La poesia della madre dalla Somalia e la spilla del Toro per festeggiare la cittadinanza

Ne "Lo sguardo avanti", Abdullahi Ahmed, mediatore culturale di origine somala, racconta la sua storia, la partenza da Mogadiscio, il viaggio in Africa, il tempo trascorso in Libia prima di attraversare il Mediterraneo e giungere a Lampedusa

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31 ottobre 2020

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Abdullahi Ahmed ha lasciato la sua famiglia in Somalia che lui aveva 19 anni. Si era da poco iscritto all'università a Mogadiscio quando Al Shabab, un'organizzazione terroristica islamica, hanno cominciato a seminare il terrore. Così ha deciso di affrontare un lungo viaggio attraverso l'Africa e il Mediterraneo per giungere in Italia. Dopo lo sbarco a Lampedusa, arriva a Torino: qui in pochi anni è riuscito a diventare un mediatore culturale molto apprezzato, capace di spiegare agli studenti delle scuole cosa siano migrazioni, accoglienza, culture, popoli e diritti. Ora lo racconta ne Lo sguardo avanti (Add editore), in libreria dal 4 novembre, ripercorrendo la sua storia e i suoi progetti, come l'associazione Generazione ponte. Ne proponiamo qui un estratto sulla cittadinanza.

***

È molto difficile ottenere la cittadinanza, ma se uno vuole godere di pieni diritti deve provarci. Io volevo continuare a vivere in Italia e per me quello era il passo successivo. Il permesso di soggiorno ti dà qualche diritto, ma, a livello giuridico, rimani un cittadino a metà. Per esempio, non puoi votare e scegliere chi ti rappresenta.

Ho fatto la richiesta di cittadinanza italiana il 20 giugno 2014 e ho aspettato un anno e sette mesi prima di ricevere un sì o un no. Un anno e sette mesi in cui ho vissuto con il fiato sospeso, in attesa di una certificazione che sarebbe stata la svolta definitiva alla mia vita, l’ultimo dei cinque obiettivi che mi ero prefissato quando sono arrivato in Italia.

Non ho aspettato tanto per la risposta, perché oggi il tempo di attesa per la stessa domanda può arrivare anche quattro anni. Quattro anni che vengono tolti alla tua vita, quattro anni rubati. Allo stesso modo, posso solo immaginare quanto sia difficile, per chi è nato in Italia, attendere 18 anni prima di poter richiedere la cittadinanza italiana. Quando sentiamo parlare di ius soli, dobbiamo immaginare le vite di chi, nato in un luogo, sente che quel luogo non lo vuole. Sul tavolo non mettiamo solo la questione legale, ma anche il disagio psicologico in cui sono costretti a vivere alcuni ragazze e ragazzi che sono italiani, ma non sono riconosciuti tali.

La mia situazione è diversa dalla loro che sono nati in Italia; io in Italia ci sono arrivato per poi lavorare, impegnarmi, collaborare con la società, non avevo commesso reati, avevo cercato di provare il mio senso di appartenenza alla nazione che mi aveva accolto e se avessi ricevuto un no, sarebbe stato impossibile accettarlo. Avevo tutti i requisiti per diventare un cittadino italiano e i progetti futuri della mia vita dipendevano da quel pezzo di carta.

Poi, un giorno, ho letto sul sito del ministero dell’Interno che il mio decreto era stato firmato. Si chiama K/10 ed è il modulo per la richiesta di cittadinanza. Una sigla come le altre, che alla maggior parte degli italiani non dice nulla, ma che per molte persone che incrociano ogni giorno è il filo cui è appeso il loro destino.

Ho chiamato Khadija, un’amica di origine marocchina per chiederle una conferma. Poi ho chiamato la mia famiglia e gli amici. Da quel momento potevo dirlo a tutti: ero un cittadino italiano. La sera stessa mia madre mi ha mandato una poesia:

Abdul, non ti devi preoccupare, ma sii all’altezza delle situazioni.
Abdul, non ti devi preoccupare, ma sii all’altezza delle situazioni.
Prego Dio che il tuo nome si diffonda in tutto il mondo.
Che tu possa trovare, senza sforzo, ciò che desideri.
Che Dio Glorioso ti riempia la mano destra.
Che tutti i doni di Dio ti siano accessibili.
 E che Dio ti aiuti a farne buon uso.
Che tu possa raggiungere Mecca e Medina, le città più importanti.
Che ti renda facile il raggiungimento dei tuoi obiettivi.
Che ti renda facile il raggiungimento dei tuoi obiettivi.
Amen

La lettera ufficiale è arrivata a gennaio e il 21 marzo 2016, la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, c’è stata una cerimonia a Settimo Torinese. Lì ho capito che non era un traguardo solo mio, ma il risultato dell’impegno di molti e si potrebbe dire di un’intera comunità che aveva deciso di fare prima interazione e poi integrazione, dimostrando che ci sono percorsi praticabili per rendere possibile il dialogo tra culture e persone.

Quella sera ho ricevuto moltissimi regali dagli amici e anche dall’associazione degli ex-calciatori del Torino che mi hanno portato una spilla e una penna della squadra con la scritta “Granata doc”. La sala era piena, era la festa di tutti, la festa di un sistema che aveva funzionato, aveva risposto a una domanda con delle soluzioni, aveva reso possibile uno scambio e aveva portato giovamento a tutti. A chi arrivava e a chi era sempre stato cittadino italiano.

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