Microracconto, racconto bonsai, sudden fictions: cinque libri per scoprire la microfinzione

Prima era il romanzo, oggi sempre di più racconti e novelle. Densità, esattezza e stringatezza sono caratteristiche che stimolano la sperimentazione linguistica e accompagnano i lettori a domande profonde. Breve guida alla nuova tendenza narrativa

Livio Santoro

Livio Santoroscrittore

31 gennaio 2023

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Fino ai primi anni Duemila, nel mondo editoriale italiano vigeva una consolidata preferenza per il romanzo, a detrimento di altre forme narrative considerate meno nobili. Il racconto, relegato sullo sfondo, subiva spesso lo stigma della forma secondaria, considerato buono al più come palestra per futuri romanzieri. Più di recente, tuttavia, complice forse un redivivo fermento delle riviste letterarie su carta e soprattutto online, la tendenza sembra mutata, e oggi si moltiplicano editori e collane che per statuto pubblicano solo o preferibilmente novelle e racconti. Di più: nel corso degli ultimi anni stiamo assistendo anche alla timida emersione della narrativa iperbreve, la cosiddetta microfinzione – o minifinzione, microracconto, racconto bonsai, sudden fictions e così a seguire –, forma narrativa da tempo assai comune in America latina che, connettendosi esplicitamente all’epigrammatica antica e alla tradizione della sentenza e della favola, porta al parossismo le modalità del racconto, per fare della densità, dell’esattezza e della stringatezza la sua ragion d’essere, chiudendo narrazioni compiute nel giro di una o due pagine, o anche molto meno. Attraverso cinque testi si cercerà di indagare questo tipo di scrittura. 

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Sommario:

La microfinzione e le sue forme

Chi nulla sappia della microfinzione e voglia rintracciarne un solo esempio incontrerà probabilmente il guatemalteco Augusto Monterroso con il microracconto Il dinosauro, citatissimo manifesto di concisione che dice: “Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì”. Il testo, nella sua brevità, ci mette infatti di fronte in maniera esemplare a una delle principali caratteristiche della microfinzione, ovvero la presenza di un poderoso non detto nella narrazione, di dettagli non esplicitati, ma evocati in contumacia, che dovrebbero portare chi legge a interrogarsi sul contesto in cui collocare la vicenda. Nel caso, le domande potrebbero essere: perché il dinosauro dormiva? Il suo era un sonno naturale o imposto (e da chi)? E dov’è che ancora si trovava? Doveva invece essere altrove? Oppure è qualcun altro che si risveglia, magari una bambina addormentatasi accanto a un dinosauro di peluche? E chi è il narratore di questa storiella, e perché ce la narra? Domande nient’affatto peregrine per un esempio di certo estremo, che però aiuta a comprendere quanto la microfinzione, genere per statuto ambiguo e di per sé aperto, sia anche (e forse soprattutto) un gioco che funziona solo se condiviso da chi legge e da chi scrive.

Il testo, nella sua brevità, ci mette infatti di fronte in maniera esemplare a una delle principali caratteristiche della microfinzione, ovvero la presenza di un poderoso non detto nella narrazione, di dettagli non esplicitati, ma evocati in contumacia, che dovrebbero portare chi legge a interrogarsi sul contesto in cui collocare la vicenda

Oltre al non detto e alla dimensione ludica, altre sono le caratteristiche cruciali della microfinzione. L’estrema brevità e la natura in fin dei conti secondaria della trama (come proprio Il dinosauro dimostra egregiamente) permettono infatti a chi scrive di adottare e dare centralità a vari espedienti, tra cui un’intensa sperimentazione linguistica, giochi di parole, una prosa lirica e una costante ironia, elementi che altrimenti stancherebbero in una più lunga narrazione. E inoltre: l’inizio in medias res, una certa dimensione metaletteraria, il dispositivo del perturbante, il finale aperto (in cui è il lettore a decidere cosa succede dopo il punto) o il finale a effetto (che rovescia l’andamento del racconto spiazzando chi legge). Tutto questo dal punto di vista formale. Se invece indaghiamo l’oggetto della microfinzione, ci troviamo spesso di fronte a libri che, in ossequio ai modelli del genere, sono insiemi di narrazioni fantastiche, bestiari di animali reali o immaginari, gallerie di ritratti fulminei di vita grottesca più o meno realistica, inventari monografici di oggetti o fenomeni, compendi di riflessioni aforistiche, sequenze di definizioni strampalate, raccolte di storie della letteratura universale riscritte con irriverenza e così a seguire.

