Aggiornato il giorno 5 dicembre 2023
“C’è un lavoro da enigmista in cui noi non siamo avvantaggiati perché non conosciamo le vite di tutti”. Lucio Arcidiacono è il colonnello del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dei carabinieri che la mattina del 16 gennaio 2023 a Palermo ha arrestato Matteo Messina Denaro dopo trent'anni di latitanza. Quella cattura non è stata certamente la fine del lavoro di investigatori e magistrati, anzi da quel giorno è scattata una ricerca frenetica per capire chi ha permesso all’ultimo boss stragista di Cosa nostra di rimanere in libertà così a lungo.
Matteo Messina Denaro, così è stato arrestato
“C’è un lavoro da enigmista in cui noi non siamo avvantaggiati perché non conosciamo le vite di tutti”Colonnello Lucio Arcidiacono - Comandante del Ros dei Carabinieri di Palermo
Le ricerca di Matteo Messina Denaro ha avuto una svolta il 6 dicembre 2022, quando alcuni carabinieri del Ros hanno fatto un ritrovamento quasi fortuito, ma la fortuna aiuta gli audaci. Da tempo gli investigatori monitoravano uno dei pochi parenti stretti del boss ancora in libertà, Rosalia Messina Denaro, detta Rosetta, la più grande delle quattro sorelle. In alcune stanze della sua casa erano state installate delle microspie, ma non bastavano. “Avevamo visto che lei, quando era in compagnia di altre persone, si spostava in altri locali – diversi da quelli monitorati – per parlare”, spiega Arcidiacono. Il 6 dicembre, quindi, i militari sono entrati in casa, alla ricerca di un posto in cui nascondere la “cimice” in una delle stanza non sotto controllo. Pensano di metterla nelle gambe cave di una sedia, ma all’interno trovano un foglio scritto a mano che riporta informazioni sanitarie e date, con la progressione della malattia e le cure di una persona.
Da tempo, anche grazie ad alcune indagini precedenti, gli investigatori avevano ipotizzato che Messina Denaro fosse malato e quella sembrava la conferma: tumore del sigma, tumore del fegato e ipertensione. I Ros hanno fotografato il biglietto, lo hanno rimesso al suo posto e nascosto la microspia in un altro luogo. Dagli accertamenti sui database del sistema sanitario, poi, sono riusciti a individuare un uomo che aveva subito quelle operazioni nei giorni indicati, Andrea Bonafede classe 1963, che aveva prenotato una visita alla clinica Maddalena di Palermo per il 16 gennaio, giorno in cui la struttura viene presidiata nella speranza di trovare Messina Denaro. E così è stato.
I complici di Messina Denaro non erano insospettabili
Andrea Bonafede, il prestanome del latitante
Alfonso Tumbarello il medico, e Andrea Bonafede il postino
Rosalia Messina Denaro, sorella, cassiera e messaggera
Emanuele Bonafede e Lorena Ninfa Lancieri, i vivandieri
Laura Bonafede, l’amante, e Martina Gentile, la figlia putativa
I prossimi? Indagini sui finanziatori
I livelli superiori
Da allora, sulla base delle scoperte investigative, sono stati fatti altri arresti. Tra i nomi, alcune persone mai indagate prima, e altre che sono state coinvolte nelle inchieste che per anni hanno tentato di fare il vuoto intorno al latitante, senza mai arrivare all’obiettivo. Molte di loro appartengono alla famiglia di Leonardo Bonafede, boss di Campobello di Mazara, legato a Francesco Messina Denaro, padre di Matteo e boss di Castelvetrano: “Si mette a piangere se parla di lui, una persona di 80 anni che si mette a piangere”, diceva di lui Lorenzo Cimarosa, parente dei Messina Denaro e autore di una serie di rivelazioni sul clan. “Quel che disorienta è che in tutto questo lunghissimo arco temporale la tutela della latitanza di Messina Denaro è stata affidata, non a soggetti sconosciuti ed inimmaginabili bensì a un soggetto conosciutissimo dalle forze dell'ordine e cioè a quel Leonardo Bonafede da sempre ben noto, oltre che come reggente della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, soprattutto per la sua trascorsa frequentazione e amicizia con il padre di Messina Denaro”, ha stigmatizzato il gip Alfredo Montalto chiedendosi come il latitante sia potuto sfuggire alla cattura per trent’anni nonostante frequentasse luoghi battuti palmo a palmo dagli inquirenti.
Insieme a Messina Denaro, il 16 gennaio i carabinieri hanno arrestato Giovanni Salvatore Luppino, imprenditore e autista del boss accusato di favoreggiamento. Insieme a lui sono stati indagati anche i figli Vincenzo e Antonio. Pochi giorni dopo sono stati indagati per favoreggiamento un’ex amante, Maria Mesi, e il fratello Francesco, già condannati nei primi anni Duemila per lo stesso reato. La ricerca era soltanto agli inizi.
