21 ottobre 2022
Sono quasi duecento gli anni di carcere inflitti ai ventinove imputati nel processo di primo grado “Decimabis” che si è svolto con rito abbreviato nell’aula bunker di Bitonto (Bari). Alla sbarra boss e affiliati della Società foggiana, una delle quattro organizzazioni criminali attive nell’area nord della Puglia. Estorsione e tentata estorsione a imprenditori e commercianti del capoluogo, tentato omicidio, usura, turbativa d’asta: questi i reati contestati agli imputati, con l’aggravante dell’associazione mafiosa. Davanti al gup si sono costituite parti civili Libera, la Fondazione Buon Samaritano, l’Antiracket, le associazioni di categoria - Confindustria Foggia, Confindustria Puglia, la Camera di Commercio Foggia - e alcune vittime che hanno avuto il coraggio di denunciare i propri estorsori.
I reati contestati agli imputati sono: estorsione e tentata estorsione a imprenditori e commercianti del capoluogo, tentato omicidio, usura, turbativa d’asta
Il processo prende il nome dalla maxi operazione del 16 novembre del 2020 che coinvolse quaranta esponenti delle tre batterie della Società: i Trisciuoglio-Tolonese, i Sinesi-Francavilla e i Moretti-Pellegrino-Lanza. Tra gli imputati il boss Pasquale Moretti detto “il porchetto”, condannato a 16 anni di reclusione, e Federico Trisciuoglio detto “Enrichetto lo zoppo”, morto di recente dopo una lunga malattia. Per quest’ultimo i reati sono estinti. Altri 13 imputati sono invece a processo al tribunale di Foggia dove si sta svolgendo il rito ordinario: tra questi anche Vincenzo Antonio Pellegrino detto “Capantica”, altro nome storico della malavita foggiana.
“Decimabis” è considerata la continuazione dell’inchiesta “Decima Azione” del novembre del 2018, aperta in seguito al verificarsi di una serie di attentati ai danni di commercianti e imprenditori foggiani. Obiettivo: smantellare il sistema di estorsione con il quale la Società foggiana piegava l’economia locale. Gli inquirenti ritengono di aver individuato nuovi dettagli sull’assetto della mafia radicata a Foggia e sulle modalità estorsive adottate su attività imprenditoriali e commerciali della zona. Le società erano taglieggiate e costrette ad assumere uomini segnalati dal clan grazie anche all’intercessione di colletti bianchi e “insospettabili”.
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Tutti finivano nei tentacoli delle estorsioni: imprenditori e piccoli commercianti, compresi gli ambulanti del mercato settimanale di Foggia, costretti a versare ogni mese alle batterie mafiose una somma a titolo di “tassa di sovranità”.
“Decimabis” è considerata la continuazione dell’inchiesta “Decima Azione” del novembre del 2018, aperta in seguito al verificarsi di una serie di attentati ai danni di commercianti e imprenditori foggiani
A illustrare questo sistema durante le udienze è stato Patrizio Villani, ex appartenente alla batteria Sinesi-Francavilla ora pentito. “Chi apre un’attività a Foggia sa che deve pagare. Ci stanno posti dove non devi fare niente, devi solo chiedere. E ci stanno posti dove non vogliono pagare e devi fare le lettere, mandare i proiettili. Oppure quando chiudono vai con un motore e ti fai vedere con la pistola in mano e la batti sul vetro”. Secondo Villani le vittime preferiscono pagare il pizzo ai boss anziché le tasse: “[i soldi] li devo dare allo Stato? – direbbero le vittime – preferisco darli a loro [i mafiosi]”. E chi non si piega? “Là – ha spiegato Villani – devi lavorare un po'. Li devi andare a minacciare, gli devi rendere la vita impossibile, glielo devi far capire”.
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La coreferente regionale di Libera Federica Bianchi ha espresso la sua soddisfazione. “Quella di Bitonto è una decisione importante che scaturisce da una delle più grandi attività antimafia eseguite nella città di Foggia nel contrasto alla Società foggiana”. Ma non è che un punto di partenza: per l’associazione antimafia la sfida di rango superiore è ora quella di elaborare strategie “che consentano alle vittime, sia quelle dirette dei reati che tutti coloro che indirettamente subiscono il giogo dei clan mafiosi, di acquisire la consapevolezza e il coraggio necessari a pretendere il rispetto dei propri diritti fondamentali e a intraprendere un percorso di denuncia”.
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