I microracconti sono narrazioni fantastiche, bestiari di animali reali o immaginari, gallerie di ritratti fulminei di vita grottesca più o meno realistica, inventari monografici di oggetti o fenomeni, compendi di riflessioni aforistiche, sequenze di definizioni strampalate, raccolte di storie della letteratura universale riscritte con irriverenza

Tuttavia adesso, dato che continuare a descrivere la microfinzione in questi termini potrebbe risultare tedioso, e soprattutto in considerazione del fatto che ci siamo già dilungati abbastanza per introdurre una forma narrativa che fa della brevità il suo principale elemento, ci fermiamo, e di seguito proponiamo alcuni suggerimenti di lettura per chi voglia approfondire l’argomento: si tratta di cinque libri pubblicati di recente in Italia in cui la microfinzione, variamente intesa, sa farsi apprezzare con vigore.

Rodolfo Wilcock, Il libro dei mostri

Cominciamo con un altro classico del genere, un testo esemplare del 1978 ripubblicato da Adelphi nel 2019 dopo lunga assenza dalle librerie. Si tratta de Il libro dei mostri di Rodolfo Wilcock, autore nato a Buenos Aires nel 1919 che negli anni Cinquanta del Novecento si trasferisce in Italia per scrivere anche nella nostra lingua. Votato in tutto e per tutto al fantastico, con la sua straordinaria capacità immaginativa ne Il libro dei mostri Wilcock riversa sul versante umano la lezione dei bestiari, offrendoci la descrizione di sessantadue personaggi messi a rappresentare un’umanità grottesca e degenerata che senza motivo viene colpita dalle più impensabili stranezze.

Un museo di ritratti in cui troviamo per esempio il geometra Elio Torpo, tramutatosi in un vulcano che al sentirsi trascurato erutta fango in giardino e insozza le auto parcheggiate, o il capitano Luiso Ferrato, che ogni anno cambia pelle, spingendo la moglie a conservarne le vecchie mute per tenerle in fila nel garage di casa. Con loro, anche la tristissima Paola Udovic, donna che per aver tanto sofferto somiglia ormai a “un mucchio di stracci in lenta combustione, a un groviglio di dolore senza forma, a una spugna imbevuta di atrocità, abbandonata nel deserto entro una conca di sabbia arida, da cui si diramano filamenti di angoscia, tremiti improvvisi di disperazione, nausee come rivoli di lava, urli inudibili convulsi, orrori ribollenti”.

Racconti di schiavitù e lotta contadina: 

Maria Sebregondi, Etimologiario

Elevata capacità immaginativa è anche quella di Maria Sebregondi, autrice di Etimologiario, libro del 1988 ristampato da Quodlibet nel 2015. Come si evince dal titolo dell’opera, siamo in questo caso di fronte a un puro e squisito gioco di lessico, riuscitissimo nella sua puntualità, che ci restituisce una delle principali vocazioni della narrazione brevissima: traslare la realtà a cui siamo avvezzi nel quotidiano in una dimensione “altra” che non risponda alle regole della nostra. In questo caso, le regole trascese sono quelle lessicali.

I microracconti di Sebregondi non sono infatti altro che centouno proposte etimologiche alternative raccolte in un breve dizionario nel quale l’immaginazione dell’autrice piega a suo uso (e per il nostro divertimento, per la nostra sorpresa) il significato di svariati termini di impiego comune. Citiamo a titolo d’esempio le definizioni Crepuscolo e Ufficio, tra le più riuscite dell’Etimologiario: “crepuscolo s. m. (dim. del s. f. crepa) – esile crepa del tempo tra il giorno e la notte. Una pausa sottile dove i colori si accendono, brevemente sottratti al dominio della luce o del buio”; “ufficio s. m. (der. dell’inter. uff o uffa) – il doveroso atto dello sbuffare. Per estensione: luogo preposto allo sbuffo individuale e/o collettivo, provvisto in genere di ampi e pazienti scaffali ove si archiviano stizza, noia e impazienza”.

Ivan Talarico, Dizionario degli amori impossibili

L’espediente del dizionario, o quantomeno dell’ordine alfabetico con cui presentare i racconti, è utilizzato anche nel divertente Dizionario degli amori impossibili, libretto edito nel 2021 da Neo edizioni per la firma di Ivan Talarico, poeta e cantautore qui al suo esordio narrativo. Nel testo sono raccolti cinquantaquattro racconti, lunghi non più di tre paginette e non meno di mezza, in cui l’autore ci racconta per brevi pennellate amori bizzarri e incomprensibili, cortocircuiti di coppia, disastri annunciati della vita coniugale, storie che nella maggior parte dei casi finiscono tutt’altro che in lieto fine ma che travasano il senso di tristezza dell’amore impossibile in un calderone di spiccato umorismo: e allora si può ridere senza problemi dei fallimenti del romanticismo e dei sentimenti buoni.

