Operazione Aemilia, quando mi stupii dello stupore

Molte persone erano rimaste sorprese dagli arresti dei presunti 'ndranghetisti in Emilia Romagna, ma non gli addetti ai lavori, gli esperti, gli imprenditori minacciati. E dire che un maxiprocesso così c'era già stato a Bologna nel 1864

Carlo Lucarelli

Carlo LucarelliScrittore, sceneggiatore e conduttore televisivo

30 gennaio 2020

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STUPORE

sostantivo maschile.

Senso di grande meraviglia, incredulità, disorientamento, provocata da qualcosa di inatteso 

Io me lo ricordo lo stupore degli emiliano romagnoli quando la mattina del 19 gennaio, appena svegli, vengono a sapere che durante la notte c’è stata un’operazione contro la ‘ndrangheta in Emilia-Romagna che ha messo in galera centodiciassette persone. Operazione Aemilia. Contro la ‘ndrangheta. In Emilia-Romagna. Centodiciassette arresti su duecento avvenuti nel resto d’Italia con duecentoquaranta indagati. Centodiciassette. Qui, in Emilia-Romagna, in Aemilia. Per la ‘ndrangheta. Ripeto le parole in questo modo tonto – o meglio intontito – perché me lo ricordo quel senso di meraviglia, incredulità e smarrimento che faceva rimbalzare nella testa di molti i numeri e le immagini letti e viste su stampa e telegiornali.

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Ma dai, tutta questa roba? Qui da noi? E mi ricordo lo stesso grande stupore a mano a mano che si celebrava il processo Aemilia con tutti i suoi annessi e connessi tra rito abbreviato e ordinario e altri procedimenti correlati. Con tutta quella gente dietro alle gabbie, e pure tutta quella carica di teatrale e intimidatoria violenza a cui le rappresentazioni dei processi per mafia ci avevano già abituato, sì, ma da un’altra parte. Michele Greco che benedice i giudici prima della sentenza, va bene, gli sguardi, i gesti e le parole, le allusioni degli avvocati, va bene, roba di là, roba da calabresi, napoletani e siciliani, guarda, anche da pugliesi, al limite da romani se pensiamo alla banda della Magliana. Ma qui? Da noi? Un processo in un’aula bunker appositamente costruita a Reggio Emilia – giustissimo, perché il processo è lì che deve rimanere, a testimoniare che è lì che le cose sono avvenute – con più di un centinaio di condanne e migliaia di anni di galera. Una brutta parte della società civile collusa, non omertosa o sottomessa, proprio collusa, con imprenditori che cercano loro la ‘ndrina, di propria iniziativa, e commercialisti elettrizzati dall’essere complici del “gran sanguinario”, del capo della mafia, come in una puntata de I Soprano. Ma dai, qui da noi? Ma dai, davvero hanno sciolto per mafia il comune di Brescello? Quello di Peppone e don Camillo? Ma come, scusa, non avevamo gli anticorpi, noi di qua?

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Stupore. Non di tutti, certo, non degli addetti ai lavori, non dei bene informati, non di quegli imprenditori che si sono ritrovati camion bruciati nei cantieri, degli amministratori che hanno aperto buste con proiettili dentro, di chi si è ritrovato una pistola puntata alla gola o ha visto gente che gli è entrata in casa a fare una cosa così semplice e allo stesso tempo così terribile come contargli i figli, e chi vuol capire capisca. Però in tanti si sono stupiti. Io ero uno di quelli. Perché mi sono stupito, sì, ma dello stupore. E non solo perché un maxiprocesso ce lo avevamo già avuto, dalle nostre parti. Centodieci imputati nelle gabbie di un’aula bunker, anche se allora non si chiamava così. Accusati di reati che andavano dall’omicidio, all’estorsione e al controllo delle attività illegali, con connessioni e protezioni da parte della politica e della legge, intimidazione pubblica, proventi dei crimini messi da parte per provvedere alle famiglie degli affiliati in carcere: tutta roba da 416 bis, anche se allora ancora non c’era.

Perché era il 1864. Ma la Causa Grande contro l’Associazione di Malfattori di Bologna detta Balla dalle Scarpe di Ferro dimostrava che la criminalità organizzata, pure quella delle origini, era anche cosa nostra, nel senso di una cosa nostra. D’accordo, si tratta di una storia vecchia, poco conosciuta e magari dimenticata, ma la bomba a mano gettata in un bar alla periferia di Modena nell’ambito di una guerra tra ‘ndrine, quella non è così vecchia, è del 1994. Ma anche prima, con i morti del ’92 tra Reggio Emilia e Brescello, o poco dopo, con dodici morti in cinque anni attorno a Reggio, per parlare solo, e anche parzialmente, proprio della zona di Peppone e don Camillo. Successe la stessa cosa anche col maxi-processo a Cosa nostra, lo stupore nel leggere sui giornali o vedere ai tg quello che stava venendo fuori nell’aula bunker di Palermo, e poi anche negli altri processi, quelli che avevano a che fare con altre zone o con altri ambiti, come economia e politica, con l’asticella dello stupore che si posizionava ogni volta più in alto, ottenendo il duplice effetto di farci spalancare sempre di più la bocca per le cose nuove, e lasciarci un po’ più indifferenti, più abituati, a quelle vecchie. Eppure certi meccanismi, certe storie, già avremmo dovuto conoscerle bene fin dai tempi dell’inchiesta di Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti sulle condizioni della Sicilia, era il 1876, dal rapporto del questore di Palermo Ermanno Sangiorgi, era il 1900, o dal libro inchiesta di Napoleone Colajanni sull’omicidio Notarbartolo e lo scandalo della Banca romana. C’era già tutto, dai delitti eccellenti ai rapporti con la politica, il governo, l’imprenditoria e la finanza, tutto quello che ha continuato ad accadere in seguito, anno dopo anno, uguale uguale, e del quale, ogni volta, ci siamo stupiti.

Ma dai. Sembra un film. Ecco, ci saranno sicuramente tante altre occasioni per stupirci ancora, purtroppo. Durante il processo Aemilia, per esempio, e in conseguenza delle indagini che ne sono state alla base, sono venute fuori tante altre cose. Collaboratori di giustizia che hanno cominciato a parlare. Nuove inchieste e nuovi processi. È accaduto anche in Emilia che donne legate alle ‘ndrine abbiano deciso di parlare per salvarsi e salvare i figli da un destino maledetto. C’è un’intera area grigia che ha cominciato a farsi più trasparente, e ne vedremo ancora tante. Così come i processi sui rapporti tra Stato, politica e Cosa Nostra, con le varie trattative, se e quando arriveranno in fondo. O le nuove frontiere delle vecchie mafie e di quelle più recenti, arrivate anche da fuori, impegnate tutte e due in nuovi affari perseguiti in modi nuovi ma sempre quelli.

Ci stupiremo ancora. Però sarebbe bello se ogni tanto riuscissimo a farlo prima. I meccanismi li conosciamo, i fatti li conosciamo, spesso conosciamo bene anche i protagonisti, sarebbe bello, qualche volta, stupirsi delle cose prima ancora che finiscano sui giornali o alla televisione. Prima ancora che vengano rinchiuse nell’aula bunker di un tribunale. Anzi, guarda, prima ancora che accadano. Così da poterla riscrivere, la definizione del vocabolario. 

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Senso di grande meraviglia, incredulità, disorientamento, provocata da qualcosa di atteso

 

Da lavialibera n° 1 gennaio/febbraio 2020

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