Il Nuovo teatro Sanità a Napoli (Facebook)
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Per Tahir il teatro è rifugio, per lo Stato non vale niente

Alcuni teatri di prossimità sono punti di luce in zone in cui lo Stato sembra passato senza essersi mai fermato. Producono cultura e tengono insieme la comunità, ma tutti i ristori sono stati destinati alle sale sopra i cento posti

Mario Gelardi

Mario GelardiAutore e regista teatrale, direttore artistico del nuovo teatro Sanità di Napoli

3 maggio 2021

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Chi non frequenta le sale teatrali ne ha due idee. La prima è quella delle poltrone di velluto, del sipario rosso, degli stucchi dorati con le teste imbiancate che tossiscono; in scena qualcuno in costume che parla una lingua antica. La seconda è quella della sala nera, le sedie nere, la scena nera, gli attori vestiti di nero che parlano di qualcosa che non si capisce. Sono due idee molto diffuse, ma lontanissime dalla realtà dei fatti.

Se il teatro è fatto da organismi finanziati dal ministero della Cultura, c’è una grande fetta di spazi e realtà che invece fanno della militanza sociale, culturale e artistica la propria ragione d’essere. In molte zone del nostro Paese le piccole sale teatrali sono un vero presidio, testimonianza che c’è una società attiva interessata a quanto accade attorno. Alcuni teatri di prossimità, di comunità, così mi piace chiamarli, sono punti di luce in zone in cui lo Stato sembra passato senza essersi mai fermato.

Come lo spiego al legislatore cos'è un teatro nel 2021 se conosce solo le sale di velluto rosso con più di cento posti?

Il lavoro del teatro è molte cose oltre allo spettacolo: è attività coi bambini e coi ragazzi, nelle scuole e nelle sale; è essere riconosciuti e riconoscibili nel luogo di appartenenza; è educare e coltivare rapporti con gli anziani, i deboli, i dimenticati.

Armando Punzo ha fondato la Compagnia della Fortezza per portare il teatro in carcere

Siamo cosa fragile ed è per questo che alla fine di questa pandemia usciremo incrinati, coi segni indelebili di quello che è stato. Molti saranno costretti a chiudere o a tagliare attività e lavoro. “Lavoro” che nel nostro caso si oppone a “svago”, perché per troppo tempo è passata l’idea che chi opera nello spettacolo lo faccia per diletto e quindi non vada sostenuto economicamente.

Gli spazi piccoli, quelli sotto i cento posti, sono stati dimenticati dalle istituzioni in questa pandemia. Tutti i ristori, rimborsi e riconoscimenti di mancati incassi sono stati destinati alle sale sopra i cento posti. Come lo spiego al legislatore cos’è un teatro nel 2021, se conosce solo quelle sale di velluto rosso? Come spiego che l’elemosina di pochi euro non è dignitosa, non è applicabile alla vita quotidiana?

Ecco cosa abbiamo imparato da questa pandemia: noi non contiamo. Non contano le nostre famiglie, non conta il nostro lavoro, non contano i progetti educativi per i bambini dei nostri quartieri, non contano quelle luci accese fino a notte fonda alla fine del Rione Sanità. Siamo sacrificabili. Fino a quando avremo volontà e forza di spiegare cosa significa un teatro gestito interamente da ragazzi, nel quartiere col tasso di abbandono scolastico più alto d’Europa? Non mi resta che spiegare a Tahir, il bambino dell’Azerbaigian sempre vestito con il costume di Spiderman regalato dai nostri ragazzi, che il teatro in cui si rifugia, perché il "basso" in cui abita è troppo piccolo, è solo un luogo di svago. Ci provo.

Da lavialibera n°8 2021

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