Trapani. Dove domina (il) Denaro
Il 23 gennaio 2023 finisce in manette Andrea Bonafede, nato nel 1963, il prestanome. Per lui l’accusa è di associazione mafiosa. Appartiene a una famiglia mafiosa di Campobello di Mazara ed è nipote (figlio del fratello) del boss Leonardo Bonafede. Messina Denaro “non avrebbe potuto rivolgersi ad altri che ad una persona pienamente inserita nel contesto associativo”, scrive la procura di Palermo. “Solo un associato che godeva della totale fiducia del latitante poteva infatti essere incaricato di compiti di tale delicatezza, specialmente in considerazione della pressante esigenza, da parte di Matteo Messina Denaro, di sottoporsi a terapie mediche di particolare rilevanza”. Così Bonafede cede al boss di Castelvetrano la carta d’identità su cui viene messa la foto del latitante, la tessera sanitaria e quindi anche il codice fiscale. Inoltre mette a sua disposizione due automobili. È sempre lui a occuparsi dell’acquisto dell’appartamento di Campobello di Mazara.
Dopo l’arresto del boss, Bonafede ha detto di aver conosciuto quell’uomo per caso, soltanto nel 2022, ma la sua carta d’identità era stata utilizzata forse almeno in occasione del primo intervento chirurgico subìto il 13 novembre 2020.
Non solo cure e prescrizioni di farmaci ed esami, il medico ha garantito a Messina Denaro “la riservatezza sulla sua reale identità”
Il 7 febbraio 2023 i carabinieri arrestano Alfonso Tumbarello, 70 anni, medico di base a Campobello di Mazara andato in pensione pochi mesi fa. L’accusa nei suoi confronti è di concorso esterno in associazione mafiosa e falso in atto pubblico. Le sue prestazioni, sostiene la procura, “sono state indispensabili nel corso degli ultimi due anni per consentire al latitante di essere curato e assistito dalle diverse strutture sanitarie pubbliche che lo hanno preso in carico, oltreché per ottenere i farmaci”. Ha firmato almeno 95 ricette per la somministrazione di farmaci e almeno 42 per analisi ed esami diagnostici, tutti formalmente prescritti al prestanome, Andrea Bonafede. Tumbarello non ha fornito soltanto cure e prescrizioni, ma soprattutto “la riservatezza sulla sua reale identità”, rilevano i pm, perché “si può con certezza affermarsi che il dottor Tumbarello, in un contesto ristretto come quello di Campobello di Mazara ben sapeva che il Bonafede non aveva alcune delle gravissime patologie diagnosticate e che dunque il malato non era il suo assistito”.
Secondo il gip, la sua condotta non può essere giustificata dall’“obbligo di prestare cura ed assistenza a chiunque ne abbia bisogno”, perché intendeva invece “costituire consapevolmente uno ‘schermo’ che consentisse al medesimo (Messina Denaro, ndr) di non essere individuato”.
Una riservatezza garantita anche da chi andava a ritirare le richieste del medico, Andrea Bonafede, classe 1969, dipendente del comune di Campobello di Mazara, cugino e omonimo del geometra che ha prestato l'identità al boss. Nei suoi confronti la procura ha già chiesto il giudizio immediato per favoreggiamento e procurata inosservanza di pena e lui ha optato per il processo con il rito abbreviato (che consente lo sconto di un terzo della pena).
La figura di Tumbarello era emersa nel corso di un altro procedimento in cui non era indagato. L’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, nell’ambito di un’operazione dei servizi segreti finalizzata alla cattura del boss, aveva instaurato una corrispondenza col latitante tramite il fratello Salvatore Messina Denaro, convocato per questa ragione nello studio medico per conto del politico: “Sono stato io a chiedere al dottore Tumbarello di poter incontrare Messina Denaro Salvatore perché era suo assistito”, aveva detto testimoniando in un processo del 2012 a Marsala.
Matteo Messina Denaro, la rete di imprenditori intorno all'ultimo boss
"Donna di origini e tradizioni tutte ispirate da una ortodossa e granitica cultura mafiosa"
Il 3 marzo Rosalia Messina Denaro è finita in carcere. Primogenita di Francesco Messina Denaro, viene descritta dai pm “come donna di origini e tradizioni tutte ispirate da una ortodossa e granitica cultura mafiosa, a cominciare dal matrimonio con l’uomo d'onore Guttadauro Filippo”. È indagata per associazione a delinquere di stampo mafioso anche se non ha avuto “una formale affiliazione” attraverso riti e cerimonie, anche perché “non sarebbe consentita dalle ‘regole’ del sodalizio” che “escludono le persone di sesso femminile”. Si tratta di una partecipazione concreta: era “referente per tutti gli affari di famiglia”, “garante per l'intera Cosa nostra della sopravvivenza del suo unico grande capo allora ancora latitante”. Gestiva le comunicazioni tra il fratello latitante e le altre persone, e controllava la “cassa”.
