata dalla maggioranza di governo. E così, mese dopo mese, il 2025 ha visto aggravarsi le condizioni del sovraffollamento. A fine novembre nelle carceri italiane erano detenute 63.868 persone, a fronte delle 61.861 che si registravano alla fine del 2024. Un aumento costante, pari a oltre 180 persone in più ogni mese.
A fine novembre nelle carceri italiane erano detenute 63.868 persone, a fronte delle 61.861 che si registravano alla fine del 2024
Al momento dell'entrata in carica del governo Meloni, le persone in carcere erano 56.225. Questo significa che in tre anni le persone recluse sono cresciute di 7.613 unità, con un tasso di affollamento passato da circa il 120 per cento dell'ottobre 2022 a circa il 139 per cento attuale, con 72 istituti dove il tasso è superiore al 150 per cento.
Un ritmo che sta riportando l'Italia ai livelli della condanna della Corte europea dei Diritti dell'uomo per i trattamenti inumani o degradanti generalizzati nelle carceri del paese. Trattamenti che gli stessi tribunali di sorveglianza italiani non possono far altro che riconoscere. Solo nel 2024 i ricorsi accolti, con tanto di risarcimento economico a favore dei detenuti, sono stati circa 5.800. All'epoca della condanna europea la Corte aveva ricevuto circa 4mila ricorsi.
Nel 42,9 per cento degli istituti visitati nell’ultimo anno sono state trovate celle in cui non erano garantiti i 3 mq di spazio calpestabile per ogni persona
Vedremo quali saranno i numeri nel 2025, con Antigone che segnala come nel 42,9 per cento degli istituti visitati nell’ultimo anno sono state trovate celle in cui non erano garantiti i 3 mq di spazio calpestabile per ogni persona. L’anno scorso questo dato si fermava al 32,3 per cento. La crescita della popolazione detenuta, poi, non si può giustificare con l'aumento dei tassi di criminalità nel paese: nel primo semestre del 2025 i reati denunciati sono stati 1.140.825, contro i 1.199.072 dello stesso periodo dell’anno precedente, con una diminuzione del 4,8 per cento.
A crescere non è dunque la criminalità, ma l’uso della detenzione come risposta quasi esclusiva e del sistema penale come veicolo di propaganda.
Nell’ultimo anno l’osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione, attivo fin dal 1998, ha visitato circa 120 istituti. Le 71 schede elaborate di altrettanti istituti offrono uno spaccato delle questioni più urgenti che il sistema penitenziario soffre. Ad esempio, il 10 per cento degli istituti non ha il riscaldamento sempre funzionante, mentre nel 45,1 per cento vi sono problemi con l’acqua calda. Oltre la metà delle carceri (56,3 per cento) ha le celle prive di doccia, nonostante il regolamento penitenziario del 2000 ne preveda l’obbligatorietà.
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Le carenze strutturali riguardano anche gli spazi di vita e trattamento: nell’8,5 per cento degli istituti non esistono spazi per la socialità, nell’8,6 per cento mancano ambienti dedicati esclusivamente alla scuola e alla formazione, e nel 31 per cento non ci sono locali per attività lavorative come falegnamerie o laboratori. E ancora, nel 23 per cento delle carceri visitate non sono presenti aree verdi per i colloqui all’aperto con i familiari.
Oltre la metà delle carceri ha le celle priveìte di doccia, nonostante il regolamento penitenziario ne preveda l’obbligatorietà
Una situazione aggravata dal sovraffollamento, che ha portato alcune carceri a trasformare spazi di socialità o per attività in celle di pernotto. E mentre il carcere si riduce a spazio di mera custodia, lavoro, formazione e istruzione restano largamente marginali. Lavora per l’amministrazione penitenziaria circa il 30 per cento delle persone detenute, mentre solo il 3,7 per cento ha un impiego con datori di lavoro esterni.
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Frequenta la scuola il 30,4 per cento dei presenti, ma solo il 10,4 per cento è coinvolto in percorsi di formazione professionale. Strumenti che dovrebbero essere centrali nel reinserimento sociale diventano invece eccezioni. La vita quotidiana, partendo da queste condizioni, aggravate dalla crescita del sovraffollamento, diventa sempre più difficile. Lo dimostra ilnumero degli eventi critici: negli istituti visitati si registrano in media 16,7 atti di autolesionismo ogni 100 detenuti, 2,6 tentati suicidi e 16,4 isolamenti disciplinari ogni 100 persone detenute.
A proposito dei suicidi, quest’anno sono già 79, il terzo dato più alto di sempre (i due "record" precedenti risalgono al 2024 e al 2022), mentre le morti totali hanno raggiunto quota 238. Anche in questo caso il terzo dato più alto mai registrato, dopo quelli del 2022 e del 2024. Numeri sui quali incide anche la crescente fragilità delle persone che finiscono in carcere, spesso con diagnosi psichiatriche, di dipendenza o doppie diagnosi.
La sofferenza psichica è una delle grandi emergenze del carcere italiano. Dalle oltre 100 visite effettuate quest'anno da Antigone è emerso come l’8,9 per cento delle persone detenute presentava una diagnosi psichiatrica grave al momento delle visite. A fronte di ciò, il 20 per cento assumeva regolarmente stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi, mentre il 44,4 per cento faceva uso di sedativi o ipnotici.
Negli istituti visitati si registrano in media 16,7 atti di autolesionismo, 2,6 tentati suicidi e 16,4 isolamenti disciplinari ogni 100 persone detenute
Tuttavia gli psicofarmaci, come dimostrano i dati, in carcere non sono soltanto una necessità terapeutica o di supporto, ma continuano a rappresentare uno degli strumenti principali di gestione dell’ordine interno e del disagio sociale. Un quadro dove a faticare sono anche gli operatori. Pochi, affaticati, spesso senza un reale riconoscimento sociale ed economico.
Sempre dai dati elaborati dopo le visite di Antigone, si evidenzia come solo il 77,5 per cento degli istituti ha un direttore con incarico esclusivo; negli altri casi la direzione è condivisa tra più carceri, con evidenti ricadute sulla qualità della gestione. In media si contano 1,9 detenuti per ogni agente di polizia penitenziaria e 70 detenuti per ogni educatore, ma in alcune realtà i numeri diventano insostenibili: a Regina Coeli si arriva a 3,2 detenuti per agente e 95 per educatore; a Novara a 2,7 detenuti per agente e addirittura 180 per educatore.
Nelle carceri, anche i medici sono abbandonati
Si fa un'enorme fatica a seguire le scadenze interne, a dare tempestive risposte alle persone detenute in attesa di una valutazione per ottenere un’alternativa alla detenzione. È altrettanto faticoso organizzare i servizi di scorta per accompagnare le persone detenute che necessitano di visite specialistiche negli ospedali. La notte pochi agenti, spesso senza supporto medico, sono lasciati a gestire possibili emergenze, con responsabilità che vanno ben oltre quelle che dovrebbero avere.
Il carcere italiano è in emergenza e servono riforme, subito. Altrimenti ci ritroveremo alla fine del 2026 a elencare i numeri di un disastro. Non annunciato, ma già in corso.
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