23 dicembre 2022
Alcuni nascevano come covi di pirati, isole in cui nascondere il bottino delle razzie. Altri erano più simili a valichi di frontiera, terre per contrabbandieri. Oggi, a dispetto della Convenzione Onu che avrebbe dovuto eliminarli, sono luoghi che, per attirare gli investimenti, concedono benefici che fanno gola a molti: zero burocrazia e controlli per l’apertura di società, tasse bassissime e, soprattutto, segretezza. Tutti strumenti per evadere il fisco e per il riciclaggio il denaro sporco. I paradisi fiscali hanno nomi esotici – come le isole Cayman, nei Caraibi, o come le Bermuda –, altri sono terre non distanti dalla Gran Bretagna – l’isola di Mann, Jersey o Guernsey – o ex colonie dell’Impero britannico come Hong Kong o Singapore. Nell’elenco figurano anche Paesi dell'Europa come Olanda, Lussemburgo e Svizzera, per citare i più grandi.
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Non esiste una definizione unica e condivisa per descrivere cosa sono i paradisi fiscali (in inglese tax havens, cioè porti fiscali, e non heaven). Spesso sono i luoghi migliori dove nascondere al fisco e alla giustizia le proprie ricchezze – lecite o illecite che siano – evitando tasse, sequestri e indagini. Fanno comodo a chiunque possieda enormi quantità di denaro: imprenditori, vip e politici miliardari, multinazionali che cercano di sfruttare al meglio le norme nazionali per massimizzare i profitti, ma anche criminali.
Questi Stati, a volte minuscoli, garantiscono assoluta riservatezza e, grazie al segreto bancario, risulta impossibile risalire ai titolari di un conto corrente. Spesso è altrettanto difficile risalire ai proprietari di una società schermo, utilizzata per controllarne altre o per riciclare denaro sporco. Spesso si tratta di società offshore, create in luoghi dove, oltre al riserbo, c'è una tassazione agevolata. In moltissimi casi, inoltre, per gli altri Stati è una missione impossibile ottenere una collaborazione e informazioni dalle autorità locali, gelose custodi dei segreti dei loro clienti.
È difficile definire con chiarezza quali Stati sono dei paradisi fiscali e quali no perché vengono considerati diversi parametri di valutazione nel grado di segretezza o di collaborazione.
Il 4 ottobre 2022 il Consiglio dei ministri dell'Economia dell'Unione europea ha aggiornato la sua lista:
Questa lista però non tiene conto di quegli Stati che garantiscono alle società una tassazione bassa, come fatto ad esempio dall'Olanda, dall'Irlanda e dal Lussemburgo, Stati europei che si trovano nei primi posti del Corporate tax haven index realizzato da Tax justice network, una rete indipendente che lotta contro l’evasione fiscale. Questi e altri Stati del Vecchio continente fanno buona compagnia a Hong Kong, Singapore, Isole vergini britanniche, Guensey e altri nel Financial secrecy index, realizzato dalla stessa ong.
I paradisi fiscali provocano un enorme impoverimento: secondo Tax justice network nel 2021 multinazionali e ricchi hanno evaso tasse per circa 483 miliardi di dollari. A partire dal 2009, una serie di inchieste giornalistiche basate su leaks, come i Panama papers, hanno riportato l’attenzione delle istituzioni internazionali sul ruolo di questi paesi, sull’iniquità e sulle ingiustizie. Nel 2020, in occasione dei vent’anni della Convenzione di Palermo, l’allora procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho ha sottolineato come sia "sempre più necessario occuparsi dei paradisi normativi, e non solo dei paradisi fiscali".
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