Il suo era un ruolo “non certo occasionale, ma certamente strutturato”. Sembra anzi “in assoluta continuità con quelli rivestiti nel tempo almeno da due (Salvatore e Patrizia, da tempo in carcere, ndr) dei cinque fratelli del latitante, oltre che dai cognati”: Filippo Guttadauro, Vincenzo Panicola, Rosario Allegra e Gaspare Como, “tutti tratti in arresto nel corso degli ultimi anni”.
Inoltre gestiva la “cassa”, cioè la riserva di denaro alimentata dai proventi illeciti in contanti, di cui una parte andava al fratello latitante.
Da ricordare inoltre che la figlia di Rosalia Messina Denaro e Filippo, Lorenza Guttadauro, era stata nominata difensore di fiducia dal boss, incarico mantenuto fino all’inizio di marzo. In seguito, alcuni legali d’ufficio hanno rinunciato al mandato, a volte per le minacce ricevute.
Chi custodiva Matteo Messina Denaro? Chi si prendeva cura delle sue esigenze quotidiane, ospitandolo e dandogli da mangiare? Secondo quanto emerso nel corso delle indagini, erano Emanuele Bonafede e Lorena Ninfa Lanceri, i suoi “vivandieri”, arrestati il 16 marzo scorso per favoreggiamento e procurata inosservanza della pena. La donna aveva anche un altro compito. Era il “tramite” (così la definiva Messina Denaro nei pizzini) tra lui e la presunta amante del boss, Laura Bonafede. Nello stesso giorno altre tre persone indagate per le stesse ipotesi – l'imprenditore agricolo Gaspare Ottaviano Accardi, della moglie, Dorotea Alfano e di Leonarda Indelicato – hanno subito perquisizioni.
La coppia Bonafede-Lancieri ospitava Matteo Messina Denaro nella loro casa a Campobello di Mazara, “una ospitalità che ha senza dubbio avuto dei costi non irrilevanti per una famiglia non particolarmente benestante”, scrivono i pm. I due hanno cercato di depistare l’indagine. Una settimana dopo l’arresto, marito e moglie hanno riferito ai carabinieri informazioni false sui loro rapporti col boss. Secondo quanto ricostruito, erano invece in stretti rapporti almeno dal gennaio 2017, quando il latitante ha fatto da “padrino” alla cresima del figlio Giuseppe, dando quasi seimila euro per l’acquisto di un Rolex da regalare al ragazzo. Per questo la procura ritiene che erano “pienamente consapevoli della reale identità del soggetto che frequentava abitualmente la loro abitazione”, come dimostra uno dei tantissimi pizzini ritrovati. “Sei un grande! Anche se tu non fossi M.D.”, scriveva la donna in un pizzino 12 aprile 2019 firmata “Diletta”, suo nome di copertura insieme a “Lesto” (il marito era invece chiamato Maloverso o Malo).
Trent'anni di depistaggi, pigrizia e collusioni
“Ho cresciuto una figlia che non è mia figlia biologica, ma per me è mia figlia, e mi ha dato l'amore di una figlia, mi ha voluto bene e mi vuole bene, ha molto di me perché l'ho insegnata io, se vedessi il suo comportamento ti sembrerei io al femminile”Matteo Messina Denaro su Martina Gentile
Nei pizzini compaiono nomi come Cugino, Amico, Venesia e Blu. Dietro questi alias c’è soltanto una persona. È Laura Bonafede, ritenuta l’amante arrestata il 13 aprile scorso.
Maestra elementare, è la figlia del boss di Campobello di Mazara, Leonardo Bonafede, amico del padre del latitante, è cugina di Andrea e di Emanuele Bonafede ed è la moglie del killer di mafia Salvatore Gentile, condannato a due ergastoli e uomo di fiducia di Messina Denaro. Scrive il gup che la donna ha conosciuto il latitante nel 1997 (in un pizzino lei ricorda il primo incontro avvenuto 26 anni prima) instaurando con lui un rapporto stabile che ha coinvolto anche la figlia Martina. Questo scambio è “durato dal 2007 sino al dicembre 2017”, interrotto dopo un’operazione di polizia, e ricominciato “appena ‘calmatesi le acque’ negli ultimi anni sino all'arresto del latitante in data 16 gennaio 2023”.
