Ginevra, 23 agosto 2024. La conferenza stampa tenutasi dopo i colloqui organizzati per la cessazione della guerra in Sudan. Epa/Salvatore Di Nolfi
Ginevra, 23 agosto 2024. La conferenza stampa tenutasi dopo i colloqui organizzati per la cessazione della guerra in Sudan. Epa/Salvatore Di Nolfi

Guerra civile in Sudan: tutti falliti i colloqui per la pace

Il conflitto scoppiato nell'aprile 2023 ha già causato 15mila vittime tra i civili. Gli ultimi incontri organizzati In Svizzera ed Egitto per la fine delle ostilità non hanno avvicinato il presidente al-Burhan e il suo ex braccio destro Hemeti, che continuano a spartirsi il potere

Matteo Giusti

Matteo GiustiGiornalista

27 agosto 2024

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Niente da fare: i colloqui di pace organizzati a Ginevra e a Il Cairo per provare a risolvere il conflitto in Sudan non hanno sortito alcun risultato concreto e il paese resta in guerra. L’unico risultato ottenuto è l’apertura di tre vie di comunicazione per il passaggio degli aiuti umanitari destinati alla popolazione sudanese. Nei campi tendati improvvisati mancano cibo e acqua potabile, e sono già scoppiate due epidemie di colera.

Uno scontro violento

La guerra civile in Sudan ha avuto inizio nell’aprile del 2023 e il paese africano si trova ormai sull’orlo della catastrofe umanitaria. Alle origini dello scontro vi è una questione personale fra il generale Abdel-Fattah al-Burhan, leader golpista al potere a Khartoum, e il suo ex braccio destro Mohamed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto come Hemeti. I due erano andati al potere abbattendo il governo civile dell’economista Abdalla Hamdok e instaurandone uno militare.

Alle origini dello scontro vi è una questione personale fra il generale al-Burhan, leader golpista al potere a Khartoum, e il suo ex braccio destro Hemeti

La mossa di al-Burhan di far confluire nell’esercito regolare le milizie fedeli a Hemeti – le cosiddette Forze di supporto rapido (Fsr) – ha però scatenato la reazione di quest’ultimo. Le Fsr, determinanti nella detronizzazione del vecchio presidente Omar al-Bashir e nella creazione del nuovo governo militare, restano infatti un potere parallelo allo Stato che non prende ordini dal governo insediatosi a Khartoum.

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La guerra ha travolto tutte le province, ma alcune aree sono state particolarmente martoriate. A ovest, vale a dire nelle due province che compongono il Darfur, si sono registrate le battaglie più feroci, con i paramilitari della Fsr che sono riuscite a prendere il controllo delle principali città a eccezione di el Fasher, dove resistono i governativi. Da questa regione provengono la maggior parte dei miliziani di Hemeti, eredi dei famigerati janjaweed, i diavoli a cavallo, genocidiari di etnia araba che hanno praticato pulizia etnica in Darfur contro le popolazioni africane che vi risiedono.

L’aviazione è rimasta fedele ad al-Burhan, ha continuato a martellare le posizioni dei ribelli ed è riuscita a riconquistare la fascia di territorio che si distende lungo le coste del Mar Rosso. Proprio a Port Sudan il generale al-Burhan ha spostato il suo governo, facendone la capitale provvisoria, mentre i quartieri meridionali di Khartoum restano saldamente nella mani della Fsr.

Il dramma dei profughi sta destabilizzando gli stati confinanti come il Ciad, che ha accolto circa 2 milioni di sudanesi in condizioni drammatiche

Intanto, fra i civili si contano già più di 15mila vittime, mentre oltre 9 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case. Il dramma dei profughi sta anche destabilizzando gli stati confinanti come il Ciad, che ha accolto circa 2 milioni di sudanesi in condizioni drammatiche.

Accordo lontano

I negoziati in Svizzera sono stati fortemente voluti dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita, già fautori degli incontri di Gedda, anch’essi rivelatisi infruttuosi. Vi hanno partecipato mediatori dell’Unione africana, del Gad (Autorità intergovernativa per lo sviluppo del Corno d’Africa), degli Emirati Arabi Uniti e dell’Egitto, nonché una rappresentanza delle Fsr, mentre l’esercito sudanese ha declinato l’invito per la presenza degli Emirati Arabi Uniti, ritenuti vicini ai ribelli.

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Per superare l’impasse, gli Stati Uniti hanno organizzato un meeting parallelo in Egitto, vero mentore del governo sudanese, fortemente voluto dal presidente al-Sisi, amico personale di al-Burhan. Anche i colloqui a Il Cairo hanno disatteso le aspettative per la presenza di alcuni elementi dell’intelligence sudanese, che gli Stati Uniti ritengono coinvolti in operazioni criminali, nonché per il rifiuto di Khartoum di sciogliere le proprie milizie armate che operano in Darfur, accusate al pari delle Fsr di crimini di guerra contro i civili e di pulizia etnica.

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In Egitto la trattativa si è arenata dopo la richiesta da parte delle forze governative di al-Burhan del completo ritiro da parte dei paramilitari di tutte le aree conquistate a seguito dell’accordo di Gedda del maggio 2023. I negoziatori di Hemeti hanno invece chiesto il riconoscimento delle aree sotto il loro controllo e minacciato una secessione nelle province del Darfur, dove l’esercito regolare sudanese non sembra in grado di riprendere il controllo del territorio.

Un risiko complesso

In Sudan si gioca un’importante partita geopolitica perché i ribelli delle Fsr sono stati addestrati e armati dai mercenari del Wagner Group e ricevono sostegno economico dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Arabia Saudita. I governativi, invece, hanno alle loro spalle l’Egitto e l’Iran, che rifornisce di armi l’esercito regolare sudanese. Anche la Russia, nonostante il Wagner Group appoggi i ribelli, ha stretto rapporti con al-Burhan, con l’obiettivo di ottenere una base navale che si affacci sul Mar Rosso. I russi avevano individuato come luogo ideale Port Sudan, ma lo scoppio delle ostilità ha complicato i piani di Vladimir Putin.

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