Aggiornato il giorno 12 gennaio 2021
Che cosa sappiamo di Cosa nostra oggi? Un anno fa usciva il primo dossier de lavialibera Mafia siciliana. Cosa cova. Parla Salvatore Lupo, professore ordinario di Storia contemporanea all’Università di Palermo, nonché uno dei più illustri studiosi di storia della mafia siciliana. "La mafia – dice – ha una storia e questo significa che cambia nel tempo. Chi ha vissuto la fase scioccante tra gli anni Settanta e Novanta, oggi fa fatica a definire la mafia. Un ampio movimento di forze politiche e istituzionali nate in quella fase non riesce a concepire che quella situazione non ci sia più".
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Professore Lupo, che cosa sappiamo della mafia siciliana oggi?
Sono uno storico e, per definizione, non mi occupo né del presente né del futuro, ma del passato. Volendo rispondere, però, direi innanzitutto che il fatto che la mafia esista in Sicilia da centosessant’anni non significa che sia sempre lo stesso soggetto. In questa storia, piuttosto, si registra uno spaventoso crescendo. La mafia è sempre stata un fenomeno negativo, l’idea di una mafia buona, del passato, è del tutto infondata. È vero che negli anni Settanta, Ottanta e Novanta del Novecento la mafia ha cambiato pelle: ha assunto una soggettività politica senza precedenti e ha messo in atto progetti eversivi. Proprio l’esaurimento di quella fase storica ha determinato la situazione in cui siamo oggi, di confusione e di incertezza, perché la mafia siciliana dei nostri giorni non è più quella dell’inizio degli anni Novanta.
La categorie che usavamo ieri non sono più adeguate?
"Oggi parliamo di realtà meno vivide e abbaglianti di quelle che abbiamo conosciuto nella fase scioccante tra gli anni Settanta e Novanta. Ma un ampio movimento di forze politiche e istituzionali non riesce a concepirlo"Salvatore Lupo
Abbiamo registrato una brusca caduta del potere della mafia siciliana che ha reso più difficile vederla. Sicuramente c’è, o ci sono, fenomeni definibili come mafia: sarebbe stupido e irresponsabile non rendersene conto. Ma parliamo di realtà meno vivide e abbaglianti di quelle che abbiamo conosciuto. Questa è la ragione per cui noi, che abbiamo vissuto quella fase scioccante, oggi facciamo fatica a definire la mafia. Personalmente sono disponibile a prendere atto di questo mutamento. Invece un ampio movimento di forze politiche e istituzionali, nate in quella situazione, non riesce a concepire che quella situazione non ci sia più. Ammoniscono tutti a non abbassare la guardia, ma il problema non è non abbassare la guardia, quanto piuttosto prendere atto che le cose sono cambiate.
La mafia siciliana non è più un’emergenza?
La mafia siciliana non è più l’emergenza che abbiamo conosciuto in passato. Poi, se intendiamo dire che c’è un’emergenza democratica nel nostro Paese, che criminalità, malaffare e malapolitica continuano a intrecciarsi, allora diremmo certamente una cosa giusta. Ma non è la stessa emergenza.
La fase stragista dei primi anni Novanta si è conclusa con una forte opera di repressione, eppure inizialmente ha registrato anche una fase negoziale, la cosiddetta “trattativa”. Pensa che quella vicenda abbia riverberi sull’oggi?
Per nulla. Questo è uno dei modi in cui si esprime il continuismo esasperato che ci porta su una strada sbagliata: si continua a pensare che l’uomo non cambi mai e che la mafia sia invincibile, che tutto quello che è successo non abbia intaccato il suo potere e che le cose continuino ad andare sempre allo stesso modo. Ma non vedere i cambiamenti è una forma di pigrizia mentale.
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I suoi studi dimostrano che il rapporto tra mafia e apparato statale alterna fasi di conflitto e fasi di collaborazione, producendo nel corso del tempo diverse trattative. Quale fase stiamo vivendo?
"Servirebbe minore spirito di eccezionalità e più spirito di normalità per non eccedere, non avere una mentalità forcaiola, nemmeno nei confronti dei mafiosi"
La fase attuale è di conflitto perché a partire dagli anni Settanta si è stratificata una legislazione severa: sono nate agenzie investigative e giudiziarie specializzate, sono stati previsti aggravi di pena e di detenzione. Parlare di un disarmo è sbagliato e fuorviante, anzi oggi si potrebbe pensare di contenere questi fenomeni con minore spirito di eccezionalità e più spirito di normalità. Il che richiederebbe anche una revisione di tutte le normative speciali. Tutti i bis sono creati quando ce n’è stretta necessità, però poi non vengono cancellati quando la necessità passa. Trattare questi aspetti è difficile, perché si ha la sensazione che i problemi si risolvano solo gridando "a morte, a morte". Non è così. Si dovrebbe tenere ferma l’efficacia raggiunta in quegli anni perché non vogliamo che la repubblica sia disarmata di fronte ai suoi nemici, ma allo stesso tempo è necessario rientrare nei principi generali del diritto. Non eccedere, non avere una mentalità forcaiola, nemmeno nei confronti dei mafiosi o di coloro che sono accusati di reati affini.
