Foto di Oleksandr Koval/Unsplah
Foto di Oleksandr Koval/Unsplah

Un Paese bambino di fronte alle stragi di mafia

Le morti di Falcone e Borsellino hanno segnato un'accelerazione nella lotta alla mafia, ma non c'è stato un vero cambio di passo

Elena Ciccarello

Elena CiccarelloDirettrice responsabile lavialibera

17 maggio 2022

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Sono trascorsi trent’anni dal 1992 e dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. Di fronte alla ricorrenza, abbiamo deciso di dedicare all’anniversario un numero speciale della rivista chiamando a raccolta chi ha vissuto o si è confrontato da vicino con quei tragici eventi, come studioso, magistrato, giornalista, politico o attivista. Abbiamo chiesto ad alcuni di loro di aiutarci in un confronto non retorico, sia con l’anno di Tangentopoli e delle stragi sia con ciò che ne è seguito.

Ci hanno restituito un bilancio personale, tra memoria e analisi, che nella schiettezza dei toni e nella differenza delle posizioni si presenta come un buon antidoto contro la celebrazione vuota e superficiale di uno dei passaggi più drammatici della nostra storia recente. Su due aspetti autrici e autori sono profondamente d’accordo. Il primo: le stragi, e il decennio che le ha precedute, hanno impresso un cambio radicale sul piano della repressione del fenomeno criminale mafioso, oggi molto più efficace che in passato.

Leggi il sommario del numero, "Trent'anni dopo"

Il secondo: questo salto di qualità non è stato sufficiente a rendere il nostro Paese consapevole dell’intreccio di poteri legali e illegali che lo abitano, né delle debolezze istituzionali e di mercato che consentono a certe forme di violenza e di abuso di continuare a riprodursi. Prendo a prestito alcune loro parole dicendo che troppo poco è cambiato sul piano politico, sociale e culturale. L’esperienza di Tangentopoli non ha prodotto autocritica nelle classi dirigenti, tutto è stato ridotto a una vicenda giudiziaria e non si è compreso che la storia criminale è parte integrante della nostra storia nazionale.

È ormai documentato che i delitti del 1992 sono stati commessi con la complicità o quanto meno la copertura di alcune figure istituzionali. II depistaggio su via D’Amelio, messo in atto attraverso il falso collaboratore Vincenzo Scarantino, è avvenuto grazie al lavorio di funzionari pubblici di primissimo piano. Trent’anni di fumo negli occhi e narrazioni di comodo. È la riflessione che mi sento di condividere in questo frangente: il mancato accertamento della verità piena sulla stagione del 1992 e i prolungati depistaggi – che avvengono sempre con la partecipazione di figure istituzionali – ci lasciano come bambini cui è negata la realtà per paura di spaventarli.

Nel 1992 siamo diventa meno felici e più cattivi, scrive Carlo Lucarelli

Sono proprio tali lucentissime zone d’ombra, con le loro eredità presenti, a generare quel clima di sconforto e sospetto che non consente una memoria matura della stagione passata, né di compiacersi per i risultati comunque ottenuti sul piano giudiziario e repressivo. Quest’assenza di verità priva di senso qualunque iniziativa commemorativa che non ne tenga conto. Abbiamo bisogno di guardare in faccia l’accaduto per andare avanti e crescere. Per costruire una società adulta prima ancora che per fare antimafia.

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