"Cosa nostra è un camaleonte", spiega la pm Imbergamo

Sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, Franca Imbergamo da anni indaga su Cosa nostra a Palermo

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

30 gennaio 2020

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Un camaleonte. Con questa immagine Franca Imbergamo, 57 anni, dal 2012 sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dnaa), definisce la condizione attuale di Cosa nostra. Lo dice da un osservatorio d’eccellenza: nella superprocura Imbergamo ha la delega al coordinamento delle indagini sull’area di Palermo, fa parte del gruppo che si occupa di "entità esterne" e stragi ed è responsabile del settore misure di prevenzione e patrimoniali.

Imbergamo, come sta la mafia in Sicilia?
Cosa nostra, soprattutto quella palermitana, è stata ridimensionata dall’azione giudiziaria che nella stagione dopo le Stragi, anche attraverso i collaboratori di giustizia, ha azzerato molte famiglie mafiose. Ma la mafia siciliana è un camaleonte, ha una resilienza notevole e si adatta ai tempi. Si sta nuovamente rafforzando sul territorio. È della fine del 2018 la notizia del tentativo di ricostituzione della commissione provinciale, l’organo di vertice della mafia palermitana, sventato dalla procura distrettuale. La mafia non ha mai abbandonato il suo disegno egemone sul territorio.

Era l’operazione Cupola 2.0. Che struttura avevano?
Era una struttura tradizionale, una piramide con mandamenti e famiglie mafiose alla base, anche se i capi volevano ridiscutere le regole di funzionamento del vertice. La maggior parte di loro sembrava favorevole al reintegro della tradizione dei rituali di affiliazioni, ma con particolari cautele di segretezza. Come Totò Riina e Bernardo Provenzano, anche loro temevano che i pentiti rivelassero i nomi degli affiliati. Per questa ragione da molti anni esistono alcuni affiliati “riservati”, noti soltanto al capo mandamento o al vertice supremo di Cosa nostra. I boss, inoltre, volevano rivedere i criteri di reclutamento. Nei mandamenti decimati dagli arresti sono stati reclutati uomini senza spessore criminale. All’interno di Cosa nostra palermitana, poi, criticavano molto i giovani dai comportamenti disinvolti e spregiudicati.

Volevano ripristinare vecchi assetti?
Le mafie storiche, sia Cosa nostra sia la ‘ndrangheta, non hanno mai abbandonato la tradizione che è parte della loro forza. Per il vertice era stato scelto un anziano che aveva scontato la sua pena, Settimo Mineo. Ciò dimostra che capimafia e uomini d’onore, dopo aver scontato le condanne senza cedere alla collaborazione con la giustizia, una volta tornati liberi sono più forti e assumono ruoli apicali.

Cosa nostra dopo Riina: il ritorno dall'America dei vecchi mafiosi

In autunno la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte costituzionale hanno imposto limiti all’ergastolo ostativo: anche se non collaborano con la giustizia, i mafiosi all’ergastolo devono aver diritto ai benefici penitenziari. Cosa ne pensa?
Fermo restando che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e che bisogna rispettare i dettami costituzionali, bisogna stabilire i criteri per i quali una persona condannata per mafia o terrorismo possa meritare i benefici di legge che aprono le porte del carcere ed eliminano la barriera dell’ergastolo. Una condotta deve essere valutata come positiva in relazione a fatti oggettivi. Uno dei più importanti è la riparazione del danno fatto alla società realizzata contribuendo all’accertamento della verità. Il problema non è mettere la collaborazione al primo posto tra le condotte, ma dobbiamo ricordare che da Cosa nostra si esce da morti o da pentiti. Non bastano la dissociazione o i meri atteggiamenti verbali di pentimento a cui non segue un comportamento concreto. Per questo mi aspetto che ci siano valutazioni della magistratura di sorveglianza legate a dati concreti e al percorso di ravvedimento di un condannato. Queste decisioni non devono essere valutate da un solo magistrato, che altrimenti andrebbe incontro a enormi difficoltà, ma da un collegio di giudici.

Poi ci sono boss che il carcere non lo hanno ancora visto, come il latitante Matteo Messina Denaro.
Sarà uno dei prossimi obiettivi da raggiungere nella lotta alla mafia.

Che tipo di leadership mafiosa è la sua?

Molti mafiosi, intercettati fuori e dentro il carcere, non ritengono Messina Denaro il nuovo capo di Cosa nostra: è stato uno dei fedelissimi di Totò Riina, Bernardo Provenzano e dei Corleonesi, ma non ha raggiunto il loro carisma, tant’è che la nuova commissione provinciale di Palermo doveva essere guidata da Settimo Mineo, ottantenne legato alla vecchia esperienza dei Corleonesi.

