27 aprile 2023
A finanziare la ricerca e lo sviluppo dei vaccini anti-Covid sono stati soprattutto i governi, non Big Pharma. In particolare, dal 2020 a inizio 2022 Stati Uniti ed Europa hanno investito nove miliardi di euro, a fronte dei circa cinque miliardi spesi dalle case farmaceutiche, che però hanno venduto i risultati di quegli investimenti pubblici a caro prezzo. Il supporto fornito raggiunge i 30 miliardi di euro se si prendono in considerazione anche i soldi assegnati alle aziende grazie ad accordi preliminari di acquisto.
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È quanto emerge da una ricerca condotta per il parlamento europeo da degli economisti italiani che smantella la narrazione delle imprese, secondo cui si sarebbero assunte il rischio della produzione dei farmaci senza sapere se avrebbero funzionato o meno. Invece, questo rischio non sono state loro a coprirlo, ma i cittadini, rendendo ingiustificati i profitti record che hanno realizzato in questi anni. "In termini di investimento, è stato un ritorno senza precedenti", commenta Massimo Florio, professore di economia pubblica dell’università di Milano, uno dei membri del Forum disuguaglianze e diversità, e tra gli autori dell'analisi, insieme a Simona Gamba (Statale di Milano) e Chiara Pancotti del Centro studi industria leggera (Csil), un centro di ricerca indipendente. Il risultato supporta anche la riforma del mercato dei farmaci promossa dall'Ue che vuole accorciare la durata standard dell’esclusiva sui medicinali di cui beneficia l’industria farmaceutica. La proposta trova favorevoli i consumatori, molto critiche le aziende e divisi gli Stati dell'Unione.
Lo studio ha analizzato lo sviluppo di nove vaccini. E i dati raccolti indicano che dal 2020 all'inizio del 2022 il sostegno fornito da finanziamenti esterni per la ricerca, lo sviluppo e l'ampliamento della capacità di produzione dei farmaci presi in esame ammontava a nove miliardi di euro, in media un miliardo a vaccino. L'80 per cento dei soldi faceva capo a governi e altri attori pubblici, anche se le varie aziende ne hanno beneficiato in proporzioni molto diverse: si va dal 100 per cento nel caso di Moderna allo zero per cento in quello di Pfizer che però ha realizzato il vaccino in collaborazione con BioNTech, destinataria invece di importanti contributi statali in Germania. “In media – stima la ricerca – i finanziamenti pubblici hanno coperto almeno il 50 per cento delle spese cumulate per ricerca e sviluppo, rendendo i governi i partner principali nello sviluppo dei vaccini contro la Covid-19”.
I finanziamenti pubblici hanno coperto almeno il 50 per cento delle spese cumulate per ricerca e sviluppo, rendendo i governi i partner principali nello sviluppo dei vaccini contro la Covid-19
In questo contesto, il ruolo dell’Unione europea e dei Paesi che ne fanno parte è stato marginale rispetto a quello svolto dagli Stati Uniti, a cui va attribuito il 24 per cento dei fondi esterni assegnati per la ricerca e lo sviluppo dei vaccini. Per sostenere le case farmaceutiche, l’Europa ha invece utilizzato soprattutto gli accordi preliminari d’acquisto, in pratica dei contratti a scatola chiusa stipulati prima che i vaccini fossero approvati. Fino al 2021, l’Unione aveva firmato con le aziende otto di questi accordi, del valore complessivo di 6,8 miliardi di euro, per 1,3 miliardi di dosi. Contratti che, secondo gli economisti, hanno spostato sulle casse pubbliche buona parte del rischio e aiutato le aziende a programmare meglio produzione e logistica. Di contro, le case farmaceutiche avevano speso appena cinque miliardi di euro per ricerca e sviluppo e 11 miliardi per investimenti produttivi.
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Nonostante il decisivo contributo statale, i governi non hanno avuto alcun potere decisionale sulla distribuzione dei vaccini né tantomeno sul loro prezzo. Anzi – stando a uno studio del 2021 del movimento People’s vaccine alliance, sotto cui sono riunite diverse organizzazioni che chiedono di considerare i vaccini bene comune – gli Stati hanno pagato tra le 4 e le 24 volte in più di quanto avrebbero dovuto. E l'Unione europea potrebbe aver sborsato fino a 31 miliardi di euro in più rispetto al costo stimato per la produzione dei vaccini a mRNA, come Pfizer e Moderna, cioè circa un dollaro e 18 centesimi a dose.
