1 maggio 2024
Che i ragazzi manifestino è naturale, non è delinquenza. Non spetta a nessuno, nemmeno al capo del governo, dire come si deve manifestare e, al di là di alcuni episodi, si è sempre trattato di manifestazioni pacifiche. Negli scontri di piazza avvenuti negli ultimi mesi, a patirne le conseguenze sono stati gli studenti, percossi dalle forze di polizia: a Pisa in maniera inspiegabile e, recentemente, anche al Campus Einaudi di Torino.
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I manifestanti avanzano richieste comprensibili e condivisibili. A Gaza sta succedendo qualcosa che, secondo la Corte internazionale di giustizia, si può plausibilmente definire un genocidio: se lo sia davvero è una questione di enorme complessità. Se i ragazzi e le ragazze delle nostre università – che cerchiamo di educare trasmettendo loro un senso civico, invitandoli a partecipare alle "cose del mondo" – protestano, mi sembra assolutamente naturale. In fondo sono una generazione senza voce, noi adulti stiamo modificando il loro mondo in peggio, dalla crisi climatica alla guerra, quindi a me pare inconcepibile pretendere che se ne stiano zitti. D’altra parte pongono delle questioni che l’università deve affrontare, a partire dall’uso militare delle ricerche universitarie. Andiamo al cinema e ci commuoviamo di fronte a Oppenheimer, ma i nostri ragazzi ci pongono esattamente la stessa questione, ovvero quella della responsabilità della scienza, di non facile soluzione, ma che non può essere elusa. Chiedono poi a molti rettori di dimettersi dal consiglio della fondazione Med-Or di Leonardo Spa, a dimostrazione di come i rapporti tra università e sistema militare-industriale non siano fittizi ma reali.
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Il vero pericolo risiede nell’azione di una parte politica del governo e della stampa, che punta a limitare l’autonomia e la libertà accademica. Nella storia dell’università le minacce sono sempre arrivate dall’alto e non dal basso. Pensiamo a quello che ha fatto nel 2021 in Ungheria il presidente Viktor Orbán, quando ha detto di voler “indirizzare” gli atenei per rafforzare l’identità nazionale.
Un grande liberale, Luigi Einaudi, in un intervento pubblicato nel 1910 sul Corriere della Sera si opponeva a un giuramento, all’apparenza innocuo, al re e allo Statuto. "Gli scienziati veri – scriveva – sanno che l’unica garanzia del progresso scientifico sta nell’assoluta libertà, anche nella libertà nel campo del pensiero, della ribellione a tutti i principi universalmente accolti e a tutte le istituzioni esistenti". Perché in fondo l’università è libera. Oppure non è università.
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