Al processo Petrolmafie, Antonio Moccia è il "convitato di pietra"

A Napoli, dopo le indagini preliminari, il pm non ha avviato l'azione penale contro il presunto boss del clan Moccia di Afragola, indagato in due filoni della maxi-inchiesta Petrolmafie sui traffici di petrolio, ma processato soltanto a Roma. Eppure nella prima sentenza si parla molto di lui

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

18 luglio 2022

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 Al Tribunale di Napoli, nel processo alle Petrolmafie, c’è una presenza – o forse è il caso di dire un’assenza – incombente tra gli imputati. Si tratta di Antonio Moccia, presunto boss del potentissimo clan Moccia, clan di camorra egemone sull’area di Afragola, definito “convitato di pietra alla mensa di questo processo”, scrive il giudice per l’udienza preliminare Antonio Baldassarre. Lo si legge nelle motivazioni della prima sentenza del filone napoletano della maxi-inchiesta, condotta dalla guardia di finanza e coordinata dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Questa assenza non è da poco, considerando che il procedimento ruota tutto intorno ai suoi presunti investimenti nei traffici di petroli, nel settore dei distributori di benzina e dei depositi di carburante.

Al termine del processo a sei imputati che hanno scelto il rito abbreviato, che dà diritto allo sconto di un terzo della pena, il giudice parla di “convitato di pietra” perché Moccia non è seduto al banco degli imputati, anzi addirittura “all’esito delle indagini preliminari il pm non ha ancora esercitato l’azione penale nei confronti di Antonio Moccia”, scrive.

A Roma, Moccia – difeso dagli avvocati Saverio Senese e Valerio Spigarelli – è stato rinviato a giudizio e deve difendersi dall’accusa di autoriciclaggio insieme al cugino Antonio Coppola, broker del settore, perché per i pm avrebbero reinvestito nella Max Petroli di Anna Bettozzi (vedova dell’imprenditore Sergio Di Cesare e nota alle cronache mondane come Ana Betz), denaro di provenienza illecita. Il processo romano è alle battute iniziali. A Napoli, invece, Moccia non è finito a processo per i traffici di carburante: “Forse i magistrati della procura si sono accorti che sarebbe sorto un conflitto di competenza territoriale”, cioè una discussione su dove sarebbe stato giusto tenere il processo per le altre accuse contro Moccia, spiega l’avvocato Senese.

Oltre a questi due procedimenti, ce n’è un terzo a Vibo Valentia, sugli interessi delle cosche della ‘ndrangheta nel traffico di carburante  (Un militare della Guardia di finanza che doveva testimoniare è stato trovato morto prima della sua audizione). Un uomo figura tra gli imputati di tutti questi procedimenti ed è Coppola, capace di intrattenere “continuativi affari con soggetti provenienti da diverse organizzazioni criminali della Campania, tra cui, oltre ai Moccia, anche i Formicola e i D'Amico della zona orientale di Napoli, i Mazzarella del centro della città e, appunto, anche i casalesi di Casal di Principe e comuni limitrofi”, si legge ancora nelle motivazioni.

Oro nero, pompe bianche e traffici criminali

Il processo abbreviato a Napoli

Il processo ruota intorno agli affari della New Service, le cui quote appartengono ad Antonio Coppola e alla figlia Silvia, "mai convolta nella gestione nonostante avesse la maggioranza" perché “solo Moccia Antonio aveva potere decisionale riguardo l’esecuzione dell'investimento”

L’8 aprile 2021 scatta l’operazione Petrolmafie, una maxi inchiesta della guardia di finanza coordinata dalla Ddaa e dalle direzioni distrettuali antimafia di Roma, Napoli, Catanzaro e Reggio Calabria. A Napoli Moccia viene indagato per trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio, perché ritenuto socio occulto e co-amministratore di un’azienda da lui finanziata, la New Service srl (attiva nel commercio dei prodotti petroliferi e proprietari di diverse pompe di benzina), le cui quote erano formalmente intestate al cugino Alberto Coppola e alla figlia Silvia. Fondata nel 2014, secondo gli investigatori la società era amministrata di fatto da Coppola e Moccia, senza il coinvolgimento della giovane, “la quale tuttavia non emergeva mai in alcuna delle attività di gestione degli affari, pur essendo titolare della maggioranza delle quote”, si legge nelle motivazioni. Anzi, “solo Moccia Antonio aveva potere decisionale riguardo l’esecuzione dell'investimento, essendone coinvolto in prima persona sul piano finanziario”, sia nel versare la caparra per rilevare un deposito, sia nell’aumento di capitale della società da 10mila a 500mila euro nel maggio 2016.

