Aggiornato il giorno 12 maggio 2023
"Apolitici e interessati solo ai soldi". Così il gruppo di cybercriminali LockBit si presenta sul proprio blog ai potenziali affiliati. È il segreto del successo di questa gang che in pochi anni è riuscita a dominare l’impero di una delle minacce informatiche più comuni e remunerative, i ransomware: malware – software malevoli – che rendono inaccessibili i dati dei computer infettati e richiedono il pagamento di un riscatto per ripristinarli e non diffonderli.
Gang che in pochi anni è riuscita a dominare l'impero dei ransomware
Nata nel 2019 e partita un po’ in sordina, LockBit ha guadagnato una solida reputazione tra i cybercriminali, trattando i ransomware come un business qualsiasi. Lo scorso novembre il dipartimento di giustizia statunitense ha dichiarato che il loro malware è stato usato nel mondo contro almeno 1.000 vittime. Anche in Italia il gruppo "è tra i più attivi", dice Riccardo Croce, direttore del Centro nazionale anticrimine informatico delle infrastrutture critiche (Cnaipic), aggiungendo che legati ai suoi attacchi "sono tutt’ora aperti circa 50 procedimenti penali". Fondamentale all’ascesa è stata l’attenzione, quasi maniacale, che la gang ha dedicato ad alimentare il proprio brand e a reclutare nuovi talenti.
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A fare davvero la differenza, però, la scelta di adottare il modello economico del ransomware as-a-service, cioè come servizio: in pratica, LockBit affitta il proprio malware agli affiliati, fornendo ogni supporto tecnico necessario per penetrare nei sistemi informatici delle imprese e poi chiedere il riscatto. In cambio, trattiene il 20 per cento: se la vittima rifiuta di pagare, pubblica i dati ottenuti sul proprio blog.
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