Una manifestante al Global Day of Action for Climate Justice. (Foto: Ansa/Robert Perry)
Una manifestante al Global Day of Action for Climate Justice. (Foto: Ansa/Robert Perry)

Cop26, i leader indigeni guidano la protesta

Mentre i politici cercano di accordarsi, gli attivisti manifestano per le strade di Glasgow chiedendo risposte alla crisi climatica

Redazione <br> lavialibera

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8 novembre 2021

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Tanti, diversi, ma uniti dallo stesso obiettivo: protestare contro la crisi climatica e l’inazione dei governi. Secondo gli organizzatori, 100mila persone hanno sfilato sabato a Glasgow, dove si sta tenendo la Cop26, la Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni unite, e in tante altre 200 città di tutto il mondo. I manifestanti puntano il dito contro “i grandi del pianeta”, che continuano a promettere, senza agire per mantenere l’aumento delle temperature medie globali entro la fine del secolo al di sotto di 1,5 gradi e con un limite massimo di 2 gradi rispetto ai livelli preindustrali. A guidare il corteo, alcuni leader indigeni e africani.

Smarcarsi dalla visione occidentale

"L'Africa è responsabile del 3% delle emissioni globali, ma il continente sta soffrendo impatti devastanti"Vanessa Nakate - attivista ugandese per il clima

Lo scopo del Global day of action for climate justice è allontanarsi dalla visione “occidentale”, che vede come simbolo Greta Thunberg, e puntare i riflettori sulle parti del mondo che più di altre soffrono le conseguenze della crisi, anche se contribuiscono solo in minima parte all’innalzamento delle temperature. Il concetto è stato ribadito da Vanessa Nakate, attivista ugandese che, come già accaduto alla Youth4Climate a Milano, ha ricordato: “Storicamente, l’Africa è responsabile del 3 per cento delle emissioni globali, ma il continente sta soffrendo impatti devastanti”.

Colombia e Messico, gli stati più pericolosi per i difensori dell'ambiente

Intanto, il divario tra Paesi si allarga. Diversi gli interventi dei rappresentanti degli Stati più colpiti. Ibrahim M. Solih,  presidente delle Maldive, ha denunciato l’inondazione di alcune isole. Gli attivisti indigeni della foresta amazzonica hanno tuonato che le minoranze devono essere messe al centro delle decisioni, visto che sono in prima linea contro la crisi climatica e sottolineato come siano in costante pericolo. I numeri sono spaventosi: secondo Global witness, organizzazione non governativa che si occupa di monitorare la situazione dei diritti umani e dell’ambiente nel mondo, nel 2020 ci sono stati 227 omicidi di “difensori dell’ambiente”. Il triste primato appartiene all’America Latina.

Sempre più vittime tra chi lotta per difendere l'ambiente

Per un movimento globale

Alla marcia hanno partecipato non solo ambientalisti, ma anche indipendentisti scozzesi e lavoratori in protesta. La contrapposizione con chi è all’interno dei palazzi è netta: da una parte chi cerca soluzioni energetiche e digitali per proseguire con il modello di sviluppo capitalistico e chi in questo modello individua invece le cause della crisi. Chi è sceso in piazza chiede un cambio di paradigma: che alla filantropia dei magnati (tra cui le proposte di Jeff Bezos e Bill Gates) si associno interventi mirati, tra cui investimenti e non prestiti alle zone più povere e in difficoltà. Ciò a cui si aspira è rinverdire un movimento globale che, in nome della difesa del pianeta, possa appianare le differenze.

Una questione “di vita o di morte” come sottolineato da Daniela Balaguera, attivista indigena della comunità colombiana degli Arhuaco: “Siamo minacciati dalla seconda estinzione delle nostre pratiche culturali e questo è estremamente preoccupante, perché sarebbe un secondo massacro del nostro popolo”.

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