Matteo Salvini. Foto: Parlamento europeo
Matteo Salvini. Foto: Parlamento europeo

Codice appalti, la criminalità ringrazia

La riforma voluta dal ministro Matteo Salvini – che prevede l'affidamento diretto e la liberalizzazione dei subappalti a cascata – rischia di incrementare corruzione e malaffare, azzerando la trasparenza

Alberto Vannucci

Alberto VannucciProfessore di Scienza politica, Università di Pisa

Aggiornato il giorno 12 maggio 2023

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"È una grande delusione popolare che il governo sprechi tante risorse a causa di inefficienza e inerzia. Occorrono sforzi enormi e un’accurata pianificazione per riuscire a sperperare tanto denaro". La satira di O’Rourke, giornalista americano, ben si applica alle storture italiane degli appalti, quando lo Stato si fa acquirente e apre i rubinetti della spesa pubblica. Da sempre i funzionari che li gestiscono operano in un campo minato, un dedalo dove diventa difficile orientarsi tra procedure contorte nell’applicazione, mutevoli nei contenuti, ambigue nell’interpretazione. Tanti i rischi professionali per i decisori, poche le gratificazioni, molte le tentazioni nell’apparecchiare una tavola imbandita per quasi 196,4 miliardi nel 2021, dove gli appetiti in gioco non sono solo quelli fisiologici degli imprenditori qualificati, ma anche quelli di impresari improvvisati, aspiranti corruttori, faccendieri, prestanome di mafiosi.

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Uno scenario dominato da lentezze, sprechi e abusi cui da decenni si è cercato di sopperire con una produzione bulimica di nuove norme, quasi sempre toppe peggiori del buco. La gestione degli appalti pubblici rappresenta da sempre l’eldorado dell’italica corruzione, disciplinato da regole ferree note agli addetti ai lavori, occasionalmente sancite dalla mano mafiosa nella loro osservanza. In questo contesto è giunta l’ennesima rivoluzione copernicana, una controriforma che almeno lascia le impronte digitali sulla scena dei probabili crimini futuri: il codice Salvini, dal cognome del ministro che orgogliosamente se n’è intestato la paternità. In un’esaltazione para-futuristica di velocità e dinamismo decisionista, applicati alla vischiosa burocrazia degli appalti, il 96,3 per cento dei contratti sarà assegnato senza bando né gara, azzerando così trasparenza e competizione tra imprenditori nell’aggiudicazione.

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Con soglie diverse – dai 5,3 milioni di euro dei lavori pubblici ai 140mila degli incarichi – i funzionari potranno procedere per affidamento diretto o con consultazione informale di cinque o dieci operatori economici. Ma non basta: liberalizzazione dei subappalti a cascata; indebolimento dei vincoli sui conflitti di interessi; generalizzazione dell’appalto integrato, che delega al privato tutte le funzioni di progettazione ed esecuzione; individuazione governativa di grandi opere strategiche, ulteriormente semplificate nell’aggiudicazione. Una sorta di normalizzazione della straordinarietà, che da un lato può alimentare irresponsabilità e contenzioso, dall’altro attivare i latenti circuiti criminali dei potenti. L’accelerazione forzata, senza un sistema frenante di controlli efficaci, rischia seriamente di far andare a sbattere l’ingrippata macchina amministrativa.

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