A processo Moccia non c’è, ma si parla di lui, dei suoi soldi, dei suoi commerci, del rispetto che incute nei suoi collaboratori e nelle persone che intavolano discussioni d’affari. Senza di lui, non sarebbe possibile contestare agli imputati l’aggravante dell’aver agevolato la mafia.

Sei hanno scelto il processo abbreviato. Il giudice ha deciso di assolvere dalle accuse più gravi due di loro: Gabriele Coppeta e Giuseppe Vivese, rispettivamente per il primo dall’accusa di essere un esponente del clan Moccia (una sorta di messaggero tra i boss e gli imprenditori legati al clan) e per il secondo di esserne un concorrente esterno. “Da sole le intercettazioni eseguite non sono sufficienti a fondare l’affermazione della partecipazione dei due al sodalizio, nemmeno nella forma mediata del concorso esterno ipotizzata per Vivese”, sostiene il gup. Questo non vuol dire che i due imputati non fossero in contatto con le organizzazioni camorristiche, anzi “è innegabile che nelle occasioni documentate dalla polizia giudiziaria egli (Coppeta, ndr) effettivamente si sia recato nella palazzina della famiglia Moccia”, mentre Vivese, nipote di Antonio Coppola, addirittura mette in contatto il broker con i Casalesi di Armando Schiavone, arrestato nel 2018 grazie ad alcune captazione di questa indagine. Tuttavia ciò non implica che abbiano commesso reati, o almeno non ci sono prove per dimostrarli.

Così al termine Coppeta è stato condannato a due anni, due mesi e venti giorni per riciclaggio aggravato dall’aver favorito l’organizzazione mafiosa, mentre Vivese ha avuto una condanna a un anno e cinque mesi per detenzione illecita di un’arma (senza l’aggravante di aver sostenuto la camorra). Condannata anche Silvia Coppola, figlia del broker, alla pena di un anno e sei mesi per trasferimento fraudolento di valori.

Sono stati assolti Francesco Mazzarella e Salvatore d’Amico, ai vertici dei due clan alleati, accusati di estorsione e illecita concorrenza con minaccia o violenza ai danni di Coppola.

Petrolmafie, un broker per tutte le organizzazioni. Guarda l'infografica 

Il nome di Antonio Moccia incute timore

Si tiene ben distante dagli occhi e dalle orecchie indiscrete, è guardingo, preferisce che il suo nome non sia fatto. “Moccia Antonio, i cui trascorsi criminali sono notori e assodati, viene descritto da più parti come il vero capo del sodalizio e, comunque, colui che ha grande voce in capitolo sulle scelte economiche e militari della sua famiglia e del clan, pur essendo particolarmente accorto a comparire il meno possibile”, scrive il gup nelle motivazioni. La sua figura “viene trattata da tutti con riverenza e timore, fino al punto di non nominarlo nemmeno”. Di Moccia parlano usando epiteti come l’ingegnere (“presumibilmente per via del suo indubbio ingegno piuttosto che per un 'improbabile laurea in ingegneria”, annota il gup), il parente oppure il piccirillo, essendo il più giovane tra ai suoi fratelli.

Secondo il tribunale, dalle conversazioni intercettate traspare il timore, come ad esempio quando gli indagati parlano del fallito acquisto del deposito della Sudpetroli. La New Service avrebbe voluto acquistare un deposito di petroli da una società la Sudpetroli, che avrebbe permesso di aumentare il volume di affari grazie ad alcuni stratagemmi per evadere il fisco, ma la compravendita è fallita e c’era il rischio di perdere la caparra versata, denaro di Moccia. “Era dunque del tutto evidente e condiviso tra tutti loro, Coppola, Liberti, il commercialista Abbondandolo, l’intermediario Fiandra, il sensale Coppeta e tutti gli altri, che nei confronti di quel soggetto andasse manifestato il massimo rispetto e che costoro provassero una non trascurabile apprensione, preoccupatissimi di provocarne le ire”.