Da cosa nasce il suo potere?
Dal legame con la tradizione corleonese (quella più violenta, ndr) a cui si uniscono i traffici economici. Poi c’è il diffuso consenso di alcune fasce della popolazione di Castelvetrano e del trapanese per questo “mitico” capo di cui non si trova traccia.

Il re di Denaro e la sua rete economica

Quindi c’è anche il consenso popolare.
Il consenso nasce dal mito: c’è una fortissima componente simbolica nella latitanza prolungata che equivale alla spendita di un potere. Non posso entrare nel merito, posso solo dire che come tutte le cose difficili, ma possibili, arriveremo a questa cattura.

Nel frattempo molti capi mafia sono tornati in libertà. Perché?
Molti di loro non hanno avuto condanne per omicidio o per altri fatti che possono portare all’ergastolo. Così hanno beneficiato della liberazione anticipata per la buona condotta. È un problema molto serio che dobbiamo porci: il carcere non è una discarica, ma uno strumento per la rieducazione, tuttavia si deve avere la capacità di continuare a valutare la condotta dei boss tornati in libertà per sapere se abbiano riacquistato la loro potenza.

La Dnaa nella sua relazione del 2017 ha lanciato un allarme legato alla recidiva dei condannati per associazione mafiosa.
Ci sono due meccanismi su cui fare leva: una di tipo giurisdizionale e l’altra di tipo penitenziario. Bisognerebbe istituire un’aggravante speciale, ma la giurisprudenza si sta già portando avanti, e poi si può rendere più difficile l’ottenimento di benefici per chi, dopo una prima condanna, torna in cella.

I giovani, invece, quanto sono attratti da Cosa nostra?
Il potere di Cosa nostra è sempre affascinante per chi vuole farsi spazio nella criminalità organizzata. Le ultime operazioni hanno colpito alcuni rampolli, non ancora trentenni, di famiglie mafiose. Poi c’è il problema della manovalanza con un continuo reclutamento di giovani che vogliono arricchirsi trafficando stupefacenti.

Quali sono le attività più forti negli ultimi anni?
C’è stato un ritorno alla droga: per anni la ‘ndrangheta è stata egemone, ma Cosa nostra ha mantenuto legami e fatto accordi economici per rientrare nel business. Aumentano i consumi perché la criminalità organizzata abbassa i prezzi ed espande la diffusione. Le piazze di spaccio non sono soltanto nei quartieri difficili: un’indagine ha fatto emergere un servizio a domicilio per la Palermo bene. Poi ci sono le estorsioni a tappeto sul territorio.

Sulle estorsioni si leggono dati discordanti. In alcune relazioni si dice che c’è una maggiore collaborazione delle vittime, ma per l’ultima Commissione parlamentare antimafia il numero di denuncianti "non ha assunto una costante portata crescente".
Le collaborazioni sono aumentate rispetto ai numeri bassissimi di un tempo, ma se le rapportiamo al numero di estorsioni sono di gran lunga inferiori e a macchia di leopardo. Le denunce aumentano dove lo Stato dà segno della sua presenza e dove i commercianti hanno sperimentato l’associazionismo e la collaborazione diretta con la magistratura. Bisogna dare segnali a chi denuncia, fargli capire che verrà protetto e che la sua attività non sarà stravolta.

Quali altri settori sono stati attenzionati negli ultimi anni?
Il settore delle energie alternative ha suscitato interesse: c’è stato il caso dell’eolico coi fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro e l’ambito del solare, oggetto di indagine della procura di Caltanissetta. Poi ci sono il gioco online e le ricevitorie, enormi macchine per il riciclaggio: il denaro entra sporco e ne esce apparentemente pulito come provento del gioco. Inoltre i gestori eludono i versamenti allo Stato. I meccanismi sono molto sofisticati anche grazie alla collaborazione di soggetti specializzati e alla costituzione di società all’estero. Dove si possono fare grandi guadagni, le professionalità si mettono al servizio.

In questi anni in cui la mafia siciliana ha mostrato un volto meno violento, la zona grigia come si è evoluta?
Finché ha potuto, Cosa nostra ha sempre evitato delitti che richiamassero l’attenzione delle forze dell’ordine. È un codice di condotta antico durato fino agli anni Sessanta e Settanta. Per quella ragione ha sempre avuto bisogno di un’area grigia di professionisti al suo servizio. Purtroppo, in base alle inchieste recenti, possiamo dire che quest’area si è ampliata.

Massomafie, cosa c'è di vero?

E poi a Trapani c’è anche la massoneria.
Ma anche a Catania un’indagine ha verificato l’esistenza di contatti preoccupanti tra la massoneria locale e le cosche.

Perché un mafioso dovrebbe entrare in una loggia?
La penetrazione della mafia nella massoneria è storia vecchia: già negli anni Ottanta era stata scoperta la loggia Scontrino di Trapani. Un mafioso diventa massone per la gestione del potere.

Da lavialibera n° 1 gennaio/febbraio 2020

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