Nuovi lavori, nuovi schiavisti: noi

Ad Abderrahim hanno spezzato una vertebra del collo per aver chiesto gli arretrati: una storia di ordinario sfruttamento, di cui siamo complici

Alice Bardelli

Alice BardelliLibreria Odradek Roma

19 luglio 2021

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"L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro in subappalto". In questa frase è racchiuso il saggio-inchiesta della giornalista Valentina Furlanetto, Noi schiavisti. Come siamo diventati complici dello sfruttamento di massa (Editori Laterza, euro 15,20). È un libro che parla e racconta lo sfruttamento dei lavoratori, di come negli ultimi decenni abbia assunto nuove forme – non esiste più solo il lavoro in nero, ma anche la sua forma legale: quella del lavoro nelle cooperative in appalto –, di come in Italia questo processo di trasformazione si sia attuato seguendo modelli autoctoni e stranieri. Furlanetto, però, ne parla dando voce a chi lo sfruttamento lo vive tutti i giorni.

Ha raccontato le storie di tanti lavoratori diversi: l’operatore socio-sanitario, il bracciante, la badante, il rider, il fattorino dell’industria della carne, il corriere. Hanno tutti nomi e volti differenti, ma sono accomunati dalla stessa sorte. Sono immigrati, alcuni nati in Congo, Bangladesh, India e in altre parti del mondo e senza cittadinanza italiana, altri nati Italia e sempre senza cittadinanza. Hanno bisogno di lavorare non per essere liberi, ma per poter sopravvivere. E non possono permettersi di scegliere o di protestare per richiedere condizioni di lavoro migliori, che per altri sono normali. Se ci provano, la storia difficilmente avrà un lieto fine. Come Abderrahim Belgaid che da quindici anni è paralizzato per aver reclamato i suoi tre mesi arretrati di stipendio. Il suo datore di lavoro lo ha picchiato, spezzandogli una vertebra del collo. 

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Dunque, lo sfruttamento di massa è cambiato, si è radicato nel nostro sistema economico, diventandone una parte fondamentale: ha cambiato volto, colore, forma e si è progressivamente nascosto. E, così, è nato un altro tipo di lavoratore con tanti doveri e pochi diritti: quello che è assunto da cooperative che lavorano in appalto per altre aziende. Ha un contratto ma viene pagato di meno, non ha gli stessi diritti di chi, invece, viene assunto direttamente dall’azienda e quello che per molti sembra scontato – ferie, permessi, malattie – per loro, spesso, è un miraggio. 

Nel descrivere questa categoria di sfruttati e la macchina che li controlla, Furlanetto si mette in gioco: non parla di sfruttati e sfruttatori come di persone senza volto o senza identità. Gli sfruttati raccontano le proprie storie, ma lo fanno anche gli sfruttatori e lo fa lei, la scrittrice, che come tutti è complice silenzioso di questo sfruttamento di massa, un complice che non può fermare la macchina perché, in fondo, conviene. È un libro crudo, diretto, ma pieno di sentimento. Ed è per questo che il messaggio arriva forte e veloce e sembra quasi bucare la pagina. Così il lettore prende progressivamente coscienza di qualcosa che è sotto ai suoi occhi sempre, ma che forse sarebbe meglio non vedere.

Da lavialibera n°9 2021 - Picchio, dunque sono

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