13 gennaio 2022
“Lo sai è un attimo, è un attimo perché girano le voci e girano perché qui è ovvio che ci conosciamo l’uno con l’altro. Non voglio farti dei nomi. Posso dirti che so che hanno bruciato le macchine e là possono dirti chi è stato, loro sanno chi ha bruciato le macchine. Però non te l’ho detto io, io non mi espongo, te lo dico col cuore, perché quello ti taglia la testa”. A parlare è una commerciante che lavora in via Saffi, una delle arterie principali di Bologna che dal centro portano verso la periferia ovest del capoluogo emiliano. Una lunga strada che, dopo l’ospedale Maggiore, diventa la via Emilia: a comporla sono grandi portici grigi che ospitano appartamenti ma anche diverse attività commerciali, soprattutto bar. A prima vista è una via tranquilla ma, come in ogni altra strada, anche qua le voci girano e riguardano soprattutto una persona: Ciro Cuomo, che vive in una villetta con piscina che dà proprio su via Saffi. Un personaggio a cui sono riconducibili diversi bar e attività e di cui, nella strada, si fa fatica a fare il nome.
La tranquillità della via, però, non è costante. Nell’estate del 2016 il dehors del Bar Lunik, piccolo locale a poche centinaia di metri dall’inizio di via Saffi, è stato incendiato più volte, sempre di notte. Due anni dopo, nel 2018, ad andare a fuoco sono state due macchine, a due settimane di distanza, parcheggiate nello stesso luogo: un cortile interno poco distante da uno dei ristoranti riconducibili a Ciro Cuomo. La matrice, per gli inquirenti, è dolosa. A distanza di anni dagli incendi però, molti degli abitanti e dei commercianti della via fanno ancora fatica a parlare chiaramente dei fatti: “Le macchine sono state incendiate perché i condomini non avevano dato il permesso di mettere la canna fumaria del locale nel loro cortile”, racconta chi si ricorda bene degli incendi. Ma nessuno fa il nome di Ciro Cuomo, a cui apparteneva l’attività.
Quando ci fu l'Operazione Aemilia, molti cittadini si stupirono. Carlo Lucarelli, invece, no
Classe 1959, Ciro Cuomo viene chiamato da tutti “Gigi”. Nato a Bologna, ha precedenti, tra i tanti reati che gli sono stati contestati nel corso degli anni, per furto, estorsione, ricettazione, usura, falso, illecita concorrenza con minaccia o violenza. Suo zio, Gerardo Cuomo è un personaggio noto nell’ambiente criminale: soprannominato il “re delle bionde”, è stato arrestato più volte con l’accusa di contrabbando internazionale di sigarette e, nel bolognese, gli sono stati confiscati diversi beni. Il soprannome del nipote invece è un altro: “ras di via Saffi”, come si autodefinisce. Il controllo della via, in cui vive da decenni, ha riscontri giudiziari già da anni: la prima operazione che lo coinvolge è del 2005, quando gli vengono sequestrati, ai sensi della normativa antimafia, auto, attività commerciali e beni immobili, tra cui anche uno stabile di via Saffi. Nel 2015 viene invece arrestato per introduzione e spendita di monete falsificate e per furto aggravato, continuato e in concorso. Secondo l’accusa, Cuomo, gestore di un bar e di un ristorante in via Saffi, faceva da intermediario nella compravendita di banconote false.
L’ultimo arresto è recente: risale al 17 giugno 2021. In questo caso le accuse a suo carico sono di bancarotta fraudolenta, per aver provocato il dissesto finanziario delle società intestate a prestanome compiacenti ma di fatto amministrate da lui, omettendo pagamenti dei debiti erariali nei confronti di enti pubblici, tra cui anche il Comune di Bologna, e delle cartelle di pagamento a partire dal 2007: il danno è di circa un milione di euro. E ancora, atti persecutori nei confronti dell’acquirente di una delle attività commerciali a lui riferibili: lo scopo era quello di rientrare in possesso del locale. Insieme, ricettazione di biciclette di pregio provento di attività delittuosa e diversi reati di autoriciclaggio. Con l’operazione sono state inoltre sequestrate le quote sociali delle due società a lui riconducibili insieme ai rami d'azienda delle società: tre bar e un ristorante, tutti in via Saffi. Da allora, Ciro Cuomo è ai domiciliari. Il 17 febbraio andrà a processo.
