

Chi fornisce le armi a Israele? L'Italia prende tempo, ma intanto acquista da Tel Aviv

1 luglio 2024
Lavoravano anche 11 ore al giorno, sette giorni su sette, senza pause, e con contratti a termine. Dal 2012 al 2022, almeno 100 indiani hanno pagato circa 20mila euro per arrivare in Italia e poi essere sfruttati come magazzinieri da coop che servivano in appalto la grande distribuzione alimentare. Come i supermercati Unicomm, Despar e Famila. Altri soldi li aggiungevano per vivere in dieci in case fatiscenti con due stanze e un solo bagno. Il beneficiaro era Tara Chand Tanwar, detto Taru, un cittadino indiano del Rajasthan, India occidentale. Nato nel 1960, Taru ha lasciato la sua città d'origine, Sujangarh, nel 1994, con un contratto da collaboratore domestico a Lecce (Sud Italia). Nel 2005, si è trasferito a Campodarsego (Padova), iniziando a reclutare manodopera per il settore della logistica.
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Ma questo dalle immagini satellitari che fotografano i cambiamenti avvenuti nell’hinterland delle province di Padova, Verona, Piacenza e Vicenza, uno degli hub logistici del nord del Paese, non lo vedi. Ciò che vedi sono i bunker da cui entra ed esce la merce destinata alle nostre case e ai nostri negozi, negli anni diventati enormi. Un impero che spesso si fonda su forme di sfruttamento più subdole e silenziose di quelle a cui siamo abituati.
Tutto in apparenza sembrava regolare. Regolari i permessi di soggiorno e regolari i contratti. Ma, secondo un'inchiesta de lavialibera e Al Jazeera, si nascondeva un rodato sistema di tangenti, ricatti, minacce e violenze capace di convincere le vittime ad accettare ogni condizione per paura di ritorsioni. Non solo dirette, ma anche contro i familiari rimasti nel paese di origine. nel 1994 con un contratto da collaboratore domestico e prima destinazione Lecce. Nel 2005, si è trasferito a Campodarsego (Padova), nel nord del Paese, dove ha iniziato a reclutare manodopera per il settore della logistica.
Il giudice per le indagini preliminari di Padova Domenica Gambardella, in un’ordinanza del 3 agosto 2022, scrive che Tara Chand Tanwar "aveva creato un regime di terrore" gestendo "un’organizzazione criminale al limite del metodo mafioso" che era riuscita a ottenere una sorta di monopolio nella gestione della migrazione dal Rajasthan. Venerdì 12 luglio 2024, il tribunale di Modena ha dichiarato chiuse le indagini preliminare. La procura è intenzionata a procedere con la richiesta di rinvio a giudizio. Tanwar ha 20 giorni per presentare prove in sua difesa.
Lavialibera e Al Jazeera hanno intervistato 32 persone, inclusi lavoratori, familiari, potenziali migranti, fonti investigative, sindacalisti e attivisti, che confermano lo sfruttamento. L'inchiesta evidenzia un problema sistemico che non si limita al singolo caso. Anzi. Sfrutta le falle presenti nelle leggi che regolano le migrazioni e il settore della logistica, coinvolgendo potenzialmente migliaia di persone.
Cinque ore di treno separano la capitale dell’India, Nuova Delhi, da Jaipur, capoluogo del Rajasthan. I turisti occidentali la conoscono come la città rosa, colore che tinge le facciate di molte delle sue abitazioni rendendola meta ambita. In pochi però sanno che proseguendo verso nord si incrociano paesi chiamati little Italy, piccola Italia, dove quasi tutti hanno almeno un parente emigrato. Ce n’è una a Ladnun, nel distretto di Didwana Kuchaman, e una a Sujangargh, nel distretto di Churu. Le case degli espatriati che hanno fatto fortuna, più grandi e nuove delle altre, si notano subito.
Quella di Taru è una doppia villa a tre piani. Classe 1960, Tara Tanwar Chand è partito da qui nel 1994, con destinazione Lecce e in tasca un contratto di lavoro da collaboratore domestico. Nel 2005 il trasferimento a Campodarsego, in provincia di Padova, dove ha aperto un ristorante e poi iniziato a fornire manodopera a Willi Zampieri, all’epoca deus ex machina della logistica padovana, fino a diventare un punto di riferimento per i giovani del suo paese seppur non il solo. Li chiamano agenti e sono intermediari che in cambio di soldi si occupano dei documenti per raggiungere l’Italia. Per pagarli molte famiglie si indebitano. Quando vengono truffate, quasi nessuno denuncia. L’attivista locale Amrita Choudri, più volte minacciata di morte, sostiene: "Non troverete nessuno parlare male degli agenti. Hanno molti soldi, che distribuiscono a poliziotti e politici, ma soprattutto sono l’unico modo che tutti hanno per partire".
