Vincenzo Agostino, papà di Nino Agostino, ucciso dalla mafia il 5 agosto 1989. Credits foto: Gian Battista Raffetti
Vincenzo Agostino, papà di Nino Agostino, ucciso dalla mafia il 5 agosto 1989. Credits foto: Gian Battista Raffetti

21 marzo 2021, prima sentenza per il caso Agostino

Condannato all'ergastolo Madonia, esecutore del delitto. Le indagini vanno avanti da 32 anni, dimostrando quanto sia difficile la ricerca della verità per i familiari delle vittime di mafia

Rino Giacalone

Rino GiacaloneGiornalista e direttore di Alqamah.it

19 marzo 2021

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Sono 1031 le vittime innocenti uccise dalle mafie. La maggior parte aspetta ancora il giusto riconoscimento della propria storia e il pronunciamento di un'aula di tribunale. “È difficile stabilire una cifra esatta – dice Enza Rando, avvocato e vice presidente nazionale di Libera –, ma sappiamo che la condizione accomuna circa l'80 per cento di loro. Molti familiari non hanno avuto nemmeno un processo per l'uccisione dei loro cari, altri aspettano una prima sentenza, altri ancora sono riusciti a ottenere una verità solo parziale".

La ricerca della verità è una strada lunga e difficile, come dimostra la vicenda processuale che riguarda Nino Agostino, poliziotto del commissariato di Palermo San Lorenzo, e la moglie Ida Castelluccio, uccisi il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini (Palermo). Solo oggi, dopo 32 anni, c'è stata una prima sentenza che condanna all'ergastolo l'esecutore del delitto, Antonino Madonia, e rinvia a giudizio altre due persone: Gaetano Scotto, come complice, e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento.

Quarant'anni fa veniva assassinato dalla 'ndrangheta Giuseppe Valarioti, consigliere comunale del Pci a Rosarno. Gli stessi personaggi ambigui di allora sono finiti oggi nelle più importanti indagini in corso sulla mafia calabrese

Tra depistaggi e archiviazioni

Capita che le indagini vengano archiviate troppo in fretta. O che si scopra che a commettere l'omicidio siano state persone condannate in primo grado, ma poi assolte in appello e in Cassazione con sentenza definitiva, e perciò non più processabili. Come accaduto per i responsabili della strage mafiosa di Pizzolungo del 2 aprile 1985. Uno di loro si chiama Gino Calabrò e faceva il carrozziere a Castellammare del Golfo: nella sua officina è stata riempita di tritolo l'auto usata per fare un attentato al magistrato Carlo Palermo, quando era a Trapani da meno di 50 giorni. Palermo si salvò perchè ad assorbire l'esplosione si trovò un'altra macchina: a bordo c'erano la trentenne Barbara Rizzo e i suoi due figli di 6 anni, Salvatore e Giuseppe Asta. Calabrò finì poi condannato all'ergastolo per le stragi del 1993, ma il 41 bis gli venne revocato grazie al cosiddetto Protocollo farfalla: un accordo segreto stipulato tra i Servizi e il Dipartimento di amministrazione penitenziaria per gestire le informazioni provenienti dai penitenziari di massima sicurezza. 

Caselli: "Le vittime di mafia ci ricordano che lo Stato siamo noi"

Altri elementi ricorrenti sono i depistaggi e le investigazioni malfatte. Basti pensare che solo a metà degli anni 2000 ci si è accorti che nessuno aveva mai eseguito la perizia balistica sui bossoli trovati nel punto dove il 26 settembre del 1988 fu ucciso a Trapani il sociologo e giornalista Mauro Rostagno. Le prime indagini dirette a scoprire chi aveva ucciso il pm trapanese Gian Giacomo Ciaccio Montalto vennero avviate per capire se c'entravano qualcosa le presunte relazioni extraconiugali del magistrato, quando entrando nella sua stanza era possibile trovare i faldoni con dentro le fotocopie di assegni e movimenti bancari. Montalto fu ucciso perchè si era messo sulla pista dei soldi guadagnati dalla mafia per la produzione di eroina: denaro che finiva nelle tasche di banchieri e piccoli imprenditori che di colpo diventano titolari di grandi imprese sotto l'occhio attento dei mafiosi che li usavano come prestanome. 