Ma la storia familiare non è ancora completa. Il 10 novembre 2021 il figlio, Danilo Cuomo, viene arrestato in un’operazione antidroga dei carabinieri che ha coinvolto una delle zone popolari di Bologna: il quadrilatero tra via dello Scalo, via Pier de’ Crescenzi, Malvasia e Casarini, a pochi passi da via Saffi. Secondo gli investigatori, Danilo Cuomo avrebbe avuto un ruolo centrale nella gestione del giro di droga con base al quadrilatero: si sarebbe occupato di tenere i contatti, di organizzare la vendita al dettaglio e di spacciare, anche in uno dei locali riconducibili al padre. C'è poi un altro passaggio: Danilo Cuomo, si legge nelle carte, si occupava di recuperare i crediti legati alla vendita delle sostanze stupefacenti. Un recupero crediti basato su minacce, pestaggi, intimidazioni, estorsioni. Nei verbali agli atti dell'inchiesta c’è il racconto di un uomo che afferma di essere stato vittima di un’estorsione da parte di Cuomo: “Cercava di incutermi maggior timore - si legge nell'ordinanza - riferendo più volte che non sapevo chi fosse, lasciando intendere la sua fama di 'mafioso'”.
“Abbiamo notato una forte resistenza delle persone che abitavano, vivevano e lavoravano nella via a far uscire la situazione allo scoperto nonostante fosse molto conosciuta"Luca Mozzachiodi - Associazione Venti Pietre
La fama di Ciro Cuomo, molto più che del figlio, è nota da anni. Intervistati da Libera Bologna, diversi abitanti della strada hanno raccontato di una situazione per loro evidente almeno dai primi anni Duemila: la maggior parte delle persone erano a conoscenza da tempo di quali fossero i locali di cui era proprietario Cuomo, dei continui cambi di gestione messi in campo e anche dei motivi degli incendi che hanno colpito la via. “Si sa che è così, si sa chi è stato”, sembra essere la linea comune, insieme a una paura di fondo nel dire qualcosa di troppo.
La situazione non è cambiata subito dopo l’operazione che a giugno ha portato il “ras di via Saffi” agli arresti domiciliari: “Vivendo in via Saffi da 12 anni, ho sempre visto un timore a parlare di determinate attività commerciali e anche dopo l’arresto di Cuomo ho visto un grande silenzio intorno a quello che è successo”, afferma un giovane residente della strada. Ma qualcosa, anche se lentamente, si muove, con una nuova consapevolezza che sembra emergere, anche solo nell’iniziare a fare il nome della persona che per decenni ha controllato una parte della strada: “Mi fa paura – afferma un’altra residente – che a Bologna ci siano delle persone così in circolazione, così come mi fa paura vedere persone negare quello che avviene o persone che non hanno voglia di capire e vedere quello che gli sta attorno”. Il tema di fondo resta quello di ricostruire i legami che in via Saffi si sono rotti e hanno generato paura e omertà: “Abbiamo notato una forte resistenza delle persone che abitavano, vivevano e lavoravano nella via a far uscire la situazione allo scoperto nonostante fosse molto conosciuta: quello che abbiamo trovato in via Saffi è un buco e una inefficienza nella capacità di garantire protezione e senso di sicurezza ai cittadini”. A dirlo è Luca Mozzachiodi, membro di Venti Pietre, una delle poche realtà associative presenti nella zona: “Quando abbiamo incontrato alcuni cittadini dopo gli incendi del dehors del bar – continua – la sensazione che tutti riportavano era quella di essere sorvegliati da una forza che potesse sempre intervenire. Se ci si trova di fronte a una risposta del genere è chiaro che in qualche modo c’è un laccio tra le istituzioni e i cittadini che si è rotto. E questo genera anche molta di quella insicurezza e di quella omertà che abbiamo incontrato”.
