30 luglio 2021
Dal 6 aprile 2021, quando sono scattati gli arresti per l’operazione Petrolmafie Spa, i riflettori dei media sono rimasti puntati solo su di lei. Anna Bettozzi, figura eccentrica, nota alle cronache mondane come Ana Betz per la sua carriera di cantante (non troppo fortunata) e per i suoi rapporti con vip come Silvio Berlusconi e Lele Mora. Amministratrice di fatto della Max Petroli (poi Made Petrol) del marito Sergio Di Cesare, morto nel 2018, è stata arrestata come proprietaria della principale società coinvolta nell’indagine. Eppure, non è lei la figura centrale dell’inchiesta. Il vero dominus si chiama Alberto Coppola ed è il broker contattato dall’imprenditrice per risollevare la sua società.
È lui che fa lievitare i fatturati, passati da 9 milioni a 367 milioni di euro in due anni, dal 2016 al 2018, portando nuovi clienti e imponendo un complesso sistema di evasione fiscale. Lui, nodo nevralgico delle quattro indagini che compongono l’operazione Petrolmafie Spa (condotta dalle procure di Roma, Napoli, Catanzaro e Reggio Calabria), forte del suo bagaglio di relazioni tra criminalità organizzata e imprenditoria. Coppola è legato ad Antonio Moccia (cugino della moglie), figura importante dell’omonimo clan di Afragola (Na) di cui ricicla il denaro, e intrattiene rapporti commerciali con uomini delle cosche della ‘ndrangheta di Locri (Rc) e Limbadi (Vv), le cui società diventano clienti della grande azienda romana.
Oro nero, pompe bianche e traffici criminali
"Il guadagno è del 50 per cento su quello che è stato investito. Inoltre c'è il netto abbassamento del rischio rispetto al profitto, ad esempio, rispetto a ciò che riguarda il traffico di sostanze stupefacenti"Federico Cafiero De Raho - Procuratore nazionale antimafia
L’inchiesta della Guardia di finanza coordinata dalla Direzione nazionale antimafia ha coinvolto più di 350 indagati, tra cui 59 finiti in carcere e 40 ai domiciliari. Le ipotesi di reato includono associazione a delinquere, semplice e mafiosa, l’evasione fiscale, il riciclaggio, l’intestazione fittizia di beni e altro ancora. Sono state scoperte centinaia di milioni di euro di tasse non pagate e sequestrati beni per quasi un miliardo. Sono dati parziali, basati sulle ipotesi degli investigatori, ma indicativi del sistema mafioso sorto intorno al commercio illecito di carburanti, capace di mettere in affari ‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra catanese.
"L'infiltrazione mafiosa nel settore della commercializzazione degli idrocarburi è uno degli aspetti più significativi dell'evoluzione dei gruppi criminali", sottolinea il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho. È un settore complicato, richiede capitali, relazioni e competenze non comuni: bisogna conoscere il prodotto, i fornitori, l’andamento del mercato e le complesse regole del fisco. Serve gente che investa molti soldi. Soprattutto, servono professionisti ed esperti del settore, quei colletti bianchi che fanno parte della zona grigia. Il gioco, però, vale la candela. Il settore dei carburanti è particolarmente redditizio: "Il guadagno è del 50 per cento su quello che è stato investito". Investi 1.000 euro, ne guadagni 500. E c’è un altro fattore, non trascurabile. "il netto abbassamento del rischio rispetto al profitto, ad esempio, rispetto a ciò che riguarda il traffico di sostanze stupefacenti" ricorda De Raho. Meno violenza e sangue, ma soprattutto pene detentive inferiori.
Al processo Petrolmafie, Antonio Moccia è il "convitato di pietra"
Ma dove finisce il carburante “di contrabbando”? Il più delle volte ad alcuni distributori indipendenti, le cosiddette “pompe bianche”, slegate dai circuiti delle multinazionali e capaci di fornire benzina a prezzi inferiori rispetto ai concorrenti. In alcuni casi sono proprietà delle stesse organizzazioni criminali che in questo modo non solo riciclano denaro, ma si procurano ulteriori guadagni dalla vendita al dettaglio.
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