31 ottobre 2022
Il Brasile ha scelto Lula, ma è stata una vittoria sul filo di lana. Oggi Luiz Inácio Lula da Silva, candidato progressista, fa fatica a sorridere. L'ex sindacalista ha vinto con il 50,9 per cento dei voti, contro il 49,1 conquistato dal rivale di ultra-destra, Jair Bolsonaro, dopo una campagna elettorale anomala, la più violenta del Brasile post-dittatura. Il risultato delle urne consegna un finale ben diverso dal "trionfo annunciato" prefigurato dai sondaggi. Con queste forze il neopresidente dovrà affrontare una triplice sfida. La prima, far fronte alla nuova fase di recessione in cui il Gigante latinoamericano si dibatte dal 2020.
Nelle favelas col Covid le vite sembrano contare ancora meno
Il nuovo governo brasiliano si insedia in un momento storico assai complicato per il Paese. La nuova fase di recessione innescata dal Covid - che ha ucciso 600mila persone - non promette nulla di buono. Il virus ha contagiato anche l’apparato produttivo imprimendogli una brusca frenata e proprio quando, a fatica, si cercava di ripartire, la crisi ucraina si è abbattuta sull’economia nazionale. Inflazione e disoccupazione sfiorano il 10 per cento, la povertà è riesplosa in modo drammatico e il Paese soffre la fame. Un dietrofront a distanza di otto anni, quanto il Brasile era stato finalmente depennato dalla mappa Onu delle nazioni “a rischio”. Trentatré milioni di cittadini soffrono la fame, il 16 per cento della popolazione. Prima del Covid erano la metà, quattro anni fa un quarto. Questa è la prima sfida del nuovo governo: nutrire il popolo.
Tre ingiustizie contro il Sud del mondo (english version)
La seconda urgenza è evitare la catastrofe climatica causata dalla trasformazione dell’Amazzonia in una enorme savana. In alcune aree – soprattutto quelle meridionali e centrali – il cambiamento è già in atto. Circa il 17 per cento di foresta è stato distrutto, un altro 17 per cento si trova in diversi stadi di degrado ambientale. Se la soglia di devastazione dovesse raggiungere il 25 per cento – il cosiddetto punto di non ritorno – non si potrebbe mai più tornare indietro. Tra i 150 e i 200 miliardi di tonnellate di diossido di carbonio verrebbero liberati nell’aria, vanificando gli sforzi di contenimento del riscaldamento globale. L’unica via per scongiurare il disastro è attuare subito una moratoria sulla deforestazione, ma negli ultimi tre anni il disboscamento è cresciuto esponenzialmente, cancellando un’area di foresta pari alla superficie del Belgio. Solo nel mese di settembre sono andati perduti quasi 1.500 chilometri quadrati di alberi. Colpa – secondo gli esperti – dello smantellamento delle istituzioni incaricate di vigilare e di una certa compiacenza nell’applicazione delle leggi esistenti.
La terza e ultima questione cruciale – non in ordine di importanza – riguarda la necessità di allentare la polarizzazione e ricucire la frattura esistente tra i “due Brasile”. Non è un compito facile. L’atteggiamento di Jair Bolsonaro durante la campagna elettorale ha acuito le tensioni, già forti. Lo spettro dei brogli costantemente agitato, la minaccia esplicita di non riconoscere i risultati e il ricorso a fake news per screditare l’avversario hanno esacerbato la conflittualità, tanto da far temere possibili esplosioni sociali. Una politica del muro contro muro che va distrutta, occorre inventare ponti anche se i fossati sembrano troppo ampi. Non c’è altro modo di realizzare quel progetto comune di cui il Brasile ha urgente necessità.
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