Minori non accompagnati. Foto: Raimond Spekking/Unsplash
Minori non accompagnati. Foto: Raimond Spekking/Unsplash

Garlatti, Autorità garante infanzia: "Minori stranieri, se si perdono è per nostra responsabilità"

"Il benessere dei minori non può sottostare alle logiche elettorali della politica", spiega Carla Garlatti, Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza. Meno diritti vengono loro riconosciuti, peggiore sarà il loro percorso di crescita

Alessandro Wahid

Alessandro WahidAspirante giornalista

30 luglio 2024

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Sono definiti minori stranieri non accompagnati (Msna) i minorenni sul territorio nazionale senza cittadinanza europea, o apolidi, privi di genitori o adulti che li assistano e ne siano legalmente responsabili. Secondo il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, a giugno 2024, nel nostro paese erano 20.206. A causa dell’assenza di un sistema di accoglienza strutturato, previsto dalla legge, molti di loro spariscono. Nel solo biennio 2021-23, secondo i dati raccolti dal progetto giornalistico Lost in Europe, sono diventati “invisibili” 22.899 minori stranieri. “L’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, pur interessando il nostro paese da decine di anni, è da sempre gestita in via emergenziale. Non si è mai data piena attuazione alla disposizione del Decreto legislativo n. 142 del 2015 che prevede l'istituzione di centri di prima accoglienza stabili su tutto il territorio – spiega a lavialibera Carla Garlatti, la Garante per l’infanzia e l’adolescenza –. Un inadempimento non comprensibile, che ha prodotto i centri temporanei e un senso diffuso di provvisorietà. Da cui deriva un concreto disagio”.

Oltre il decreto Caivano: storie di minori che riparano il danno (fuori dal carcere)

Garlatti, dove finiscono allora tutti questi minori?

Appena arrivano in Italia vengono ospitati in centri di prima accoglienza. Si tratta spesso di strutture pensate per adulti e che non possono offrire servizi adatti alla loro età

Appena arrivano in Italia vengono ospitati in centri di prima accoglienza. Si tratta spesso di strutture pensate per adulti e che non possono offrire servizi adatti alla loro età. Negli hotspot i ragazzi possono entrare in contatto con maggiorenni e questo non è un fatto positivo. Non solo, i tempi di permanenza sono troppo lunghi e spesso i ragazzi passano il tempo senza far niente. Il ricongiungimento con i parenti che sono in altri paesi europei è complicato, perché richiede indagini internazionali che possono durare anche un anno. Tutto questo genera spesso fughe verso strade che porteranno loro problemi ancora più gravi.

Lei ha proposto l’affido familiare come una soluzione per il collocamento dei minori stranieri non accompagnati. I dati dicono però che le richieste di affido stanno diminuendo mentre aumenta l’età media dei ragazzi.

La legge prevede l’affido come forma privilegiata di accoglienza, ma nei fatti non ha funzionato

La Legge n. 47 del 2017 prevede l’affido come forma privilegiata di accoglienza, ma nei fatti non ha funzionato. O meglio, ha funzionato per i bambini ucraini che il più delle volte sono accolti in Italia da famiglie ucraine. Si tratta di minori che non hanno un percorso migratorio, ma fuggono dalla guerra e che torneranno in Ucraina. Per quanto riguarda gli altri minorenni, il nostro monitoraggio periodico registra un calo dal 3 all’1 per cento dell’affido familiare. Eppure, rimango dell’idea che possa essere una buona forma di integrazione, pur se ancora poco conosciuta. La crisi dell’affido familiare per i minorenni stranieri è la stessa che riscontriamo per i ragazzi italiani. L’istituto viene erroneamente visto come un allontanamento di un giovane dalla famiglia di origine a, quando invece si tratta di dargli una famiglia in più. Non credo che l’aumento dell’età media sia determinante nella diminuzione delle richieste, rilevo piuttosto una mancanza di informazione: pochissimi ad esempio sanno che l’affido può essere anche solamente diurno o per il fine settimana. 

"Mare fuori", per i minori il carcere non è come in tv

Perché la metà dei minori che finiscono negli istituti penali minorili sono di origine straniera?

