15 gennaio 2021
Con la crisi economica in corso diversi imprenditori lombardi non riescono a stare al passo con i pagamenti di finanziamenti o prestiti. Gli istituti di credito li marchiano come cattivi pagatori e non concedono più denaro liquido. È per questo che sono loro in prima persona a cercare il credito mafioso: "Non è una giustificazione ma una constatazione. È quello che ho fatto", ci racconta Giulio (nome di fantasia), imprenditore edile del Varesotto. Questi soldi sono avvelenati non solo perché sono prestati a usura, ma perché sono il ponte con cui la criminalità mette radici in azienda, usata come lavatrice di soldi sporchi. Radici che Giulio non ha però permesso attecchissero: con l’appoggio dell’associazione antiracket e antiusura Sos Italia Libera, ha scelto la via della denuncia.
Non c’è soluzione con queste persone. È come uscire dalle sabbie mobili continuando ad agitarsiGiulio (nome di fantasia) - Imprenditore edile del Varesotto
"Ho commesso un errore, all’inizio della pandemia il settore edile è entrato in una crisi ben più profonda di quella che già da una decina di anni affronta". Giulio ha chiesto ad alcuni conoscenti dell’ambiente lavorativo come avere quel gruzzolo che la banca non concedeva per tappare la prima emorragia di liquidità. Questi lo hanno indirizzato verso chi il credito poteva concederlo. "Sapevo che quei soldi non erano puliti, ma con le banche era un muro di gomma. Così, pur di non mandare a casa i miei dipendenti, ho accettato. Pensavo di riuscire a tappare un buco. Restituire tutto e tornare alla mia attività". Credeva fosse un compromesso a tempo. Ha iniziato con cinquemila euro di prestito per ripianare la prima falla ma nel frattempo, tra la pandemia che ha fermato tutte le attività produttive e i tassi da usura, la falla è diventata un buco nero: "Ho mancato qualche pagamento e alla fine mi sono ritrovato a dover pagare 600mila euro. All’inizio mi hanno proposto soluzioni alternative che mi sono sembrate vantaggiose per provare a rientrare, sempre nell’ottica del chiudere la falla. Ma non c’è soluzione con queste persone. È come uscire dalle sabbie mobili continuando ad agitarsi", racconta Giulio con la voce rotta.
"Spesso il problema non sono nemmeno i tassi da usurai, ma quelli convenienti"Antonio Calabrò - Vicepresidente Assolombarda
Giulio si è accorto tardi di chi fossero gli uomini a cui doveva i soldi. Uomini che non conosceva prima di questo bisogno dettato dalla pandemia e dalla disperazione. Così il dramma si è spostato dai probabili licenziamenti alle minacce alla sua famiglia: "Per il recupero crediti, queste persone si sono avvalse di affiliati alle locali di ’ndrangheta che hanno portato foto e video di mia figlia e di mia moglie minacciandole per obbligarmi a pagare. È per la loro sicurezza che ho deciso di denunciare".
"Spesso il problema non sono nemmeno i tassi da usurai, ma quelli convenienti", spiega Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda con delega alla legalità. A volte, i soldi che la criminalità organizzata presta non vengono neppure chiesti indietro perché l’obiettivo è un altro: "Mettere le mani sull’impresa pulita per vincere le gare d’appalto". Nuovi appalti significano più soldi e coperture per il riciclo del denaro sporco.
"Quando da risorsa diventi un rischio o anche solo una scommessa per i loro investimenti, le banche smettono di aiutarti – spiega Giulio –. Come è successo a me, quando mi hanno ritirato il fido (l’impegno a mettere una somma a disposizione, ndr). Ti lasciano solo appena sei difficoltà, ovvero proprio quando hai più bisogno di credito". Ancora a metà settembre, davanti alla proposta di un piano per rientrare, Giulio si è visto rispondere: "O ci ridà tutta la cifra dovuta o passiamo al pignoramento". Una situazione che il presidente di Sos Italia Libera, Paolo Bocedi, conferma essere diffusa, anche prima della pandemia. "Gli istituti di credito devono far funzionare l’intero sistema-Paese, senza una gestione del credito, che passa anche da alcuni dolorosi “no”, crolla il sistema", chiosa in tutta risposta il vicepresidente di Assolombarda Antonio Calabrò.
"Spesso sono gli imprenditori ad agganciare le mafie perché i loro prezzi sono più vantaggiosi"Alessandra Dolci - Procuratore aggiunto Dda Milano
Cosa fare, allora, per non cadere nelle trame del credito mafioso? Innanzitutto partire da un dialogo con le banche per rivedere i paletti per l’accesso al credito. Bisogna poi "creare confidi, consorzi di garanzia collettiva dei fidi che si impegnino a fornire alle aziende le garanzie necessarie verso il sistema bancario per agevolarle nell’accesso ai finanziamenti", suggerisce Calabrò. I confidi, essendo composti da vari soggetti del mondo produttivo, sono anche strutture che possono offrire consigli: quelli degli altri imprenditori, ma anche di uffici appositi, per uscire da situazioni economiche e psicologiche complicate.
Gli imprenditori devono capire che denunciare conviene, aggiunge Bocedi: "Una volta che il magistrato ha accertato l’appartenenza alla criminalità organizzata di chi ha prestato il denaro con modalità estorsive o usuraie, lo Stato garantisce all’imprenditore un prestito fino a un milione e mezzo di euro da restituire in dieci anni a tasso zero. Per le vittime del pizzo – come lo sono stato io in passato – lo Stato garantisce la stessa cifra a fondo perduto per ripartire con la propria attività. Io vendevo divani e, dopo aver denunciato i miei estorsori, i processi e la scorta, ho ancora la mia attività e in più ho fatto arrestare alcuni esponenti della ’ndrangheta".
Attenzione però alla distinzione tra vittime e collusi: "Troppe volte mi sono sentita dire: ‘Mi sono rivolto alla criminalità organizzata perché conviene’ – spiega la procuratrice Alessandra Dolci, a capo della Dda di Milano –. Spesso sono gli imprenditori ad agganciare le mafie perché i loro prezzi sono più vantaggiosi".
Da lavialibera n° 6 novembre-dicembre 2020
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