Non solo. Moderna e Pfizer hanno da poco annunciato ai loro investitori di voler aumentare il costo, portando la tariffa a 100-120 dollari a dose, a fronte dei circa 20 attuali. Un modus operandi “senza senso – sottolinea Florio –, dato che anche gli investitori privati in genere pongono delle condizioni alle imprese su cui investono”. La situazione è ancor più paradossale tenendo conto che lo sviluppo di vaccini efficaci per una malattia nuova in così poco tempo è stato un “risultato straordinario” reso possibile “solo grazie a due decenni di ricerca di base”.
La ricerca non ha esaminato i profitti di Big Pharma ma è possibile averne un'idea attraverso i risultati finanziari pubblicati dalle aziende. Un esempio: a marzo 2022 Moderna, che al di fuori del vaccino non ha altri prodotti sul mercato, ha dichiarato di aver realizzato nel solo 2021 18 miliardi di dollari profitti, 13 esentasse: 36 milioni al giorno.
Nonostante il decisivo contributo statale, i governi non hanno avuto alcun potere decisionale sulla distribuzione dei vaccini né tantomeno sul loro prezzo
Per Florio, l'ingiustizia è stata duplice. Prima di tutto, il meccanismo ha creato nuove disuguaglianze sociali. “Le tasse versate dal contribuente medio sono finite nelle tasche degli azionisti di queste società. Un piccolo gruppo di persone che nel giro di pochi mesi è balzato ai vertici della classifica dei più ricchi del mondo”, dice. Sempre People’s vaccine alliance ha calcolato che la pandemia ha creato nove nuovi miliardari, con un patrimonio complessivo di 19,3 miliardi di dollari: abbastanza per vaccinare tutta la popolazione dei paesi in via di sviluppo 1,3 volte. Inoltre, otto miliardari già esistenti, con importanti partecipazioni azionarie nelle case farmaceutiche produttrici dei vaccini anti-Covid, hanno visto il loro patrimonio crescere di 32,2 miliardi di dollari in totale.
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Ma l’aspetto più grave, secondo l’economista, “è l’esserci privati di risorse che avrebbero potuto potenziare i sistemi sanitari pubblici europei per un decennio e un buon sistema sanitario nazionale è un importante indicatore di equità sociale”.
Lo studio conclude che il supporto pubblico ai vaccini è fondamentale, e non deve venir meno, ma è importante non ripetere gli stessi errori nel prossimo futuro. Le strategie da adottare nel breve e nel lungo periodo proposte dai ricercatori sono tre. Nell’immediato, è necessario che i legislatori europei fissino delle linee guida su come gestire l'acquisto dei farmaci. Un’altra priorità è riformare Hera, l’autorità che la commissione europea ha istituito nel 2021 per far fronte alle emergenze sanitarie per renderla più efficace e trasparente. Al momento, prosegue Florio, quest’autorità (che è attiva dallo scorso anno con un budget di circa un miliardo di euro l'anno) si limita a stipulare contratti di acquisto con le case farmaceutiche, in maniera non trasparente e sulla base di criteri sconosciuti. Sembra che da due anni di pandemia non si sia imparato nulla”.
"Basterebbe che i governi si mettessero d’accordo per registrare il brevetto dei vaccini nell’interesse pubblico per evitare i profitti ingiustificati a cui, invece, continuiamo ad assistere" Massimo Florio - economista
Più a lungo termine gli studiosi chiedono l’istituzione di un’infrastruttura paneuropea per la ricerca e lo sviluppo del cosiddetto ultimo miglio, cioè quella che precede la registrazione dei farmaci, nell’interesse pubblico. Infine, andrebbe predisposta la fornitura di medicinali in determinati settori critici. “Basterebbe – conclude Florio – che i governi si mettessero d’accordo per registrare il brevetto dei vaccini nell’interesse pubblico per evitare i profitti ingiustificati a cui, invece, continuiamo ad assistere. La produzione e la distribuzione del farmaco potrebbe poi essere affidata a società esterne attraverso gare d’appalto. In questo modo, riusciremmo a mantenere sotto controllo pubblico la proprietà intellettuale e le decisioni strategiche su tutto il ciclo dell’innovazione biomedica”.
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