Si prenda per esempio la parodia post-neorealista rubricata alla lettera “F” del racconto intitolato Fame: “Ordio e Ninia vivono di pane, amore e fantasia. Il primo a finire è il pane, ma già lo immaginavano. Poi è la fantasia a scarseggiare. Questo li coglie alla sprovvista, ma si preparano a una vita senza entusiasmi, così quando la fantasia finisce, non se ne accorgono. Si nutrono solo di amore, ma Ordio è ingordo e inizia a ingrassare. Ninia non si sente più attratta da lui e decide di lasciarlo. Così finisce anche l’amore e muoiono di fame”.

Gilda Manso, Flora e fauna

Trasferendoci in contesto latinoamericano, ecco Flora e fauna dell’argentina Gilda Manso, raccolta eterogenea pubblicata a fine 2022 da Wojtek per la cura di Antonella Di Nobile. Annoverabile in parte nella categoria dei bestiari (la “fauna” del titolo), il libro si fa forte soprattutto dei dispositivi del perturbante e del finale aperto per vellicare lo stupore dei lettori. L’autrice vi mette in fila racconti di vita quotidiana e soprattutto alcuni fuggevoli ritratti di animali più o meno immaginari (gatti, pugili-drago, avvoltoi, bambine-cervo, gru di carta e così a seguire), riscrivendo a suo modo episodi della letteratura universale, come dimostra il racconto L’altra fauna, in cui si aggiunge un dettaglio alla vicenda biblica di Noè: “La zebra a pois. L’elefante con proboscide a forma di scimmia. La giraffa senza collo e con la pappagorgia. Il gatto domestico grande come una tigre. L’uccello azzurro con tre teste. L’ippopotamo di trenta centimetri. Il cane unicorno viola. Il drago. Il ferule rosa. Delle due arche costruite, solo una è sopravvissuta al diluvio”. Stessa sorte hanno la storia della fenice (animale da compagnia di una bambina prigioniera di un orco), quella del principe azzurro (tramutato dal sortilegio non in rospo ma in scarafaggio) e quella del genio dei desideri (costretto dal suo Aladino a restare rinchiuso per sempre nella lampada). Tutto a conferma che nella microfinzione la letteratura di tutti i tempi e le provenienze si mescola con favore nell’esercizio della riscrittura, per sovvertire le regole e rimettere in discussione, meglio se in maniera faceta, quanto è stato già raccontato e detto.

Marco Giovenale, Statue linee

Molto recente è anche Statue linee di Marco Giovenale, libro edito da pièdimosca nella neonata collana Glossa, che proprio alla microfinzione è dedicata. Si tratta di una raccolta di prose ibride, più che di racconti propriamente intesi, in cui il testo è costruito giocosamente a partire dalla parola e dalla destrutturazione della sintassi, con sagacia e gradevole sarcasmo, facendo affidamento su una sorta di oralità teatrale, recitativa e assai divertente (cosa che rende Statue linee più apprezzabile se letto ad alta voce). Nella summa di frammenti e riflessioni satiriche di cui è composto il libro, vale la pena citare per intero, a conclusione di questa breve carrellata sulla microfinzione, lo spassoso testo 40 (tra i più narrativi della raccolta), in cui il Premio Strega diventa, per i professionisti dell’editoria che vi partecipano, un incubo asfissiante e ricorrente: “secondo me il premio strega dovrebbe durare tutto l’anno, il ninfeo di valle giulia essere pieno di gente tutte le notti, sempre a magnare, a scrivere cose su lavagne, a tenere in mano calici e stare seduti in abiti scomodi ai tavolini abrasi dai crostacei. interviste, ventagli, scarpe sudate. sempre, che sia estate o natale. flussi di camerieri irromperebbero tutte le sere. centinaia, armati. la gente rientra a casa fritta stremata e il giorno dopo ancora, e poi ancora. tutte le sere, anche i sabati, le domeniche, pasqua e ferragosto. stasera siamo liberi? no c’è di nuovo lo strega. conato. e chi premiano? non importa. conato. applausi, una vittoria sul filo”.

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