"Non collaborerò mai". Matteo Messina Denaro è morto e porta nella tomba i suoi segreti

Il boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro è morto nella notte all'ospedale dell'Aquila. Arrestato nel gennaio scorso, era malato di tumore al colon. "Non collaborerò mai", aveva detto agli inquirenti

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

25 settembre 2023

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Matteo Messina Denaro, boss di Cosa nostra, è morto nella notte tra domenica 24 e lunedì 25 settembre all'ospedale dell'Aquila. Nato a Castelvetrano (Trapani) il  26 aprile 1962, aveva 61 anni. Arrestato il 16 gennaio 2023 nella clinica Maddalena di Palermo, il boss era da tempo malato di cancro al colon. Dopo la cattura, era stato trasportato al carcere di massima sicurezza del capoluogo abruzzese, dov’era stata allestita un’infermeria accanto alla sua cella, per poi essere trasferito – l'8 agosto scorso – all'ospedale San Salvatore, in un reparto molto sorvegliato.

Col suo testamento biologico Messina Denaro aveva rifiutato l’accanimento terapeutico e i medici hanno rispettato la sua volontà staccando i macchinari e interrompendo l’alimentazione, ma non l’idratazione. Il boss ha anche rifiutato cerimonie religiose e sarà sepolto nella tomba di famiglia dove già riposa il padre, Francesco Messina Denaro, morto da latitante nel 1998. Con sé Matteo porterà anche molti segreti sulla stragi di mafia del 1992 e del 1993, ma anche sulle complicità politiche e istituzionali che hanno permesso al mafioso di vivere da latitante per quasi trent’anni. Al momento dell’arresto, Messina Denaro ha detto al procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia: “Con voi parlo, ma non collaborerò mai”.

Nei giorni in cui le sue condizioni di salute si sono aggravate la figlia Lorenza Alagna, che il mafioso aveva spesso criticato nei suoi pizzini, ha deciso di incontrare il padre mai visto e di adottare il suo cognome. Oltre a lei, nell’ospedale aquilano sono andate anche la nipote Lorenza Guttadauro, tutore legale di Matteo Messina Denaro, e la sorella Giovanna, impegnate a informare i parenti a Castelvetrano, dove vivono ancora la l’anziana madre Lorenza Santangelo e dalla sorella Bice. Un’altra sorella, Rosalia detta Rosetta, è invece agli arresti in carcere per aver favorito materialmente la sua latitanza e per essere stata il tramite tra il boss e i suoi contatti.

 "La morte non può cancellare la responsabilità di quella violenza – ha detto don Luigi Ciotti, fondatore di Libera –. Oggi che lui se n’è andato, di fronte alla morte ciascuno si ferma, ma la morte non può cancellare le responsabilità di quella violenza, di quei crimini, di quelle centinaia di persone che sono state spazzate via".

Fiancheggiatori di Messina Denaro, caccia ancora aperta

L'arresto di Matteo Messina Denaro

Il boss latitante di Cosa nostra, ultimo protagonista ancora in libertà della stagione delle stragi di mafia, era stato arrestato la mattina del 16 gennaio 2023 dai carabinieri alla clinica privata Maddalena, nel centro di Palermo, dove aveva in programma un controllo. Lì lo hanno aspettato i militari del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dell'Arma che sono arrivati a lui dopo aver trovato, nel dicembre prima, un pizzino nascosto nella gamba di una sedia della casa di Rosalia Messina Denaro. Il foglietto era un appunto sullo stato della malattia, sui controlli e sulle cure di una persona. 

"Le mafie non sono riducibili ai loro 'capi', non lo sono mai state e oggi lo sono ancora di meno", aveva ammonito Ciotti, sottolineando come le mafie siano diventate "organizzazioni reticolari in grado di sopperire alla singola mancanza attraverso la forza del sistema". Proseguendo il ragionamento, il fondatore del Gruppo Abele e di Libera aveva anche aggiunto: "Dobbiamo augurarci che all’arresto segua una piena confessione e collaborazione con la magistratura, augurarci che il boss di Cosa nostra sveli le tante verità nascoste, a cominciare da quelle che hanno reso possibile la sua trentennale latitanza: non si sfugge alla cattura per trent’anni se non grazie a coperture su più livelli. Occorre che queste complicità emergano, anche perché solo così tanti famigliari delle vittime di mafie che attendono giustizia e verità avrebbero parziale risarcimento al loro lungo e intollerabile strazio".

Ciotti: "Felici per l'arresto, ma non riduciamo le mafie ai loro capi"

Nel corso della conferenza stampa dopo l'arresto, Vincenzo Agostino, padre di Nino Agostino, l’agente di polizia ucciso il 5 agosto 1989, aveva rivolto una domanda a magistrati e ufficiali dei carabinieri: “Si può fare finalmente luce sulle morti?”. “Cercheremo in tutti i modi di dare una risposta ai parenti delle vittime di mafia”, ha promesso il procuratore capo Maurizio De Lucia, ricordando che “la mafia non è sconfitta”.

Mafia, stragi e omicidi. Le condanne di Messina Denaro

Nel casellario giudiziario di Messina Denaro figurano quattro condanne per associazione mafiosa e diversi omicidi, come quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, ucciso a 14 anni e sciolto nell'acido perché figlio del pentito Santino Di Matteo: "Non sono un santo, ma con l'omicidio del bambino non c'entro", è una delle poche informazioni riferite nel corso degli interrogatori.

Il boss era inoltre imputato in un processo sulle stragi di Capaci e via D'Amelio, accusato di essere uno dei mandanti. In primo grado era stato condannato all'ergastolo dalla Corte d’assise di Caltanissetta. Il processo d’appello è in corso e il 27 ottobre scorso il procuratore generale Antonino Patti ha chiesto la conferma della pena. “L'imputato entrò a far parte di un organismo riservato direttamente alle dipendenze di Totò Riina, il gruppo denominato la ‘Super cosa’”. Tra lui e Riina “c’era un totale e reciproco rapporto di fiducia”, un rapporto “iniziato negli anni Ottanta non ha mai avuto avuto alcun momento di attrito o incrinatura. Anche dopo le stragi Matteo Messina Denaro, dopo che Riina venne arrestato, continuò a esercitare la sua egemonia”. E questo nonostante la sua giovane età: “Era incensurato, sconosciuto alle forze dell'ordine – diventerà latitante soltanto il 2 giugno del '93 – e in quel momento libero di muoversi. Matteo era capace a livello criminale e Riina capì che la pasta era quella giusta”.

Chi sono i complici di Messina Denaro

Per moltissimi anni magistratura e forze di polizia hanno dato la caccia al latitante e per prenderlo hanno tentato di fare terra bruciata intorno al boss arrestando i suoi fiancheggiatori: sono stati 140 gli arresti dal 2011, secondo l’Ansa. Molti imprenditori hanno subito arresti e confische patrimoniali perché sospettati di aver finanziato la latitanza di Matteo Messina Denaro (guarda qui l'infografica). Nel dicembre 2022 era finito in carcere, dopo una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, l'ex parlamentare ed ex sottosegretario all'Interno Antonio D'Alì, politico di Forza Italia. Dopo l'arresto di Messina Denaro nel gennaio scorso, i carabinieri hanno smantellato la rete di fiancheggiatori che hanno agevolato la sua latitanza.

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