2 novembre 2020
Oltre a farci del male, il coronavirus attuale (quello che ha provocato la pandemia Covid-19) ci complica tremendamente la vita. Ne vanno di mezzo sia i nostri organismi, sia gli aspetti più importanti della nostra esistenza: la società, l’economia, la cultura. Lo si vede molto bene in campo scolastico, dove è oltremodo difficile riorganizzare l’insegnamento, specialmente sotto il profilo della socialità. Le soluzioni che possono essere adottate comportano restrizioni tali da danneggiare gravemente il meccanismo di riproduzione sociale che è la scuola: siamo di fronte a un grave danno che si riverbera sull’intera società e che colpisce giovani e bambini nel momento cruciale della loro formazione.
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È probabile che nella scuola proprio questo tema – lo sconvolgimento provocato dal virus – venga affrontato in maniera esplicita. Si partirà forse dal concetto di pandemia e dai numeri che ne descrivono le dimensioni: quante persone sono state contagiate, quante sono guarite, quante sono decedute, in Italia, in Europa, nel mondo. Si avrà così l’impressione di essere stati travolti e coinvolti in una specie di “guerra”, che il virus ha provocato, pur senza averla dichiarata. Proprio per questo si usa dire da più parti che il virus è attualmente il nostro maggior “nemico”, da cui occorre difendersi e contro cui occorre agire per debellarlo.
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Ma possiamo davvero sostenere che il virus ci abbia portato la guerra e che sia il nostro nemico? In realtà, Sars-CoV-2 salta da un organismo a un altro – e prima ancora da una qualche specie animale alla nostra – in quanto è semplicemente alla ricerca di cellule a lui estranee entro cui riprodursi. Come qualsiasi altro virus, anche questo non aveva e non ha in testa di fare del male agli uomini: ha soltanto trovato strade aperte per cercare di penetrare nelle cellule degli organismi umani. Non è sua intenzione – e non sarebbe nemmeno suo interesse – distruggere gli organismi in cui si intrufola. Se l’organismo muore, viene meno anche la sede che aveva trovato per riprodursi. Il virus in quanto tale non è dunque nostro nemico: siamo noi che lo concepiamo così.
Forse è inevitabile attribuire al virus il ruolo di nemico a seguito dei disastri – vere catastrofi – che la sua presenza da un lato e le nostre reazioni dall’altro hanno provocato. Ma in questa attribuzione c’è un significato più nascosto, che vorremmo portare alla luce. Il virus, infatti, è il nemico della nostra presunzione, generato dalla nostra presunzione, quella che ci fa ritenere di essere a parte, di essere una specie a sé nei confronti di tutte le altre: la specie di coloro che presumono di avere titolo a dominare il mondo. Questa nostra magnificata “solitudine” crea per noi una sfera separata e autonoma, un regno a parte, nei confronti del quale gli altri esseri risultano inferiori, dipendenti, asserviti. Tutto ciò – sarà bene ricordare – è stato appreso leggendo i reiterati comandamenti divini contenuti nella Genesi. Noi abbiamo ben poco da spartire con le altre creature: siamo stati fatti da Dio a sua immagine e somiglianza affinché – come egli afferma in maniera del tutto esplicita – possiamo dominare, soggiogare, sfruttare la Terra e tutte le specie che essa contiene.
C’è dunque una frontiera che separa il Regno dell’Uomo (l’espressione era usata da Francesco Bacone all’inizio dell’era moderna) da tutto il resto della natura: se qualcuno attraversa questa linea, come ha fatto Sars-CoV-2, esso diventa potenzialmente un nemico. Silenziosamente, subdolamente, proditoriamente Sars-CoV-2 è entrato, da nemico, nel Regno dell’Uomo, nelle sue città, nei suoi luoghi di lavoro e di svago, nei suoi organismi. Ce ne siamo accorti – prima in Cina, poi via via in tutte le altre parti del mondo – quando gli organismi hanno cominciato ad ammalarsi e in molti casi a morire.
Nel frattempo, Sars-CoV-2 continua a fare il suo lavoro, indifferente alle immagini che di lui ci creiamo. Ma il virus da noi trasformato in nemico è la smentita fattuale di questa nostra folle, autistica, solitudine ontologica. A questo punto, esso diventa il nemico della nostra presunzione in un secondo senso: esso ci ricorda che, nonostante tutta l’enorme cultura che abbiamo costruito (la mega-civiltà globale in cui siamo immersi), esistono pur sempre ancora numerosi fili che ci legano al resto della natura e che ribadiscono la nostra parentela con tutte le altre forme di vita, persino con i micro-organismi invisibili che continuano a circolare nel mondo. Non per niente, come giustamente affermano diversi virologi, è questione (anche con i virus) non di fare la guerra, ma di trovare forme di convivenza.
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Senza affatto sminuire i problemi che la circolazione di questo virus continua a produrre, quanto meno potremmo trarne un insegnamento: non siamo affatto soli in questo mondo. Come affermava Claude Lévi-Strauss nella pagina conclusiva di Tristi Tropici (1955), sarebbe follia se volessimo continuare a scavare il vuoto in cui fare precipitare l’umanità e le sue culture.
Da lavialibera n°5 settembre/ottobre 2020
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