Genova, luglio 2001. Un giovane manifestante al G8 fermato dai carabinieri Ansa/Reuters/Peter Andrews
Genova, luglio 2001. Un giovane manifestante al G8 fermato dai carabinieri Ansa/Reuters/Peter Andrews

Genova, il G8 e il fallimento di una generazione

Il romanzo di Francesco Pecoraro "Solo vera è l'estate" si colloca nei giorni del G8 e racconta le vicende di tre ragazzi trentenni, raggiunti al mare da un'amica fuggita dal massacro di Genova che si fa vettore della concretezza di un'età adulta definitivamente fallita

Livio Santoro

Livio SantoroScrittore

20 luglio 2023

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Per molti italiani nati a cavallo degli anni Settanta e Ottanta del Novecento, l’evento che forse più di altri ha fatto da spartiacque in termini biografici, ponendosi come una netta cesura tra le aspettative della giovinezza e l’età matura, è stato il G8 di Genova del luglio 2001, quando l’allora governo Berlusconi II, eletto da poco più di un mese, ospitò nella città ligure i premier dei paesi più industrializzati del mondo. 

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Nell’occasione, un concetto su tutti fu chiaro fin da subito: l’evento era affare esclusivo degli uomini di comando e la città doveva dunque adattarsi, tanto che venne recintata un’estesa e inviolabile zona rossa presidiata manu militari, corrispondente a buona parte del centro urbano. D’altronde si veniva dai recenti summit internazionali di Napoli e Göteborg, in cui le manifestazioni di opposizione non si svolsero in aria di pace, tutt’altro.

Oggi, nella memoria collettiva, di quel G8 non è rimasto alcun risultato politico, non gli accordi presi o le discussioni fatte in sede intergovernativa. Piuttosto ricordiamo tutti, chi era a Genova e chi no (come chi scrive), quanto avvenne per le strade, dove un’estesa e varia moltitudine di persone, singoli soggetti, realtà della società civile e dell’associazionismo, dell’ambito religioso, della scuola e del mondo del lavoro, sfilò per manifestare il proprio dissenso al modello neoliberista a cui quel meeting internazionale, come i precedenti e successivi, era assoggettato. 

Di quel G8 non è rimasto alcun risultato politico, piuttosto ricordiamo tutti quanto avvenne per le strade di Genova

Alla chiusura degli spazi in cui si tenne la discussione tra i “grandi del mondo” fece allora da contraltare l’estrema apertura di un movimento fortemente inclusivo – secondo alcuni immaturo e confuso – che si faceva promotore di un modello di sviluppo alternativo, della giustizia sociale e ambientale, dell’emancipazione dalla primazia del dato economico. E tra gli obiettivi contingenti che lo mossero verso il G8 di Genova c’era la violazione, seppure soltanto simbolica, della zona rossa di cui sopra: la voce di quel movimento voleva a tutti i costi farsi ascoltare.

Giorni di sorprusi e sangue

La copertina del romanzo "Solo vera è l'estate" di Francesco Pecoraro
La copertina del romanzo "Solo vera è l'estate" di Francesco Pecoraro

Sappiamo bene, tuttavia, come andò a finire: furono giorni di sangue e di guerriglia, di infiltrazioni di polizia tra le file dei manifestanti, di provocazioni, di devastazione, di criminalizzazione del dissenso. Giorni di caccia all’uomo e di eccessi coercitivi legittimati dalla divisa. Giorni di morte. Lo Stato italiano mostrò nell’occasione il suo lato più nero, oscuro, recuperando metodi e strategie di repressione dal proprio passato autoritario e non facendo nulla per nascondere la sua voglia di muovere violenza in pompa magna.

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È proprio nei giorni in cui avvengono i fatti di Genova del luglio 2001 che Francesco Pecoraro (1945) colloca il suo nuovo romanzo Solo vera è l’estate, edito di recente da Ponte alle Grazie. Un libro in cui, ragionando sul sentire della generazione che in maniera più o meno attiva, da vicino o da lontano, partecipò al dissenso da una posizione biografica di privilegio, si cerca di fare i conti con quella brutta pagina della storia italiana, seppure di riflesso. 

