17 maggio 2022
Nel ’92 ho cominciato ad avere paura. Anzi, ricominciato, e non tanto quell’anno quanto in quelli immediatamente successivi, perché è stata un’onda un po’ più lunga di un semplice evento traumatico. E dico ricominciato perché di alcune cose mi ero quasi dimenticato: quasi, ma abbastanza da sentirmene inconsciamente assuefatto. Parto dall’inizio. Avevo più o meno vent’anni quando il 2 agosto 1980 è saltata per aria la stazione di Bologna. Da un po’ di tempo vivevo in quelli che sono stati impropriamente chiamati gli anni di piombo, che hanno significato tante altre cose, nel bene e nel male, ma che di sicuro in quelli immediatamente successivi a quel brutto inizio di decennio lasciavano sulle strade e sulle prime pagine dei giornali una quantità incredibile di morti ammazzati. Di stragi che andavano sotto l’etichetta terrorismo ce ne erano già state, e pure con l’inquietante aggiunta di Stato, ma è con la strage di Bologna che ho cominciato ad avere paura sul serio.
Ecco le stragi che picchiano. Con una dimostrazione di potenza militare e una ferocia criminale che sgomentano, lasciando senza fiato, come il groppo in gola che soffoca la voce di Antonino Caponnetto ai funerali di Paolo Borsellino
Non so perché, è stata probabilmente l’enormità dell’evento che ne ha evidenziato il meccanismo di intimidazione, portandomelo a livelli altissimi, globali. Potevo e dovevo accorgermene prima, naturalmente, ma abbiamo tutti bisogno di tempo per maturare, e alcuni, come me, ci mettono un po’ di più. Ecco, in quegli anni a cavallo del decennio e poi in tutti quelli successivi, sulle strade e sulle prime pagine dei giornali – ma più spesso in quelle più interne – c’erano anche altri morti. Tanti. Quelli di mafia. Ne leggevo, ci soffrivo, mi ci arrabbiavo, mi spaventavano anche, ma non mi facevano così paura. Il legame, pur evidente, tra mafie, politica, economia e in parte istituzioni, per molti di noi restava confinato a una dimensione ancora circoscrivibile dal punto di vista territoriale (il Sud), politico, (la Dc) e di contesto (criminale).
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Le stragi del ’92, invece, mi hanno fatto subito, di nuovo, e definitivamente, paura. Arrivano in un momento in cui sembrava che tante cose dovessero cambiare, come in un certo senso era stata quella fine degli anni ’70: a livello internazionale e soprattutto nazionale, con la scena istituzionale e politica italiana che muta radicalmente, o almeno sembrava sul punto di farlo. Ed ecco le stragi che picchiano. Con una dimostrazione di potenza militare e una ferocia criminale che sgomentano, lasciando senza fiato, come il groppo in gola che soffoca la voce di Antonino Caponnetto ai funerali di Paolo Borsellino. E assieme alle stragi del ’92, quelle dell’anno successivo, che ancora di più svelano il meccanismo antico della strage come strumento di intimidazione e comunicazione, di trattativa. Con una evoluzione, l’attacco al patrimonio artistico, che porta la strage a un livello, se possibile, più ampio: non solo l’annientamento del nemico, non solo l’omicidio di innocenti, ma la distruzione di bellezza, storia, identità e cultura. E poi quello che succede subito dopo, con le mafie che entrano direttamente, pesantemente e a viso ancora più scoperto nel meccanismo elettorale. Se vincono quelli là, dicevamo, vince la mafia, ed era una cosa che faceva proprio paura. Lo so, era già successo tante volte prima, ma in quel momento, per quelli come me, sembrava davvero così evidente da essere insopportabile.
Mafia e corruzione sono storia nazionale
Sono passati trent’anni da quelle bombe e siamo ancora qui a parlarne. Ne sono passati più di quaranta da quella alla stazione e potremmo essere sulla buona strada per arrivarci davvero, alla verità completa. Quando accadrà (...) sarà una rivoluzione
Personalmente, ho cominciato allora a occuparmi in maniera più approfondita di mafia, a studiare come un matto per recuperare il tempo perduto. Se ci sia riuscito non lo so, ma ho imparato a riconoscere parole, concetti, meccanismi e dettagli che mi fanno scattare con le fauci aperte e i denti sguainati. E assieme a me tante altre persone. Come le stragi del ’69 e degli anni ’70, come quella alla stazione di Bologna e quelle sui treni degli anni ’80, come le stragi di mafia del ’93 anche quelle del ’92 ci hanno insegnato qualcosa, nel bene e nel male. Ci hanno fatto diventare meno felici, ma più cattivi, più furbi. Per fortuna non sono il solo a provare paura quando penso alle stragi del ’92 e a tutte le altre. Dico per fortuna perché a temere qualcosa sono anche i responsabili di quelle stragi, non tanto nel senso degli esecutori quando quello dei mandanti più nascosti, gli utenti finali. Paura di essere scoperti. Altrimenti non si capirebbero certi atteggiamenti rispetto alla ricerca di una verità, che ancora, fino in fondo, manca. Atteggiamenti che non sembrano aver a che fare con diverse interpretazioni, giudiziarie, storiche o politiche che siano, quanto proprio con la ricerca stessa, quasi fosse, di per sé, divisiva. Di parte. Che in un certo senso è vero.
Ricordo una riflessione sui Viaggi della Memoria nel giorno del ricordo delle vittime della Shoah, considerati di parte. È vero, infatti, sono di parte, ma la parte giusta. Però io la capisco, quella paura, la loro. Sono passati trent’anni da quelle bombe e siamo ancora qui a parlarne. Ne sono passati più di quaranta da quella alla stazione e potremmo essere sulla buona strada per arrivarci davvero, alla verità completa, e fino in fondo, in atti passati in giudicato e non solo sui libri di storia e nel buon senso. Quando accadrà, quando avremo compreso tutto, e così tanto da poterne trarre le inevitabili conseguenze, col cervello e con il cuore, sarà una rivoluzione.
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