Tra gli affari del clan Moccia, anche tanti ristoranti a Roma

Antonio Moccia, biglietto da visita per gli affari di Coppola

“Mentre con riferimento ai Casamonica e ai clan napoletani Coppola poteva assumere un tono di superiorità (...), a proposito dei Piromalli, invece, Coppola raccontava di essere entrato in affari con essi grazie proprio al potente cugino Moccia Antonio”

Il nome di Antonio Moccia, però risulta essere anche molto utile. Lo è, ad esempio, quando i Casamonica approcciano la società di Anna Bettozzi per estorcere denaro. Coppola in quel frangente spende il nome dell’illustre cugino. Lo fa anche quando il broker entra in contrasto con altri clan della camorra. “Mentre con riferimento ai Casamonica e ai clan napoletani Coppola poteva assumere un tono di superiorità, liquidando con sufficienza ogni eventuale contrasto di costoro con il suo potente cugino, a proposito dei Piromalli, invece, Coppola raccontava di essere entrato in affari con essi grazie proprio al potente cugino Moccia Antonio”. Insieme, sospettano gli investigatori sulla base di alcune intercettazioni, che Coppola, Moccia e Piromalli hanno comprato l’intero carico di una nave. “Il rapporto tra i potenti Piromalli della Locride e il clan Moccia e il suo uomo di punta Moccia Antonio era paritario, con piena comunanza di intenti e identica disponibilità degli uni e degli altri a investire fiumi denaro in ogni forma di affare lecito o illecito che potesse condurre a ingenti profitti”.

I dubbi degli avvocati difensori

Tutti i riferimenti a Moccia in questa sentenza sollevano dei dubbi nell’avvocato Saverio Senese: “È stato giudicato senza aver avuto il diritto alla difesa – afferma il legale –. Lui non era imputato e non ha potuto difendersi”. Secondo Senese, questo processo solleva “una bellissima questione di diritto” e ricorda che Moccia “ha avuto una condanna definitiva per mafia per fatti fino al 1988 e poi niente”. La sentenza definitiva porta la data del 2001 e i successivi processi per associazione mafiosa non sono ancora definitivi. Secondo Alessandro Parisi, avvocato di Coppola, la mafia non c’entra: “Coppola viene ritenuto inserito nel clan Moccia, ma negli atti non ci sono elementi per dimostrarlo, ma soltanto alcune intercettazioni in cui lui dice di essere parente di Moccia, ma la parente di Moccia è la moglie”. I giudici potrebbero riconoscere a Coppola l’aggravante di aver agevolato il clan: “Ma l’intraneità viene data per presupposta, risulta come colui che porta la mafia nelle aziende con cui collabora. In realtà i rapporti con gli altri clan dimostrano che lui è vittima e sfrutta i nomi dei boss come un metodo per salvaguardarsi e blindarsi come persona, anche se non sempre funziona perché ha subito alcune aggressioni. Per questa ragione, per far emergere questi elementi, non abbiamo scelto riti alternativi e siamo andati a dibattimento”. La sentenza napoletana, inoltre, potrebbe essere utile anche alla difesa di Anna Bettozzi, rappresentata dal professore Pierpaolo Dell'Anno e dall’avvocato Antonio Ingroia: “È molto importante anche per la posizione della Bettozzi che verrebbe di molto alleggerita – spiega l’avvocato Ingroia –. Le ipotesi di reato a lei contestate sono molto gravi: non solo reati di evasione fiscale, ma anche associazione per delinquere finalizzata all'evasione fiscale ma con l'aggravante di agevolazione della camorra”. L’imprenditrice romana ha deciso di affrontare un processo abbreviato che dovrebbe terminare dopo l’estate.

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