“I segnali sono tanti, ma se non vengono letti in modo sistemico si fa fatica a capire (...) Se non si legge con un occhio attento e pronto a cogliere segnali di questo tipo e ad unire i puntini, si potrebbe non farci caso, abituarsi”Enza Rando - Vicepresidente Libera
Dall’insieme delle testimonianze emerge una realtà forse inaspettata: in una città come Bologna, famosa per il suo attivismo, la partecipazione dei suoi cittadini e il loro impegno politico, ci sono anche persone che hanno paura di raccontare la realtà quotidiana in cui vivono. “I segnali sono tanti, ma se non vengono letti in modo sistemico si fa fatica a capire – spiega Enza Rando, vicepresidente di Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie – una macchina che brucia, o più macchine in pochi mesi, ma sempre nella stessa zona, un bar o un ristorante che non si capisce bene come faccia a stare aperto. Se non si legge con un occhio attento e pronto a cogliere segnali di questo tipo e ad unire i puntini, si potrebbe non farci caso, abituarsi”. L’abitudine o la mancata lettura sistemica di fatti come quelli citati può portare a due conseguenze entrambe molto pericolose: restare indifferenti e pensare che affrontare la situazione sia solo compito delle forze di polizia. Il rischio però di questi atteggiamenti è lasciare sole le persone che vivono nella zona in cui avvengono gli incendi o altri piccoli fatti intimidatori, come può anche essere soltanto Ciro Cuomo che entra con fare gentile dentro il bar a cui sembra aver ordinato di incendiare il dehors e saluta cordialmente. E infatti la solitudine delle persone di fronte a piccoli o grandi atti intimidatori che non sono stati riconosciuti nel corso degli anni è esattamente quello che si riscontra nella zona di via Saffi. Persone che hanno perso non solo la fiducia nelle istituzioni, ma anche una speranza più profonda e forse ancora più importante: la fiducia che la situazione possa cambiare in meglio. In queste situazioni il rischio che ne consegue è ancora più grave, perché, come spiega sempre Enza Rando, “quando si sviluppa indifferenza generalizzata questa può diventare o essere percepita come consenso”. E, come in un circolo vizioso, l’indifferenza che si tramuta in consenso a condotte che ledono il rispetto delle regole democratiche contribuisce a sua volta a seminare paura, insicurezza e sfiducia.
“Un differente utilizzo porterebbe a un presidio importante per tutti quei cittadini e residenti desiderosi di avere un punto di riferimento nella strada"Antonio Monachetti - Responsabile beni confiscati Libera Bologna
Il futuro della zona di via Saffi rimane incerto. Il senso di sfiducia e di rassegnazione dalla presenza costante e ingombrante dei Cuomo nel corso degli ultimi vent’anni che è proseguita senza particolari cali di intensità, nonostante gli arresti degli anni passati e quello attuale, si percepisce in modo netto e chiaro. Lo sforzo delle associazioni del territorio e di Libera Bologna consisterà nel provare a non lasciare più la zona, continuando a viverla stando vicino a commercianti e residenti. In quest’ottica un passo fondamentale, a cui Libera insieme agli altri attori istituzionali coinvolti, sta lavorando è ilriutilizzo sociale di almeno uno dei bar sequestrati a Ciro Cuomo. “Un differente utilizzo porterebbe a un presidio importante per tutti quei cittadini e residenti desiderosi di avere un punto di riferimento nella strada, tenendo conto che Cuomo rimane una presenza ingombrante in zona con la sua villa con piscina che si affaccia sulla strada, circondata da un muro traforato attraverso il quale chi è fuori può guardare e chi è dentro può osservare”, afferma Antonio Monachetti, responsabile beni confiscati di Libera Bologna: “L’importanza di un riutilizzo da parte di una associazione o cooperativa sociale riconosciuta del territorio di almeno uno dei beni sequestrati – conclude Monachetti – consisterebbe soprattutto nel messaggio simbolico che verrebbe dato: una situazione cristallizzata da tanti anni dalla presenza dei Cuomo che finalmente cambia concretamente e visibilmente, dando una nuova prospettiva di futuro”.
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