Chi parte dall’India e vuole entrare in modo regolare in Italia ha tre opzioni: un visto come turista o studente, o un permesso di lavoro. Quest’ultimo è subordinato ai decreti flussi, che ogni anno stabiliscono quanti lavoratori stranieri sono necessari, da quale paese e in quali settori. Il Testo unico sull’immigrazione, modificato nel 1992 dalla legge Bossi-Fini, prevede che un datore di lavoro italiano proponga al lavoratore straniero un contratto, senza averlo mai visto. "È assurdo – spiega Luca Di Sciullo, presidente del Centro studi e ricerche Idos –. Il sistema rende l’intermediazione inevitabile e dà al datore di lavoro e all’agente un enorme potere di ricatto. La maggior parte di questi ingressi avviene con contratti di breve periodo. Dopo, il cittadino straniero diventa irregolare".
I problemi posti dai decreti flussi sono stati sollevati anche dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni, non a caso a ridosso delle elezioni. Il 4 giugno 2024 la premier ha dichiarato di aver presentato un esposto alla procura nazionale antimafia e antiterrorismo, documentando irregolarità negli ingressi dei lavoratori stranieri avvenuti negli ultimi anni.
Servono tra 10 e 20mila euro per ottenere un visto per l’Italia, fino a 10mila per un impiego. Una stanza per quattro ne costa in media 350
Secondo i migranti intervistati, Tara Chand Tanwar forniva il pacchetto completo. Tra i dieci e i 20mila euro per chi aveva bisogno dell’intero servizio: viaggio, permesso di soggiorno, e contratto. Mentre comprare solo il posto di lavoro richiedeva tra i cinque e i diecimila euro. Con comodi pagamenti, anche a rate. Nel tempo aveva messo in piedi una fortuna. Secondo la polizia giudiziaria italiana, nell’arco di dieci anni da 53 conti correnti a lui direttamente, o indirettamente, collegati sono transitati 8,7 milioni di euro.
Non ingannava, Taru, ma dovevi sottostare ai suoi diktat. Prima di tutto, almeno finché il debito non fosse stato saldato, chiedeva ai creditori di soggiornare nei suoi alloggi, ovviamente a un costo: dai 300 ai 380 euro al mese, vitto incluso. In media c’erano minimo otto persone in una stanza. In alcune case mancavano gli armadi, in altre persino i letti. Si dormiva su materassi poggiati a terra. In tutte, il bagno, spesso in cattive condizioni, era unico: non restava che usare quello del lavoro, pure per lavarsi. "Il cibo non bastava mai – ha raccontato all’autorità giudiziaria italiana una delle vittime che nel 2016 viveva in uno degli appartamenti di Taru –. Per non morire di fame, eravamo costretti a comprare da mangiare usando i nostri soldi.
Difficile, se non impossibile, dire basta. Amir, nome di fantasia, ci ha provato, pagandone le conseguenze. Nel 2012, prima lui e poi il fratello hanno lasciato Ladnun, una città di 56mila abitanti, indebitandosi. I 10mila euro dovuti non li avevano subito tutti. "Nessun problema", ha risposto Tanwar. "Una parte della cifra l’ha pagata mia mamma, grazie alla vendita di un terreno, l’altra avremmo dovuto versarla noi, man mano, usando il futuro stipendio. Poi Taru ha iniziato a chiedere più soldi di quelli concordati, minacciando mia madre e mio fratello".
L'indagine: così i leader delle spedizioni sfruttano i corrieri
"Mi ha intimidita dopo che ho rifiutato di dargli altro denaro", aggiunge la mamma di Amir. "Una notte, mentre ero da sola in casa, ha inviato una decina di uomini per spaventarmi. Un’altra, i suoi scagnozzi hanno picchiato uno dei miei figli. Volevano ucciderlo. Mi sono rivolta alla polizia". Un poliziotto di Ladnun conferma di aver ricevuto una denuncia contro Tara Chand Tanwar nel 2018. Il capo d'accusa era per rapimento, sequestro di persona, e tentato omicidio. Ma a luglio 2023 la mamma di Amir ha ammesso di aver ritirato la denuncia dopo aver raggiunto un accordo consensuale con la controparte.