Il diritto alla verità 

Domenica è il 21 marzo, la giornata dedicata ai familiari delle vittime innocenti delle mafie. “Quest'anno – dice Daniela Marcone vice presidente di Libera e referente nazionale dei familiari – avverto molto forte il senso di questo 21 marzo così complesso come legato a doppio filo con il percorso di tanti familiari in cammino per avere risposte. La verità certificata in Tribunale mette realmente in luce la storia di una vittima e ne impedisce l'oblio. Permette, assieme alla ricostruzione contestuale della stessa storia, di restituire alla vittima la dignità di persona. Per non parlare del processo di ulteriore vittimizzazione che, in assenza di verità, rischia di subire la famiglia della vittima di mafia. Da tempo abbiamo chiesto che le misure a sostegno delle famiglie delle vittime innocenti delle mafie siano chiamate diritti e non benefici. Parallelamente è stato fondamentale proporre con forza che nel nostro diritto interno sia finalmente scritto un punto non chiaramente riconosciuto, che viene dato per scontato e sempre meno garantito: il diritto alla ricostruzione della verità. Un diritto fondamentale, insopprimibile, che appartiene alla vittima, alla sua famiglia, ma anche a tutti noi”.

I familiari delle vittime: "Diritti, non benefici"

Il caso Agostino

Una delle figure di riferimento per i familiari è quella di Vincenzo Agostino, papà di Nino, suocero di Ida e da poco vedovo di sua moglie Nunzia. Vincenzo si è fatto crescere capelli e barba e ha detto che non li taglierà fino a quando non saprà la verità sulla morte dei suoi cari. Nino Agostino dava la caccia ai latitanti, i mafiosi lo snidarono grazie a qualche soffiata istituzionale, e mandarono i killer a ucciderlo. Ammazzarono anche la moglie, sposata da poco e in dolce attesa. Vincenzo è sempre stato in prima fila nella lotta collettiva per la ricerca della verità e il caso vuole che oggi, a un passo dal 21 marzo 2021, è stato in un'aula di tribunale ad ascoltare la sentenza, la prima, che viene pronunciata dai giudici per il delitto di Nino e Ida, ammazzati a Palermo il 5 agosto 1989. Questo solo dopo che la Procura generale di Palermo ha impedito che l'indagine sul delitto Agostino finisse archiviata, come stava per accadere. La procura di Palermo ha condannato all'ergastolo Antonino Madonia, esecutore del delitto, e rinviato a giudizio altre due persone: Gaetano Scotto, come complice, e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento. “Voglio aspettare la fine del processo nei confronti di Scotto, l'uomo chiave dei rapporti fra la mafia e pezzi deviati delle istituzioni. La verità sulla morte di Nino e Ida è ancora chiusa in qualche palazzo delle istituzioni”, ha detto Agostino dopo la sentenza. 

Al processo non c'è stato il custode dei segreti di questo omicidio, Giovanni Aiello, detto “faccia da mostro” per via del viso sfigurato da un colpo di fucile: un ex poliziotto accusato di essere un killer a servizio dei clan. Vincenzo Agostino lo ha riconosciuto in un confronto che ha rotto per sempre il silenzio sul delitto di Nino e Ida. Aiello era andato a cercare Nino a casa del padre, ma non lo aveva trovato. Lo hanno trovato qualche giorno dopo i killer. Aiello sembrava un uomo in ottima forma, ma improvvisamente un infarto lo ha ucciso. Un'altra caratteristica che unisce questi delitti è che dai misteri si finisce con il non riuscire più a uscire. 

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