
Carcere, detenuti in semilibertà tornano a dormire in cella

23 dicembre 2022
Alcuni nascevano come covi di pirati, isole in cui nascondere il bottino delle razzie. Altri erano più simili a valichi di frontiera, terre per contrabbandieri. Oggi, a dispetto della Convenzione Onu che avrebbe dovuto eliminarli, sono luoghi che, per attirare gli investimenti, concedono benefici che fanno gola a molti: zero burocrazia e controlli per l’apertura di società, tasse bassissime e, soprattutto, segretezza. Tutti strumenti per evadere il fisco e riciclare il denaro sporco. I paradisi fiscali hanno nomi esotici – le isole Cayman e le Bermuda – altri sono terre non distanti dalla Gran Bretagna – l’isola di Mann, Jersey o Guernsey – o ex colonie dell’Impero britannico come Hong Kong o Singapore. Nell’elenco figurano anche Paesi del continente europeo come Olanda, Lussemburgo e Svizzera, per citare i più grandi.
Dentro l'antiriciclaggio. Intervista a Claudio Clemente, direttore dell'Uif
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Nel dicembre del 2000, a Palermo veniva firmata la Convenzione Onu contro il crimine organizzato transnazionale, presentata in termini trionfalistici come una svolta nella lotta ai fenomeni mafiosi in tutto il mondo. Ma cosa è cambiato da allora? Qual è lo stato dell'arte in fatto di contrasto ai traffici illeciti globali?