Secondo i carabinieri del Ros, la donna e il latitante avrebbero coabitato. In alcuni messaggi i due ricordano incontri in un “tugurio” e in un “limoneto”. Bonafede – stando ad alcune lettere – aiutava materialmente Messina Denaro facendo anche rifornimenti.
La procura voleva una misura cautelare anche per la figlia Martina, indagata come la madre per procurata inosservanza della pena e favoreggiamento. La giovane è la figlia putativa di Messina Denaro: “Ho cresciuto una figlia che non è mia figlia biologica, ma per me è mia figlia, e mi ha dato l'amore di una figlia, mi ha voluto bene e mi vuole bene, ha molto di me perché l'ho insegnata io, se vedessi il suo comportamento ti sembrerei io al femminile”, scriveva alla sorella Giovanna. Martina era chiamata Tanya, nome forse tratto da un libro di Charles Bukowski che i carabinieri hanno trovato il 15 marzo nella libreria di casa Bonafede. A Martina, Messina Denaro contrapponeva la figlia naturale Lorenza Alagna, soprannominata “sciacqualattuga”: “Non significa più niente per me”, sentenziava. Il 5 dicembre 2023 anche Martina Gentile è stata arrestata (ai domiciliari).
In questo delicato lavoro, gli investigatori del Ros devono fare anche gli enigmisti per associare i nomignoli usati nei pizzini alle reali identità, incrociando i messaggi, i fatti, gli aneddoti e anche i rimandi ai libri. Alcuni nomi sono stati decriptati, a esempio Rosalia Messina Denaro era “fragolone”, ma molti ancora no: chi si cela dietro nomi come “Solimano”, “Pancione”, “Ciliegia”, “Mela”, “Condor”, “W”, “Reparto”, “Complicato” e “Parmigiano”? Quest’ultimo potrebbe essere un grosso imprenditore perché nei pizzini tra il latitante e la sorella si legge “Digli che 40.000 non cambiano la vita delle persone”, quindi si tratta di una persona molto ricca, forse già in affari con Cosa nostra al punto da non potersi rifiutare (“Digli che non può dire di no”).
Gli investigatori sono sulle tracce dei finanziatori della latitanza. Bisogna capire da chi arrivavano i soldi gestiti dalla sorella Rosalia, quelli che gli permettevano di mantenere un tenore di vita alto. La procura di Palermo sta effettuando indagini patrimoniali per cercare di capire se dietro i finanziamenti ci fossero ulteriori attività formalmente lecite gestite da prestanome o se i soldi arrivassero da attività illecite. Negli anni molte indagini hanno fatto luce sulle attività di imprenditori borderline che finanziavano la mafia trapanese.
Dopo l'arresto di Matteo Messina Denaro si aprono partite importanti
“Matteo Messina Denaro in un così lungo periodo di tempo ha goduto di una serie di protezioni a diversi livelli, da quello di chi gli procurava l’appartamento a quello che gli ha consentito di viaggiare in molte parti del mondo e su questo sono in corso le indagini”, ha detto il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia nel corso di un incontro al Festival internazionale di giornalismo a Perugia il 28 aprile scorso. Prima di nascondersi a Campobello di Mazara, il latitante potrebbe essere stato in Spagna, Tunisia, Albania, Montenegro e, in Italia, in Calabria. “Ora bisogna capire chi, quando e come. Il nostro lavoro è tornare indietro, passo dopo passo ricostruire quanto è successo e anche guardare avanti. La cattura di Matteo Messina Denaro non può fare dire a nessuno che ora il lavoro è finito”.
Messina Denaro, Ciotti: "Le mafie non sono solo i loro capi"
Circa un mese prima dell'arresto di Matteo Messina Denaro, l'ex sottosegretario al ministero dell'Interno Antonio D'Alì (Forza Italia) è stato condannato in via definitiva a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa ed è entrato in carcere. Come ha ricordato lo scorso 21 marzo a Milano Luigi Ciotti, la latitanza di Messina Denaro ne nasconde altre, di altro genere: “Non è possibile che una persona per trent'anni sia latitante. Allora non dimentichiamoci che sarebbe stato già arrestato se non ci fosse stato qualcuno che ha impedito tutto questo. Non dimentichiamoci il capo della squadra Mobile di Trapani che fu allontanato, un bravo prefetto che fu cacciato via perché stava cercando di fare le cose giuste, i bravi magistrati che stavano indagando e che sono stati un po' mortificati e anche penalizzati”. La latitanza di Messina Denaro serve anche a ricordare che “l'ultima mafia non è mai l’ultima, è sempre la penultima, perché le mafie si risvegliano sempre”.
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