22 settembre 2021
Per il secondo anno di seguito è la Colombia ad avere il triste primato mondiale col più alto numero di difensore e difensori della terra e dell’ambiente assassinati. Lo segnala l’ultimo rapporto pubblicato dall’organizzazione non governativa Global Witness che da anni, attraverso un attento monitoraggio, segue la situazione dei diritti umani e dell’ambiente nel mondo. La notizia sulla Colombia, da una parte, genera certamente rabbia per la moltitudine di attiviste e attivisti in lotta affinché sia implementata una pace effettiva, basata sulla verità e la giustizia sociale, dopo decenni di conflitto armato. D’altra parte non stupisce tenendo conto il panorama di violenze che continua a segnare il paese, anche dopo gli accordi di pace risalenti al 2016, in particolare nelle aree rurali dove la terra è da sempre contesa tra espropriazioni, attività di agrobusiness e sfruttamento delle risorse naturali. Il rapporto evidenzia come il 2020, già provato dalla crisi umanitaria causata dalla pandemia, sia stato l’anno peggiore in assoluto: 227 attacchi mortali (più di quattro a settimana) contro chi difende la biodiversità, il proprio territorio, la propria casa. Più della metà di questi omicidi sono stati perpetrati in tre soli stati: Colombia (65 casi), Messico (30 casi) e Filippine (29 casi).
Il maggior numero di vittime registrate viveva in America Latina. In Messico, in particolare, si è riscontrato un aumento del 67 per cento dei casi rispetto al 2019 e le popolazioni indigene e afrodiscendenti risultano essere quelle più esposte, nel 30 per cento dei casi (aspetto paradossale considerando che i popoli indigeni rispecchiano il 5 per cento della popolazione mondiale). Di fatto la diffusione del Covid ha esasperato situazioni già diffuse di alta vulnerabilità. Reclusi, per l’isolamento forzato, nelle loro case, le difensore ed i difensori sono diventate dei facili bersagli dei gruppi e degli attori armati e le misure prese a riguardo dai rispettivi governi sono state inesistenti o insufficienti. Gliambiti di impegno più legati a questi assassini sono le lotte contro il disboscamento (in Brasile, Nicaragua e Perù soprattutto), a seguire quelle per il diritto all’acqua e contro la costruzione di dighe e l'estrattivismo minerario. Anche l’Africa, in particolar modo la Repubblica democratica del Congo, il Sudafrica e l’Uganda, è segnata da queste violenze, 18 omicidi contro i 9 del 2019.
Anche a guardare il numero di omicidi sul totale della popolazione si nota la predonomianza di stati latinamericani: primeggia il Nicaragua, dove nel 2020 sono avvenuti 12 omicidi (in crescita rispetto ai cinque del 2019), seguito da Honduras, Colombia e Guatemala. La violenza contro le donne attiviste resta un fenomeno trasversale strettamente collegato alla difesa della terra, strategia predominante per reprimere qualsiasi forma di protesta e creare un clima di paura e omertà. Nello stesso rapporto si sottolinea che i dati emersi sono certamente delle sottostime rispetto alla situazione reale attuale, caratterizzata da innumerevoli episodi di violenza non emersi ed insabbiati.
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"Il 2020 doveva essere l'anno in cui il mondo si sarebbe fermato, ma i nostri dati mostrano che questo non si è tradotto in risultati più sicuri per coloro che si battono per il pianeta"Chris Madden - Co-autore del rapporto
L’aspetto ancora più sconcertante è il clima di totale impunità: risulta che non sia stata neanche avviata un’indagine giudiziaria nel 95 per cento dei casi. Le raccomandazioni e le denunce espresse dalla comunità internazionali sono cadute nel vuoto e non hanno in alcun modo smosso i governi coinvolti direttamente o indirettamente in questi crimini. Come nelle Filippine dove manca qualsiasi forma di tutela nei confronti delle attiviste e degli attivisti e la situazione dei diritti umani è in continuo deterioramento. I crimini riportati si inseriscono in uno scenario molto più ampio e complesso. In tale contesto, l’assassinio è il fenomeno più eclatante a fronte di di innumerevoli soprusi compiuti in maniera sistematica contro chiunque si dedichi alla difesa dei propri territori, dell’acqua e delle foreste, opponendosi ad un mega progetto o ad altre attività economiche che violano territori e persone. Intimidazioni, minacce, violenze sessuali, atti di persecuzione, criminalizzazione ed emarginazione sono tra gli atti più frequenti.
Nel rapporto, infine, vengono identificati i responsabili di questi crimini, in primo luogo le imprese che basano il loro modello economico su quello estrattivo, attuando in maniera irresponsabile e feroce, così anche i governi che non rispettano il loro principale mandato, quello di difendere i diritti umani. Non proteggono le difensore ed i difensori e diventano complici delle nefandezze compiute contro di loro. Inoltre non prendono misure radicali contro la crisi climatica, scelta che porterà inevitabilmente al collasso di tutto l’ecosistema globale. Le organizzazioni internazionali, come l’Onu, i singoli stati, la Commissione europea sono tutti organismi chiamati in causa per dare il loro contributo effettivo in tema di diritti umani e di difesa dell’ambiente.
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Non è da sottovalutare anche come la crisi climatica abbia inciso sulla situazione generalizzata di rischio. Senza tagli radicali sulle emissioni di combustibili fossili, le comunità potrebbero affrontare cambiamenti irreversibili agli ecosistemi e alle risorse naturali di cui hanno bisogno per sopravvivere. "Il 2020 doveva essere l'anno in cui il mondo si sarebbe fermato, ma i nostri dati mostrano che questo non si è tradotto in risultati più sicuri per coloro che si battono per il pianeta – ha commentato Chris Madden, uno degli autori del rapporto –. È chiaro che lo sfruttamento irresponsabile e l'avidità che sta guidando la crisi climatica stanno anche avendo un impatto sempre più violento sulle persone". I difensori rappresentano, riprendendo il titolo del rapporto di Global Witness, l'“ultima linea di difesa” contro il collasso della crisi climatica.
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