26 ottobre 2022
Stati Uniti, Regno Unito e Unione europea hanno rinnovato le sanzioni contro lo Zimbabwe, accusato di gravi violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza, corruzione e incapacità di garantire la giustizia per gli abusi passati. In attesa delle elezioni presidenziali del 2023, la situazione umanitaria resta grave e secondo Karsten Noko – un avvocato locale che per Medici senza frontiere ha lavorato a Kabul e Kunduz – somiglia a quella che sta vivendo l’Afghanistan controllato dai talebani.
Un paragone tra due città distanti più di 11mila km può sembrare azzardato, soprattutto considerando le differenze etniche, culturali e storiche. Tuttavia, per Noko Afghanistan e Zimbabwe hanno qualcosa in comune. “Faccio un confronto tra i due paesi perché tendiamo a pensare all'Afghanistan come a uno dei posti peggiori in cui nascere. Quando sono tornato a casa, in Zimbabwe, mi sono accorto delle somiglianze, ad esempio per quanto riguarda la mancanza di accesso e la disfunzionalità del sistema sanitario pubblico, incapace di rispondere ai bisogni delle persone”. Nella capitale, Harare, le persone sono rimaste per molto tempo senza acqua corrente e questo ha favorito focolai di malattie come il tifo, che in alcune zone del paese è ora endemico. L'impatto socioeconomico del Covid ha esacerbato ulteriormente questa situazione.
L’istruzione è un ulteriore problema, in quanto inaccessibile per molte persone. “Alcuni insegnanti non sono pagati abbastanza per potere andare a lavorare. Accompagnare i propri figli a scuola ha un costo significativo e sono molti i genitori che non possono permettersi di pagare le tasse per l’esame di fine anno”.
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Molte delle responsabilità di questa crisi duratura sono ascrivibili alle scelte politiche ed economiche perseguite dallo Zimbabwe African National Union – Patriotic Front (Zanu-Pf), il partito che è al potere dal 1980. L’intervento delle istituzioni finanziarie internazionali – come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale – non ha portato alcun beneficio. Le sanzioni internazionali, anziché colpire i leader militari, hanno messo in ginocchio la popolazione. “Tra malgoverno e interventi di paesi e istituzioni stranieri è difficile capire cosa abbia causato più danni. Alla gente comune non importa di chi sia la colpa, loro devono trovare il modo di andare avanti, cosa piuttosto difficile al momento”.
In molti paesi africani la situazione politica è instabile. I colpi di stato in Burkina Faso, Guinea, Sudan e Mali, ad esempio, dimostrano che l’operazione verso la democratizzazione fatica a dare risposte convincenti. Anche lo Zimbabwe appartiene agli stati in cui la militarizzazione delle istituzioni ha subito negli anni un incremento notevole. “In alcuni paesi sembra che i militari abbiano il sostegno dei civili, almeno fino a quando gli stessi civili non si accorgono che i militari non sono dalla loro parte”. Le promesse non sono state mantenute. “Questo disorientamento e la mancanza di risultati credibili e tangibili hanno portato alla sfiducia verso la democrazia”.
Ciò ha favorito la militarizzazione, che ha stretti legami con la corruzione tanto che – secondo l’Ong Transparency International – lo Zimbabwe è uno dei paesi più corrotti al mondo. Nel corso degli anni sono nati numerosi movimenti di protesta, come quello promosso dagli attivisti scesi in piazza dietro gli hashtag di #ThisFlag, #Tajamuka/Sesjikile e Occupy Africa unity square (Oaus). Un’ampia mobilitazione di giovani – l'età mediana in Zimbabwe è di poco superiore ai 20 anni – ha accompagnato il pacifico colpo di stato del 2017, culminato con le dimissioni dell’allora presidente Robert Mugabe.
Africa, questione di interessi
Il World Report 2022 di Human Rights Watch ha denunciato come nel Paese non vi sia stata alcuna azione da parte del governo di Emmerson Mnangagwa atta a punire gli abusi delle forze di sicurezza, “inclusi quelli post-elezioni dell’agosto del 2018, le uccisioni e gli stupri durante le proteste del gennaio 2019. I rapimenti, le torture, gli arresti arbitrari e altri abusi contro l’opposizione politica e gli attivisti, che non sono state indagate doverosamente”.
Secondo Noko, il clima di repressione si percepisce tutti i giorni ed esiste da così tanto tempo che è stato in qualche modo normalizzato. “Alcuni giornalisti e membri del parlamento sono in carcere solo per avere esercitato la loro libertà di espressione. Altri si trovano con un procedimento penale da affrontare che può durare anni. Un deputato di un partito di opposizione è stato in carcere quattro mesi senza mai avere un processo, con la cauzione negata ogni volta che si presentava in tribunale”. Così il governo limita il dissenso, attraverso un’azione che mette a tacere potenziali contestatori. “In Zimbabwe e in molti paesi africani vige ancora la legislazione risalente al periodo coloniale, utilizzata per reprimere giornalisti e attivisti”. Tra il 6 ottobre e il 10 ottobre 2022 – secondo il Committee to protect journalists – almeno cinque giornalisti sono stati assaliti dalla polizia, da attivisti vicini al partito Zanu-Pf e da sospetti agenti governativi della Central intelligence organization (Cio).
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Sono proprio gli attivisti e i giornalisti che a più riprese hanno denunciato la corruzione del governo e le condizioni insostenibili per la popolazione. Secondo Noko, affinché la situazione migliori serve agire su due fronti. A breve termine, occorre rinforzare il sistema sanitario e assicurare cure di base, “combattendo l’enorme insicurezza alimentare presente in molte regioni, peggiorata con lo scoppio della guerra in Ucraina”. È poi necessario un nuovo corso politico. “Le elezioni del prossimo anno sarebbero un'opportunità per cambiare, ma molti pensano che non valga la pena nutrire molte speranze vista la forte commistione tra militari e governo”.
Eppure alle elezioni legislative parziali e amministrative del 26 marzo scorso, il partito al potere ha subito una sconfitta. La Citizens’ coalition for change (Ccc) guidata da Nelson Chamisa, ha ottenuto diciannove dei ventotto seggi da assegnare in parlamento e rivendicato il 61 per cento delle preferenze nei governi locali. In vista della prossima tornata elettorale, servirà continuare a battersi per garantire uno spazio alla partecipazione civica e alla libertà di espressione e di opinione.
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