Aggiornato il giorno 7 febbraio 2023
"Non ho avvertito l'autorità giudiziaria perché le segnalazioni erano troppo generiche". Questa la difesa di Domenico Minervini, l'ex direttore del carcere Lorusso e Cutugno di Torino che, insieme all'allora comandante degli agenti di polizia penitenziaria Giovanni Battista Alberotanza, è accusato di omessa denuncia e favoreggiamento per i presunti reati di tortura commessi in istituto tra aprile 2017 e ottobre 2019.
Sia Minervini sia Alberotanza hanno scelto il rito abbreviato. Tra gli agenti, l'unico ad aver optato per questa soluzione è Alessandro Apostolico che con "violenze gravi" e "crudeltà" avrebbe provocato "acute sofferenze fisiche" a un detenuto e poi l'avrebbe minacciato per assicurarsi l'impunità. Gli altri 22 imputati, invece, hanno scelto il rito ordinario che inizierà solo a luglio del 2023 (e, come denunciato da lavialibera, dopo pochi mesi alcuni di loro sono tornati in servizio nello stesso istituto e persino nella stessa sezione). Il pubblico ministero Francesco Pelosi ha domandato un anno di carcere per Minervini, un anno e due mesi per Alberotanza e quattro anni per Apostolico.
"Non ho denunciato all'autorità giudiziaria perché le segnalazioni che avevo ricevuto erano troppo generiche"Domenico Minervini - Ex direttore Lorusso e Cutugno
L’inchiesta è partita grazie alle segnalazioni della Garante di Torino, Monica Gallo, venuta a conoscenza di ripetuti episodi di violenza e dell’uso improprio di alcune celle per isolare i detenuti che davano segno di scompenso psichico, quando in questi casi l’istituto penitenziario del capoluogo piemontese dispone di una sezione ad hoc. La gran parte delle vittime, in totale 11, si trovava nel padiglione C, quello destinato anche ai cosiddetti sex offender, cioè gli autori di reati sessuali. A loro, stando alle carte dell’inchiesta, l'ispettore Maurizio Gebbia (ex responsabile della sezione) e gli agenti riservavano pestaggi e umiliazioni.
Una situazione di cui i vertici della casa circondariale erano a conoscenza. Ad avvertire Domenico Minervini, l’allora direttore della struttura, rimosso dopo le accuse di favoreggiamento e omessa denuncia, era stata Gallo. Ma una volta informato, Minervini aveva aiutato gli “agenti coinvolti ad eludere le investigazioni dell’autorità, omettendo di denunciare i fatti di cui era venuto a conoscenza”, scrive il pubblico ministero Francesco Saverio Pelosi nella richiesta di rinvio a giudizio presentata a luglio 2021.
Stesso modus operandi adottato anche dall’ex comandante Giovanni Battista Alberotanza, accusato per aver anche lui aiutato gli “agenti coinvolti ad eludere le investigazioni delle autorità, omettendo di denunciare i pestaggi e le altre vessazioni”, ma non solo: anche per aver condotto “un’istruttoria interna dolosamente rivolta a smentire quanto accaduto”.
Alberotanza – si legge sempre nella richiesta di rinvio a giudizio – era stato informato dell’indagine avviata dalla procura di Torino da due sindacalisti dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp): Leo Beneduci e Gerardo Romano. Grazie a loro, aveva saputo di avere il telefono sotto controllo per un’inchiesta sui pestaggi all’interno del Lorusso-Cutugno.
Stando a una fonte de lavialibera, in aula Minervini ha detto di essere venuto a conoscenza dei pestaggi all'interno del carcere grazie alla denuncia di un detenuto nigeriano. Detenuto che, però, poi – ha sostenuto Minervini – è stato "giudicato inattendibile" perché trovato "in stato di alterazione da cannabinoidi" e perché ha indicato come responsabile dell'aggressione l'ispettore Gebbia, ma il giorno del presunto pestaggio "Gebbia non era in servizio".
L'ex direttore del carcere di Torino ha ammesso anche di essere stato informato dalla Garante di Torino Monica Gallo degli abusi, ma ha motivato la scelta di non fare denuncia all'autorità giudiziaria con il fatto che le "segnalazioni di Gallo erano troppo generiche". Ha ribadito di aver avuto "buoni rapporti con la Garante di Torino", anche se a partire dal 2018 la Gallo avrebbe "perso la fiducia" nei suoi confronti "senza motivo".
Nel 2019 Gebbia è stato messo alla guida di un altro padiglione (il padiglione B) a seguito di "un avvicendamento preparato da tempo, dopo molte consultazioni", e a domanda "se pensa che l'ispettore fosse idoneo a guidare un altro reparto?", Minervini ha risposto: "Ho pensato che lo spostamento avrebbe fatto bene anche a lui". La difesa ha puntato molto sulla complessità del carcere di Torino, e sull'assenza dei tre vice direttori previsti dalla pianta organica (poi ridotti a due).
Quando Minervini ne era al vertice, l'unica persona ad affiancarlo era la vicedirettrice Francesca Daquino, che per tre giorni a settimana doveva fare la spola con Aosta ed era "spesso assente per malattia", "tanto che – prosegue l'ex direttore del Lorusso-Cutugno – Gallo era stata molto dura nei suoi confronti in un'email", aggiungendo che in pratica si trovava a "gestire l'istituto da solo" ed era "molto in sofferenza".
In aula, Alberotanza ha detto di essere venuto a conoscenza dell'inchiesta condotta dalla procura di Torino solo il giorno dell'arresto degli agenti, quando tutti all'interno dell'istituto "sono rimasti sorpresi", negando di essere stato informato dal sindacalista Gerardo Romano. Ha anche sostenuto di non aver avuto notizia di abusi, se non in riferimento a un singolo episodio: un detenuto fatto rimanere in piedi davanti a un cancello contro la sua volontà.
Il pubblico ministero Francesco Pelosi ha domandato un anno di carcere per Minervini, un anno e due mesi per Alberotanza e quattro anni per Apostolico
"Dell'episodio – ha raccontato Alberotanza – me ne parlò una sola volta Minervini, chiedendomi di fare degli accertamenti. Feci il mio dovere mandando un'email all'ufficio competente: l'ufficio atti di polizia giudiziaria". La difesa ha anche cercato di delegittimare gli autori di alcune segnalazioni negative nei confronti dell'ex comandante, scelta che ha sollevato critiche in aula.
*Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2022 e aggiornato il 7 febbraio 2023
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