Nella maggior parte delle pagine del romanzo, che recupera il titolo da un verso di Vittorio Sereni, siamo infatti tra quel “mostro millenario che chiamiamo Roma” e alcune località del litorale laziale, dove tre amici poco più che trentenni, ex compagni di un liceo piuttosto politicizzato della Capitale e ora lavoratori più o meno insoddisfatti – un aspirante ricercatore, un grafico-artista e un meccanico di bici – cercano di occupare il tempo nell’indolenza di un fine settimana d’estate ormai piena: stagione identitaria, l’unica “che i catto-mediterranei ritengono valga la pena di vivere, eventualmente soffrendo, ma di una sofferenza che è anche piacere”.

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I tre sono giovani uomini avviati tuttavia verso la disillusione, rinchiusi in quella fase della vita in cui i rappresentanti del ceto medio-alto a vocazione intellettuale ed etica borghese, tradizionalmente ma stancamente a sinistra, sono chiamati a fare definitivamente i conti con il proprio futuro a partire da un presente di agi familiari ancora garantiti.

La concretezza della vita adulta

Legati da una profonda amicizia e da un’intensa solidarietà, Giacomo, Enzo e Filippo, questi i loro nomi, nelle economie narrative del romanzo rispondono anche a un identificativo collettivo: Gef, acronimo con cui vengono chiamati dall’unica donna del gruppo, Biba, compagna di vita di uno dei tre e al contempo amante degli altri, ago della bilancia nell’equilibrio di amicizia, amore e sesso, non detti e mezze verità, che caratterizza il gruppo intero. 

Mentre Gef si trascina stancamente nella liturgia di una festa frivola e insoddisfacente in una “seconda casa” sul litorale laziale, è lei, Biba, a vivere in prima persona, anche se quasi casualmente, i fatti di Genova. Ed è lei, fuggita a gambe levate dal massacro, a portarne poi una diretta testimonianza ai tre, interrompendo in riva al mare i loro stanchi momenti di recriminazioni e chiacchiere amichevoli, di querule lamentazioni e insoddisfacenti svaghi di ordine sociale. È lei, in sostanza, a farsi vettore della concretezza di un’età adulta definitivamente fallita, quantomeno negli imperativi morali che caratterizzano la giovinezza e che poi lasciano spazio alle contingenze della vita, alla necessità della sussistenza e della realizzazione personale.

Mentre i tre ragazzi si trascinano stancamente nella liturgia di una festa frivola e insoddisfacente in una “seconda casa” sul litorale laziale, è lei, Biba, a vivere in prima persona, anche se quasi casualmente, i fatti di Genova

Seguiamo le vicende dei quattro grazie a un narratore onnisciente che dichiaratamente scrive dall’oggi, non nascondendo su quei tempi una postura retrospettiva, uno sguardo con cui vivere a ritroso la memoria del presente a partire dell’attualità disincantata. Lungi dal tenersi distaccata da quanto va raccontando, la voce narrante è infatti a tutti gli effetti un personaggio coinvolto nei fatti: entra nella narrazione con dichiarazioni dirette, si lascia andare a commenti, memorie, si profonde in numerosi incisi e riflessioni che deviano a tratti dal filone narrativo principale restando tuttavia sempre coerente, per dar vita in tal modo a una forma ibrida che al romanzo giustappone il memoir, il commento, il saggio narrativo, tramite una procedura che sovrappone e mescola i piani della rappresentazione. 

Un modo di fare letteratura che a ben vedere il libro sembra avere in comune con un altro testo di recente pubblicazione, opera di un concittadino di Pecoraro: stiamo parlando del
Diario di un’estate marziana di Tommaso Pincio (1963), edito da Giulio Perrone Editore pochi mesi prima che Solo vera è l’estate vedesse le stampe.

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Curiosamente, anche in questo caso siamo a Roma, e anche in questo caso l’autore mescola il suo ricordo e la sua riflessione con la trama narrata (che segue alcune vicende biografiche di Ennio Flaiano). E anche in questo caso è l’estate (vera e fittizia) a farla da padrone, a partire dal titolo fino alla conclusione in cui viene chiamato in causa proprio Francesco Pecoraro, che Pincio annovera “tra chi pensa che si viva realmente solo d’estate”, “un’utopia prima ancora che una stagione”. 
E in fin dei conti, al di là di Genova e di Roma, al di là delle agrodolci riflessioni su una generazione fallita e forse incapace di resistere alla prova del mondo, di questo mondo, quello di Pecoraro è un libro che parla prima di tutto dell’estate, giovane ma ricorsiva utopia.

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