Eppure, la famiglia di Amir non è stata la sola a subire violenze, sia fisiche sia psicologiche. "Siete venute per parlare di lui?", chiede retorico Sunil, aprendo la porta del suo appartamento, nella provincia di Padova. "Lui" è il prenome che molti degli indiani intervistati usano per rifersi a Taru. Con il nome, non lo chiamano mai. Mentre la moglie, la sorella, e la cognata, cucinano un tipico pranzo indiano, Sunil confida la sua esperienza, che ricorda quella di Amir, e di molti altri. Per aver abbandonato la casa di Tanwar, è stato schiaffeggiato, mentre i suoi parenti in India hanno ricevuto telefonate e visite minacciose.
"Se non stai alle sue regole, è la fine. Ci sono molte prove contro di lui, però continua a rimanere a piede libero. Nessuno vuole denunciare. Hanno tutti paura. È come un mafioso".
Nelle intercettazioni a disposizione degli investigatori italiani, è lo stesso Taru a vantarsi di poter contare sui rapporti con politici e forze dell’ordine nel proprio paese di origine. Ma è stato impossibile individuare i suoi riferimenti.
Dicembre 2022, Belfiore: un comune della provincia di Verona che fa da hub di distribuzione per il marchio Maxi Di, e conta più camion che abitanti. È un pomeriggio di pioggia, ma i tir entrano ed escono dai magazzini a una velocità impressionante. Tanti indiani reclutati da Taru sono passati da qui. I più lavoravano come pickeristi: prendevano la merce dagli scaffali e la preparavano alla spedizione. Nessuno può entrare in questi bunker senza autorizzazione e per i sindacalisti è difficile instaurare rapporti con chi è dentro. Teo Molin Fop del sindacato Adl Cobas riporta di essere venuto per la prima volta a conoscenza del "sistema Taru" nel 2015: "I lavoratori ne parlavano come un dato di fatto: per essere assunti o trasformare un contratto a tempo determinato in un indeterminato, dovevano pagare Tanwar".
I magazzinieri erano impiegati in cinque cooperative che servivano la grande distribuzione alimentare in appalto e subappalto: Lavoro e Progresso coop., East West Trading srl, Mg Service coop, Sky Coop e Comservice soc. coop. Due di loro, Lavoro e Progresso (servizi logistici per autotrasporto) ed East West Trading (commercio all’ingrosso di rottami ferrosi), erano intestate a Taru: l'inchiesta de lavialibera e Al Jazeera rivela che sono entrambe ancora attive.
Il muro di silenzio intorno a Tara Chand Tanwar si è rotto nel 2018, quando Amir ha presentato la denuncia contro di lui al tribunale di Verona (17 maggio 2018). Amir testimoniava di aver pagato Taru cinquemila euro per avere un lavoro. Ce l’aveva fatta nel 2016, con un posto nella cooperativa Sky Coop, nei magazzini di Belfiore. Aveva un contratto di tre mesi che per ben quattro volte gli è stato rinnovato di altri sei. All’inizio caricava i camion per 11-12 ore al giorno, sette giorni su sette, senza pause. Anche se si ammalava, non poteva sottrarsi, e per qualsiasi esigenza doveva prima ottenere il benestare di Taru. Condizioni che ricordavano il lavoro forzato, ma di cui non si lamentava. Fino a che non si è rifiutato di firmare un documento, di cui non conosceva il contenuto, ed è stato cacciato.
Molin Fop ricorda che nell’inverno in cui sono iniziate le denunce, il loro delegato sindacale interno al magazzino, è stato aggredito durante la notte da alcuni uomini incappucciati. I responsabili non sono mai stati individuati, ma – assicura il sindacalista – "in quegli anni, il clima di paura che circondava Taru era evidente".
Secondo Molin Fop anche la cooperativa Sky Coop, presieduta fino al 2024 da Vito Marrocco, unico italiano indagato nell’inchiesta della procura di Padova, insieme ad altri quattro cittadini indiani (oltre Tanwar Tara Chand), era a conoscenza di quanto avveniva. Stando ai nostri riscontri, non riceveva alcun tornaconto se non la possibilità (non da poco) di avere a propria disposizione un bacino di lavoratori a basso costo, con ricambio garantito. "Nel 2016 gli abbiamo segnalato i problemi e partecipato insieme a degli incontri in prefettura. Non possono dire che non fossero stati avvertiti", precisa Molin Fop. Vito Marrocco e Taru, contattati tramite i loro legali, hanno preferito non rilasciare commenti.