Di recente è stato introdotto il pericolo di fuga tra i presupposti per le misure cautelari: per le loro condizioni di vita, gli stranieri possono essere ritenuti portatori di rischio in misura superiore rispetto agli italiani

Negli istituti penali per minorenni ci sono oggi 173 minori stranieri e 157 italiani. È interessante vedere che, al tempo stesso, la presa in carico da parte dei servizi sociali della giustizia minorile vede invece coinvolti più del doppio di italiani (del resto i ragazzi italiani sono in numero superiore). Invece la differenza rispetto alle presenze negli istituti di pena è dovuta alla maggior difficoltà per gli stranieri di ricorrere a misure alternative, come la detenzione domiciliare. Inoltre, di recente è stato introdotto il pericolo di fuga tra i presupposti per le misure cautelari: per le loro condizioni di vita, gli stranieri possono essere ritenuti portatori di rischio in misura superiore rispetto agli italiani.

Antonio Sangermano, capo del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, sostiene che i reati dei minori negli ultimi anni, più che crescere numericamente, sono diventati più gravi. Risulta anche al suo osservatorio?

Si tratta di un’osservazione che ho formulato da tempo. Il servizio di analisi criminale del Dipartimento di pubblica sicurezza ha rilevato nel 2023 una diminuzione di ragazzi denunciati del 4,15 per cento rispetto all'anno precedente. Al tempo stesso però aumenta la gravità e l'efferatezza dei reati. Credo che dietro questo dato risieda un’assenza di empatia e consapevolezza delle azioni commesse: manca una vera presa di coscienza del male che si è fatto . È importante concentrarsi su percorsi di giustizia riparativa che, voglio precisare, non si sostituiscono al processo. La giustizia riparativa permette di acquisire consapevolezza dell’azione compiuta e della sofferenza causata, contribuendo ad abbattere il rischio di recidiva e la reiterazione del reato. La punizione è inutile se non accompagnata da un processo riparativo e educativo.

Che cos'è lo ius culturae?

Oggi nelle nostre scuole ci sono quasi 900mila studenti stranieri, il 66 per cento di seconda generazione, che ancora non hanno diritto alla cittadinanza. Ritiene che risolvere questa mancanza di riconoscimento aiuterebbe ragazze e ragazzi a sentirsi meno esclusi?

Sicuramente aiuterebbe il processo di integrazione. Un ragazzo che è nato in Italia ha studiato in Italia e vive in Italia deve avere la cittadinanza. Però il discorso è più ampio: nel processo di integrazione la cittadinanza è fondamentale, ma è prioritario coinvolgere anche le famiglie. Molte volte questi ragazzi di seconda, se non addirittura terza generazione, si sentono giustamente uguali ai loro compagni di classe. Eppure, quando tornano a casa convivono con abitudini familiari che li legano alle loro radici, a una cultura diversa da quella del paese in cui vivono. Ad esempio, l’integrazione può diventare difficilissima se, come a volte accade, i genitori non parlano italiano. Questo divario culturale tra la realtà familiare e il senso di integrazione porta spesso ragazze e ragazzi a dover scegliere se stare da una parte o dall’altra. Un vero e proprio dilemma.

Perché ritiene sia necessario tenere lontani dallo scontro politico i minori, come ha affermato durante la presentazione della sua relazione in parlamento?

I diritti dei minori sono diritti di tutti e non possono diventare argomento di scontro. Meno diritti vengono loro riconosciuti, minore sarà il grado di civiltà della società che li cresce, pessimo, di conseguenza, il loro pieno sviluppo. Devono essere tutelati da tutti gli schieramenti politici senza faziosità: il loro benessere non può sottostare alle logiche elettorali della politica.

In audizione ha insistito molto sull’importanza della scuola e del contrasto all’abbandono scolastico.

L’abbandono scolastico è più frequente dove la strada è l’alternativa più disponibile

I numeri Istat dicono che la povertà assoluta aumenta con l’abbassarsi del titolo di studio: in caso di possesso di diploma di scuola secondaria superiore, l’incidenza è pari al 4 per cento, e raggiunge il 12,5 per cento se ha al massimo la licenza di scuola media. Quindi l’istruzione  è importantissima per uscire da un contesto di marginalità. L’abbandono scolastico è più frequente dove la strada è l’alternativa più disponibile. 

Nel dibattito pubblico si insiste molto sull’origine familiare e contesto sociale di provenienza come matrice dell’aggressività giovanile. È davvero così?

Ci sono più fattori da tenere in considerazione quando parliamo di violenza giovanile e solo uno di questi è l’origine familiare. Di sicuro vivere situazioni di povertà e marginalità non aiuta a smarcarsi da dinamiche vissute in casa e intraprendere percorsi diversi. A questo si aggiunge un malessere diffuso tra i minorenni, che è peggiorato sensibilmente dopo la pandemia, e ha colpito in modo trasversale tutta una generazione. Ragazze e ragazzi vogliono farsi sentire, alzano la voce anche in modo scomposto, perché si sentono trascurati e inascoltati.

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