16 gennaio 2023
Abbiamo appena ricordato il trentesimo anniversario dell’arresto di Totò Riina, detto “il capo dei capi”, avvenuto il 15 gennaio del 1993, e oggi ci arriva la bella e confortante notizia dell’arresto, dopo trent’anni di latitanza, di Matteo Messina Denaro, suo “delfino” e designato successore alla guida di Cosa nostra. Ciò che però un po’ preoccupa è rivedere le stesse scene e reazioni di trent’anni fa: il clima di generale esultanza, l’unanime plauso dei politici, le congratulazioni e le dichiarazioni che parlano di “grande giorno”, di “vittoria della legalità” e via dicendo.
Lo ripeto: è una notizia di cui essere felici ed è giusto, anzi doveroso, il riconoscimento alle forze di polizia e alla procura, che per tanti anni, con sforzo e impegno incessanti, anche a costo di sacrifici, hanno inseguito il latitante. Ma non vorrei si ripetessero pure gli errori commessi in seguito alla cattura di Riina.
Messina Denaro ha traghettato Cosa nostra dal modello militare e "stragista" a quello attuale, imprenditoriale e tecnologico, capace di dominare attraverso la corruzioneLuigi Ciotti
Le mafie non sono riducibili ai loro “capi”, non lo sono mai state e oggi lo sono ancora di meno, essendosi sviluppate in organizzazioni reticolari in grado di sopperire alla singola mancanza attraverso la forza del sistema. Sviluppo di cui proprio Matteo Messina Denaro è stato promotore e protagonista, traghettando Cosa nostra dal modello militare e “stragista” di Riina a quello attuale, imprenditoriale e tecnologico capace di dominare attraverso la corruzione e il “cyber crime”, riducendo al minimo l’uso delle armi. Una mafia che ha costruito un sistema parallelo a quello dello Stato e che in molti casi – come è emerso con forza durante la pandemia – ha garantito quei servizi che lo Stato ha dovuto sospendere o ha sempre offerto a singhiozzo.
Queste sono le mafie, oggi. Senza contare che Cosa nostra non ha più da tempo quella posizione preminente tra le organizzazioni criminali che occupava negli anni Novanta, scalzata in Italia e nel mondo dalla ‘ndrangheta, mafia che per prima ha compreso la necessità di svilupparsi come rete insediandosi nelle infinite “zone grigie” della cosiddetta economia di mercato, sistema globale che ha come unica etica quella del profitto a tutti i costi, del capitale accumulato anche a disprezzo di quello umano.
È questa, la latitanza della politica indirettamente complice di quella di Messina Denaro: la mancata costruzione, in Italia come nel mondo, di un modello sociale e economico fondato sui diritti fondamentali – la casa, il lavoro, la scuola, l’assistenza sanitaria – modello antitetico a quello predatorio che produce ingiustizie, disuguaglianze e vuoti di democrazia che sono per le mafie di tutto il mondo occasioni di profitto e di potere.
Non dobbiamo dimenticarci di tutto questo, nella giusta esultanza per l’arresto di Messina Denaro. Come dobbiamo augurarci che all’arresto segua una piena confessione e collaborazione con la magistratura, augurarci che il boss di Cosa nostra sveli le tante verità nascoste, a cominciare da quelle che hanno reso possibile la sua trentennale latitanza: non si sfugge alla cattura per trent’anni se non grazie a coperture su più livelli (leggi l'articolo e guarda la mappa). Occorre che queste complicità emergano, anche perché solo così tanti famigliari delle vittime di mafie che attendono giustizia e verità avrebbero parziale risarcimento al loro lungo e intollerabile strazio.
Dunque esultiamo pure per la cattura di Messina Denaro ma nella consapevolezza che l’arresto di oggi non è la conclusione ma l’inizio di un lungo percorso, di una lotta per sconfiggere le mafie fuori e dentro di noi.
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