Stando alle dichiarazioni dei lavoratori, Taru aveva agganci anche in delle aziende metallurgiche – tra cui la Commit – dove poteva trovare spazio ai suoi protetti. A questo proposito, la Commit precisa via email che le presunte vittime lavoravano in appalto per un’impresa di imballaggio e trasporto del metallo, che "per scrupolo" è stata a suo tempo sostituita, con il passaggio dei lavoratori a un’altra società. Sullo sfruttamento, dichiarano di aver "purtroppo" ricevuto "solo voci, che non hanno mai trovato un autore e sono state smentite in sede assembleare dai lavoratori indiani appositamente interpellati".
La logistica è un buco nero per i diritti del lavoro, poco raccontato e difficile da raccontare. "Negli anni, lo sfruttamento è diventato un po’ più complesso, ma non solo è ancora possibile, è anche necessario e tollerato perché funzionale all’economia, in un mercato dove i margini di profitto si giocano sui tempi di lavoro e sull’evasione fiscale", dice Massimo Pedretti, sindacalista dell’Unione sindacale di base (Usb). La definisce "una malattia" endemica del settore, diventato uno dei più strategici dell’economia mondiale grazie alla globalizzazione e all’ecommerce. Secondo i dati del ministero del Lavoro, il fatturato in Italia è di circa 80 miliardi euro l’anno.
Un impero che dal 2003, dopo l’approvazione della legge Biagi, si fonda su appalti e subappalti. E a servirsi di società esterne non sono solo le grandi catene commerciali, ma le stesse aziende a cui queste catene commerciali affidano la logistica. Le aziende giustificano il ricorso agli appalti con l’esigenza di flessibilità, cioè di allargare il proprio bacino di manodopera a seconda delle esigenze, senza doversi caricare il rischio di assumere dei lavoratori che potrebbero rimanere inutilizzati. Ma il vero motivo è risparmiare.
Lo dimostrano due indagini della procura di Milano, firmate dal pubblico ministero Paolo Storari, che nei mesi scorsi hanno coinvolto Bartolini e Geodis, due colossi delle spedizioni a partecipazione statale francese. Entrambe le società sono accusate di aver usato in modo illecito appalti e subappalti per impiegare lavoratori, senza doverli assumere direttamente. Pratiche che il pubblico ministero non considera "frutto di iniziative estemporanee", ma "di una illecita politica di impresa diretta all'aumento del business".
Al di là del caso di Tanwar Tara Chand, gli episodi di caporalato, definito come una forma illegale di reclutamento e organizzazione della mano d'opera, non sono isolati. Pedretti ha seguito la storia di molti magazzinieri che tra il 2008 e il 2019 sono stati assunti da diverse aziende al lavoro per Zara sia a Roma sia a Milano.
A Modena, invece, il 20 aprile scorso il tribunale ha firmato un'ordinanza di custodia cautelare per 18 cittadini pachistani accusati di associazione a delinquere diretta all'estorsione, alle lesioni personali, alle minacce, all'autoriciclaggio, mentre altre due sono indagati per tentato omicidio. La gang reclutava manodopera per il servizio di spedizionieri Sda (azienda parte del Gruppo Poste Italiane, impresa pubblica che gestisce i servizi postali, finanziari e assicurativi in Italia).
“Una notte ha inviato una decina di uomini per spaventarmi. Un’altra volta i suoi scagnozzi hanno picchiato mio figlio, volevano ucciderlo”
A Padova, all'epoca dei fatti, Mg Service aveva contratti con Unicomm (Famila, Mega, Emisfero ipermercati, Emi, A&O, C+C CashCrry) e Aspiag (Despar). Impossibile sapere quanto le compagnie appaltanti e subappaltanti siano a consapevoli dello sfruttamento. Appalti e subappalti sono legali e le imprese appaltanti (e subappaltanti) "non sono perseguibili se le cooperative a cui affidano i lavori sfruttano facchini e corrieri", spiega Pedretti. Tra le aziende menzionate in questo articolo, solo Poste italiane ha risposto alle domande poste da lavialibera e Al Jazeera: "Il valore dei contratti con la società accusata è estremamente esiguo rispetto al volume delle forniture", ha detto Poste. "La società è qualificata all’albo fornitori del Gruppo Poste Italiane, pertanto la sua attività è costantemente monitorata”, ha aggiunto precisando che “la documentazione presentata dalla società per concorrere ai servizi di fornitura è risultata regolare".
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