Cosa nostra è ancora la mafia dei due mondi?
Il tema della globalizzazione delle mafie è attualissimo e si può dire che il caso della mafia siculo- americana è antesignano di una tendenza all’internazionalizzazione che oggi appartiene alle altre mafie. Il paradosso è che proprio mentre la mafia siculo-americana, che è la prima mafia, quella originaria, risulta pesantemente colpita nella sua autorità, il suo modello sembra invece trionfare. È però anche vero – gli investigatori hanno colto dei segnali – che quando i mafiosi cercano di rialzare la testa lo fanno ancora muovendosi su quest’asse transoceanico.
Torniamo alla Sicilia. È possibile che l’efficacia dell’azione repressiva abbia lasciato spazio ad altre forme di potere illegale, a organizzazioni ibride difficilmente riconoscibili o classificabili?
È possibile. Ma bisogna ricordare che l’aspetto finanziario e la connessione con il "mondo di sopra" è caratteristica di tutte le mafie, in tutti i periodi. Può darsi che oggi la dimensione finanziaria sia più importante, però non dimentichiamo che nella storia della mafia siciliana c’è Michele Sindona (banchiere e membro della loggia P2, mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli, ndr). Mi pare difficile affermare che il potere finanziario di Sindona, tra i più importanti sul piano internazionale, fosse allora secondario, e dire che oggi è tutto più avanti. Spesso c’è un’enfasi mediatica che tende a dire che le cose oggi sono più pericolose di ieri.
È sbagliato immaginare una mafia moderna che ha abbandonato la tradizione?
"Ogni grande affare illecito ha bisogno anche di una sponda finanziaria, ma identificare la mafia con la corruzione affaristica rischia di portarci lontano. La mafia la comprende, ma non le si sovrappone"
Sì, lo penso, in questo caso non sarebbe mafia. I termini si possono allargare o restringere a seconda dei ragionamenti che si fanno, e sono lecite le interpretazioni estensive del termine mafia. Però intendere per mafia il malaffare alto-borghese e immaginare qualche luogo smaterializzato di finanza planetaria sarebbe sbagliato. Le mafie propriamente dette sono fatte di polvere e sangue. Poi è vero che ogni grande affare illecito ha bisogno anche di una sponda finanziaria, ma i luoghi di riproduzione del fenomeno sono sulla terra e su una terra sporca. Identificare la mafia con la corruzione affaristica rischia di portarci lontano. La mafia la comprende, ma non le si sovrappone. Se ci sono studi che utilizzano il termine mafia per riferirsi a crimini dei colletti bianchi o finanziari, possiamo parlarne. Ma credo che la tradizione storica sia diversa.
Negli ultimi anni la magistratura ha applicato il reato di associazione mafiosa a fenomeni diversi dalle mafie storiche non sempre con esiti positivi, come è avvenuto per Mafia capitale a Roma. Lei non sembra allarmato.
La questione si colloca in una dialettica interna alla magistratura: c’è una magistratura che fa cadere l’accusa di mafia e una che la eleva. Il magistrato applica la legge. Esiste un reato di associazione mafiosa, il magistrato di accusa lo applica e tende a farlo anche perché è una formidabile aggravante dei reati di criminalità organizzata. Così come mi pare giusto che la magistratura giudicante ragioni sull’adeguatezza dell’accusa. Il pubblico, se non fosse intossicato dalla ferocia, dovrebbe capire che la mafiosità serve a delineare un contesto particolarmente grave e pericoloso e che le esigenze garantiste sono giuste, necessarie in un Paese civile. Del resto, è normale che esista un dibattito e diverse posizioni.
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La mafia siciliana fa ancora paura?
Il problema è che se io dicessi che la mafia a Palermo oggi non fa tanta paura non direi una cosa nuova. Per tanto tempo la mafia a Palermo non ha fatto paura, perché le classi dirigenti e l’opinione pubblica nella gran parte dei centosessant’anni anni di storia della mafia ci hanno convissuto tranquillamente. Anche rispetto a questo tema il periodo corleonese indica un’eccezione o quanto meno il culmine storico di un processo. In un certo senso la mafia nuova di oggi potrebbe essere definita come la mafia più tradizionale, più antica, che assolve alla funzione elementare di mantenere l’ordine, di fare girare gli affari.
Da dove ripartiamo per aggiornare l’analisi e il vocabolario sulla mafia siciliana?
Dal mutamento dei tempi e dall’esigenza di capire quali sono oggi i veri nemici della democrazia. Noi tutti portiamo sulla mafia un discorso sulla democrazia e sulle sue debolezze. Potremmo anche dire, sulle contraddizioni del progresso. Ecco, dovremmo cercare di capire cosa cambia ed evitare di ripetere sempre le stesse cose
Da lavialibera n° 1 gennaio/febbraio 2020
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